Il tubo di scarico della caldaia sul muro di confine è pericoloso sino a prova contraria

Ove il tubo di scarico dei gas di una caldaia sia stato realizzato sul muro di confine, ed il regolamento edilizio locale non prescriva il rispetto di distanze minime a riguardo, per superare la sua presunzione di pericolosità insita nella previsione di cui all’articolo 890 c.c., è necessario che la parte che intenda mantenere il manufatto provi che mediante l’adozione di accorgimenti possa ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino.

Premessa. La seconda sezione della Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 9991, depositata l’08 maggio 2014, affronta una fattispecie sussumibile nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 890 c.c. Tale previsione normativa è singolare giacché, a differenza dell’articolo 889 c.c., non stabilisce le distanze minime da rispettare nella realizzazione delle opere ma rinvia ai regolamenti edilizi locali. La giurisprudenza ha poi puntualizzato in diverse occasioni che la presunzione di pericolosità contenuta nell’articolo 890 c.c. è assoluta ove effettivamente esista un regolamento edilizio locale che stabilisca quali distanze debbano essere rispettate, mentre è relativa quando, invece, il regolamento non prescriva alcuna distanza. Le norma ex articolo 890 c.c. rientra così in un sistema di tutela preventivo, nel senso che le limitazioni legali da essa prescritte trovano applicazione indipendentemente dalla sussistenza di un effettivo danno per il vicino, essendo sufficiente, a tal fine, la mera sussistenza di un pericolo di danno. Il fatto. I proprietari di un immobile convenivano in giudizio i confinanti chiedendo che venissero eliminate le finestre inclinate poste nella falda del tetto, l’apposizione di tubi di gas e l’apertura di un foro sul muro di confine. I convenuti chiedevano il rigetto delle domanda spiegando contestualmente riconvenzionale tesa ad ottenere la condanna degli attori al risarcimento dei danni da loro subiti a causa di un fenomeno di infiltrazioni verificatosi nella cantina di proprietà per effetto di lavori realizzati dagli attori. In primo grado la domanda era parzialmente accolta il Giudice, infatti, condannava i convenuti alla apposizione di finestre fisse nella falda del tetto nel rispetto delle distanze legali, respingendo l’ulteriore domanda attorea, così come la riconvenzionale. La sentenza era impugnata dalla parte parzialmente vittoriosa con richiesta di accoglimento di tutte le domande proposte in primo grado. La Corte Territoriale rigettava l’appello da un lato qualificando il foro realizzato dagli appellati sul muro di confine come di aereazione e non già di scarico, dall’altro sostenendo che l’appellante non avesse mai prospettato alcun danno o pericolo scaturente dal foro di aereazione. Avverso la pronuncia proponeva ricorso per Cassazione la soccombente denunciando la violazione ed erronea applicazione degli articoli 890 c.c. e 2697 c.c La prova della pericolosità secondo la previsione dell’articolo 890 c.c. Parte ricorrente formulava un quesito di diritto con cui chiedeva che il Supremo Collegio chiarisse se nell’applicazione della norma di cui all’articolo 890 c.c. la prova della pericolosità relativa alla salubrità, salute e sicurezza dei fondi, in assenza di regolamenti, debba essere fornita dal proprietario del fondo che si ritiene minacciato dal pericolo ovvero dal proprietario del fondo che invece astrattamente quel pericolo lo provoca. Gli Ermellini hanno specificato che, nel caso di specie, il foro realizzato sul confine, in ragione delle sue finalità, cioè quelle di espellere le sostanze gassose di combustione della caldaia, fosse da qualificarsi come di scarico e non già di semplice presa d’aria. In relazione poi alla mancata prospettazione di una situazione di pericolo, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che in questi casi operi una presunzione di pericolosità, senza la richiesta di alcuna particolare allegazione, mentre sarebbe stato necessario, onde superare la predetta presunzione che la parte avversaria avesse fornito prova atta a dimostrare il suo interesse al mantenimento dell’opera. Prova che nel caso di specie non è stata fornita. I precedenti della giurisprudenza di legittimità. A sostegno della propria ricostruzione la Corte di Cassazione ha richiamato talune sue precedenti pronunce che hanno affermato sostanzialmente due principi. Il primo, secondo cui la norma di cui all’articolo 890 c.c. si applica anche alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie in tal senso Cass. civ. numero 12927/1991 . Il secondo, per cui la nocività degli scarichi è collegata ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino in tal senso Cass. civ. numero 3199/2002 . Concludendo. Orbene, nell’ipotesi che ci occupa, mancando una disposizione regolamentare, la presunzione di pericolosità era relativa sarebbe stato, quindi, onere della parte appellata provare che l’opera potesse essere mantenuta mediante l’adozione di cautele atte ad evitare il verificarsi di una situazione di pericolo sul fondo del vicino. Non essendo stata fornita tale prova ed in applicazione dei principi sopra richiamati la Suprema Corte ha accolto il ricorso con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello che dovrà decidere uniformandosi ai principi enunciati.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 febbraio – 8 maggio 2014, numero 9991 Presidente Goldoni – Relatore Oricchio Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2001 i coniugi D.G.P. e P.M. