Sull’obbligazione retributiva, che è tale ex lege, non può incidere la volontà negoziale delle parti

In tema di obbligo contributivo previdenziale, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest’ultimo e l’INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Il fatto. L’INPS lamentava la mancata corresponsione di contributi previdenziali che una banca avrebbe dovuto versare per i propri dipendenti in ragione di alcune somme corrisposte agli stessi, in esecuzione di transazioni avvenute tra le parti. Secondo il giudice di primo grado tali somme non erano in alcun modo connesse ai precedenti rapporti lavorativi, mentre il giudice d’appello riteneva che non vi fosse alcuna incompatibilità tra il contratto di transazione ed il rapporto di lavorativo. Conseguentemente ricorreva per cassazione la banca, ritenendo che le retribuzioni versate in ottemperanza dell’accordo intercorso non dovessero essere soggette a contribuzione previdenziale, perché si trattava di somme corrisposte per incentivo all’esodo e per evitare l’alea del giudizio. Ciò che rientra nell’ampio concetto di retribuzione imponibile. La S.C. condivide un recente orientamento secondo cui ha affermato che, al fine di valutare se siano assoggettabili a contribuzione obbligatoria le erogazioni economiche corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore in adempimento di una transazione, spiega limitato rilievo la circostanza che tali somme siano pervenute al lavoratore in adempimento di un accordo transattivo, dovendosi valutare più approfonditamente non solo se manchi uno stretto nesso di corrispettività, ma se risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione. Tutto questo, in quanto occorre tener conto sia del principio secondo il quale tutto ciò che il lavoratore riceve, in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro rientra nell’ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi sia nell’assoluta indisponibilità, da parte dell’autonomia privata, dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro. Controversia di lavoro non incide la volontà delle parti. Inoltre ribadiscono i giudici di legittimità, «sul fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva, che ha natura di obbligazione pubblica nascente ex lege, non può incidere in alcun modo una volontà negoziale che regoli in maniera diversa l’obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro». In sostanza la Corte ammette che la transazione tra il datore di lavoro e il lavoratore non può esplicare effetti riflessi sulla posizione dell’INPS, che fa valere in giudizio il credito contributivo derivante dalla legge e non dalla transazione. Nel caso di specie, i giudici del merito hanno evidenziato che dall’accordo non era riscontrabile alcun elemento che portasse a ritenere l’attribuzione patrimoniale priva di relazione causale con il rapporto di lavoro, anzi dall’accordo stesso emergeva come quest’ultimo fosse “la ragione centrale” dell’erogazione delle somme pattuite. Restava invece ininfluente la dichiarata volontà delle parti contraenti di voler escludere tale nesso, non potendo siffatta intenzione escludere gli effetti direttamente stabiliti dalla legge sull’obbligazione contributiva. In sostanza la Corte conclude, ritenendo che gli emolumenti rientrano nell’ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi ex articolo 12 l. numero 153/69, stante l’assoluta indisponibilità da parte dell’autonomia privata, dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro. Conseguentemente per la Cassazione il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 novembre 2013 – 14 marzo 2014, numero 6037 Presidente Stile – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro, accogliendo gli appelli proposti dall'INPS, rigettava le opposizioni proposte da Banca Intesa s.p.a. avverso i decreti ingiuntivi numero 333/97, numero 991/96 e numero 74/97 emessi dal Giudice del lavoro di Catanzaro per il pagamento di somme dovute a titolo di contributi omessi sugli importi che l'opponente aveva corrisposto ai lavoratori R.M. , B.L. e P.R. in esecuzione di transazioni intervenute tra le parti. Ad avviso del Giudice di primo grado, le attribuzioni patrimoniali scaturenti da tali accordi non erano in alcun modo connesse ai precedenti rapporti lavorativi, ponendosi rispetto ad essi come fatti nuovi ed incompatibili con le obbligazioni originarie. La Corte di appello era di diverso avviso, in quanto riteneva che non vi fosse alcuna incompatibilità tra il contratto di transazione ed il rapporto lavorativo che anzi dalla lettura dei due verbali risultasse che il rapporto di lavoro controverso aveva svolto il ruolo di ragione centrale dell'attribuzione patrimoniale e non vi era alcun titolo diverso, autonomo e distinto dal rapporto di lavoro che il riferimento testuale