Grevi insulti ‘familiari’, ma ad essere offesa è la destinataria materiale dei messaggi: condanna per ingiuria

Nessun dubbio sul fatto che ad essere dileggiata sia la persona proprietaria del telefonino a cui sono stati inviati i messaggi incriminati. Secondario il fatto che, secondo la scrivente, le offese fossero rivolte a persone vicine alla destinataria effettiva. Nessun dubbio sulla grevità, percepibile dall’uomo medio, delle espressioni utilizzate, e, quindi, sull’obiettivo di offendere.

Messaggi poco gradevoli ricevuti, in un arco temporale ristretto, sul proprio telefonino non si può, però, parlare di molestia. Possibile, invece, la contestazione del reato di ingiuria è bastevole, difatti, a prescindere dalla volontà effettiva dello scrivente, il ricorso ad espressioni che l’uomo medio interpreta come offensive Cassazione, sentenza numero 22013/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Parole come pietre. Respinta, in via definitiva, l’opposizione proposta dalla donna, autrice dei messaggi incriminati, alla condanna comminatale in Corte d’Appello. Non regge, infatti, la tesi difensiva, fondata sulla presunta «innocuità delle espressioni adoperate», sulla «diffusione» ristretta «al nucleo familiare» della persona destinataria dei messaggi, e, infine, sulla, nuovamente presunta, carenza di «intento offensivo» verso la proprietaria del telefonino. Su quest’ultimo, in particolare, viene sostenuto che i veri destinatari erano «altre persone, legate» alla proprietaria del telefonino Praticamente quasi ‘complimenti’ trasversali! Ottica assolutamente non comprensibile, ribattono i giudici della Cassazione, che richiamano l’evidente «contenuto offensivo dei messaggi» – “siete una famiglia di t ” e “sei una t come tua zia”, a mo’ di esempio –, e non considerano possibile mettere in discussione l’obiettivo della scrivente. Ciò perché, viene ribadito, «è sufficiente il dolo generico, che può assumere anche la forma del dolo eventuale», bastando il ricorso consapevole a «parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive» e «impiegate», come in questa vicenda, «in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 aprile – 22 maggio 2013, numero 22013 Presidente Ferrua – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto M.A. dal reato di cui all’articolo 660 cod. penumero e ha confermato l’affermazione di responsabilità della stessa per il reato di ingiurie rivolte attraverso sms. 2. Nell’interesse della A. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. c , cod. proc. penumero , che l’originaria contestazione di altri reati, oltre quello di ingiuria per il quale soltanto era stata condannata, l’aveva privata del proprio giudice naturale il giudice di pace e della più favorevole disciplina prevista dagli articolo 34 e 35 del d. lgs. numero 274 del 2000, con riguardo alla causa di non procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto e all’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie. 2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. b , e , cod. proc. penumero , che la Corte abbia ritenuto l’offensività del fatto, nonostante innocuità delle espressioni adoperate, peraltro circoscritte nella diffusione al nucleo familiare della persona offesa. Inoltre, il tenore dei messaggi dimostrerebbe che non vi era intento offensivo nei confronti della destinataria, ma, al limite, nei confronti di altre persone a quest’ultima legate. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato, dal momento che l’individuazione del giudice competente per materia deve essere operata alla stregua della fattispecie incriminatrice contestata all’imputato. Peraltro, tale soluzione neppure comporta in astratto il pregiudizio lamentato, dalla ricorrente nel caso di specie, dal momento che, ai sensi dell’articolo 63 del d. lgs. numero 274 del 2000, nel caso in cui i reati indicati nell’articolo 4, commi 1 e 2 del medesimo d. lgs., siano giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano le disposizioni del titolo II del medesimo d. lgs., nonché, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli articolo 33, 34, 35, 43 e 44. 2. Anche il secondo motivo è infondato, dal momento che il Tribunale, con motivazione che non esibisce alcuna manifesta illogicità, ha ritenuto di contenuto offensivo i messaggi inviati attraverso sms alla persona offesa, i quali recano il seguente contenuto “siete una famiglia di troie ” 01/09/2008 , “sei una troia come tua zia ” “io lo so che tuo padre si fa anche i figli” 07/09/2008 . Anche le critiche concernenti l’assenza di intento offensivo sono infondate, per l’assorbente ragione che in tema di delitti contro l’onore, non è richiesta la presenza di un animus iniuriandi vel diffamandi, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere Sez. 5, numero 7597 del 11/05/1999, Beri Riboli, Rv. 213631 . 3. Alla decisione di rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.