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Monza A.R. e C.F. . Le parti attrici, quali proprietarie di immobile sito alla via omissis e confinante con immobile di proprietà dei convenuti, chiedevano la condanna di quest'ultimi ad eliminare le opere poste in essere in violazione delle norme che regolano i confini e consistenti, specificamente, in finestre inclinate inserite nella falda del tetto, creazione di maggiore aria d'affaccio, apposizione di tubi di gas a confine e apertura di foro sul muro di confine. Resistevano all'avversa domanda attorea, chiedendone il rigetto, i convenuti, che svolgevano domanda riconvenzionale per la condanna degli attori a rispondere delle infiltrazioni verificatesi nella di loro cantina, provenienti dal cortile degli attori stessi e per effetto di lavori di rifacimento ivi eseguiti. L'adito Giudice di prima istanza, con sentenza numero 30/2004, accoglieva parzialmente la domanda attrice, condannando i convenuti al ripristino dell'affaccio sul cortile mediante apposizione di vetrata fissa sino al rispetto delle distanze legali, rigettando la domanda riconvenzionale e compensando, in ragione della metà, le spese di lite, gravate - per la rimanente metà - a carico dei convenuti. Interponeva appello avverso la detta decisione del Giudice di prime cure le parti attrici chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza e, quindi, l'accoglimento delle domande proposte in primo grado. Resistevano al proposto appello A.R. e C.F. chiedendo il rigetto del proposto gravame e la conferma dell'impugnata sentenza. Con decisione numero 625/2008 in data 27 febbraio 2008 rigettava l'appello e confermava l'appellata sentenza, con condanna degli appellanti alla refusione delle spese di lite. Per la cassazione della detta sentenza ricorrono D.G.P. e P.M. con atto, notificato al domicilio eletto delle controparti ed affidato a due ordini motivi. Ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. P.M.T. e gli eredi del deceduto D.G.P. ovvero D.G.S. , G.A. e M. nelle more costituitisi a mezzo di apposita procura speciale. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione ed erronea applicazione delle norme di cui agli articoli 890 e 2697 c.c. . Al riguardo si sottopone al vaglio di questa Corte, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il seguente quesito nell'applicazione della norma di cui all'articolo 890 c.c. con riferimento all'articolo 2697 c.c. , ai fini della distanza, la prova della pericolosità in ordine a danni alla salubrità, salute e sicurezza dei fondi, in mancanza di regolamenti come nel caso di specie , deve essere fornita dal proprietario del fondo, che si assume soggetto a pericolo di danno o dal proprietario del fondo che ha operato un foro sul muro prospiciente l'altra proprietà foro, dal quale fuoriescono sostanze gassose quali esiti di processi di combustione di caldaia a metano? . Il motivo è fondato e va, quindi, accolto. Con la decisione impugnata, dopo aver ritenuto – correttamente - applicabile in ipotesi la norma di cui all'articolo 890 c.c., sono state svolte due decisive affermazioni. Si è ritenuta – innanzitutto - una sorta di equiparabilità del foro di areazione a servizio di caldaia di riscaldamento creato in ipotesi ad una mera presa d'aria come quella in questione giacche il foro in questione è una presa d'aria e non uno scarico di aria . Si è poi ritenuta insussistente la violazione dell'articolo 890 c.c. poiché l'appellante non ha mai prospettato alcun pericolo o danno scaturente dal foro di areazione . Entrambe le affermazioni della Corte territoriali sono errate in fatto ed in diritto. Il foro in questione, data la sua accertata finalità espellere sostanze gassose di combustione del locale caldaia più che una mera presa d'aria così come erratamente ritenuto è - cosa ben diversa - uno scarico di aria. Il tutto con emissioni di sostanze pericolose, almeno potenzialmente, sotto il profilo proprio di quella salubrità e sicurezza , pure richiamati nell'impugnata sentenza, e – quindi - comportanti la violazione delle distanze ai sensi del citato articolo 890 c.c Quanto all'aspetto della asserita mancata prospettazione di pericolo deve rilevarsi che la presunzione di nocività, ricorrente in ipotesi, non imponeva alcuna particolare prospettazione , comportando – viceversa - il superamento della stessa presunzione con apposita prova in ispecie non fornita dalla parte avversa interessata al mantenimento del manufatto. In proposito non possono che richiamarsi le note affermazioni ribadite in più occasione da questa Corte, secondo le quali per costante giurisprudenza di questa Suprema Corte il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'articolo 890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano, giusta Cass. 12927/1991, anche i comignoli, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività o pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisce la distanza medesima, mentre in difetto di una disposizione regolamentare si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppur relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino Cass. 6 marzo 2002, numero 3199 . 2.- Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia. L'esame del motivo è precluso stante l'assorbimento dello stesso in dipendenza del disposto accoglimento di cui sub 1 3.- L'impugnata sentenza deve essere, pertanto, cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, affinché la stessa decida la controversia uniformandosi al principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.