all'incentivo all'esodo costituiva una formula di stile, non essendo logicamente configurabile un esodo rispetto ad un rapporto ormai cessato che era irrilevante conoscere quali fossero le ragioni che potevano avere indotto le parti ad addivenire all'accordo, come, ad esempio, il timore dell'alea del giudizio. Per la cassazione di tale sentenza Intesa SanPaolo s.p.a., già Banca Intesa s.p.a., ha proposto ricorso, affidato a due motivi, il primo dei quali si conclude con quattro quesiti di diritto e il secondo con due quesiti. Sono contestualmente dedotti anche vizi di motivazione. L'INPS resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 1965, 1362 e 1363 c.c., in combinato disposto con gli articolo 12 delle preleggi, dell'articolo 12 legge 30 aprile 1969 numero 153 e 4 legge 26 luglio 1988, numero 291, di conversione del d.l. numero 173/88, nonché vizio di motivazione articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. . Sostiene che, nel contesto di un negozio transattivo, il rapporto di lavoro si pone in rapporto di mera occasionalità e non di causalità, in quanto la transazione ha ad oggetto non la situazione giuridica a cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la controversia a cui questa ha dato luogo. Nel caso in esame, si è in presenza di una transazione novativa, in cui l'intesa negoziale delle parti è tesa a rimuovere il precedente rapporto obbligatorio, sostituendolo con uno nuovo la previsione testuale della rinuncia alle rispettive pretese lascia intendere la volontà concorde di prescindere dall'accertamento della effettiva sussistenza dei diritti che formano oggetto della controversia, diritti che rimangono dunque incerti per avere le parti dato vita ad un nuovo contratto che astrae totalmente da quello lavorativo intercorso. Secondo l'articolo 12 della legge numero 153/69, nella formulazione originaria, prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. numero 314 del 1997, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, sono ricomprese nella nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale quelle erogazioni che hanno funzione retributiva il riferimento alla dipendenza dal rapporto di lavoro esige che le somme di denaro trovino causa nel rapporto di lavoro ne esulano le somme corrisposte - come nella specie - per incentivo all'esodo e per evitare l'alea del giudizio, tale essendo la causa della erogazione sottesa alla nuova disciplina del rapporto transattivo. Sebbene il d.lgs. numero 314 del 1997 abbia operato una revisione della definizione di reddito di lavoro dipendente a fini fiscali e previdenziali con intento di addivenire alla creazione di un'unica categoria di reddito imponibile, non è stata in alcun modo eliminata la norma speciale di cui all'articolo 4, comma 2 bis, del d.l. n 173 del 1988, conv. in legge numero 291 del 1988, secondo cui l'articolo 12 legge numero 153 del 1969 va interpretato nel senso che dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori. La scelta di parte datoriale di incentivare l'esodo dei lavoratori può interessare tanto una pluralità di lavoratori, quanto un singolo dipendente, legittimando sia nell'uno che nell'altro caso l'esclusione della somma corrisposta a tale titolo dal novero della definizione di cui all'articolo 12 legge numero 153/69 di retribuzione assoggettabile a contribuzione. Né il fatto che le conciliazioni siano intervenute a distanza di pochi giorni dalle dimissioni rassegnate dai lavoratori costituisce indice di un intento elusivo sotteso alla transazione novativa. Con il secondo motivo si lamenta l'omessa pronuncia articolo 112 c.p.c. in merito all'eccezione, formulata nella memoria di costituzione in appello, vertente sul difetto di prova di un intento fraudolento che possa condurre a ritenere esistente una causale diversa da quella apparente l'INPS non aveva assolto il relativo onere probatorio, in violazione dell'articolo 2697 c.c., anche in relazione agli articolo 416, 442 e 645 c.p.c. Peraltro, neanche l'eventualità di risultanze probatorie distoniche rispetto a quelle desumibili per tabulas dai negozi transattivi potrebbe inficiare quello che le parti hanno a chiare lettere convenuto e manifestato, a nulla rilevando eventuali riserve mentali o aspettative o convincimenti albergati più o meno strumentalmente nell'animo dei sottoscrittori degli accordi. Il ricorso è infondato. Le censure che vertono su vizi di motivazione e sulla prospettata violazione delle regole di ermeneutica contrattuale sono inammissibili per difetto del requisito di autosufficienza, non risultando trascritto nel ricorso il testo integrale della transazione e restando così preclusa la possibilità di vagliare la fondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto - riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione - al fine di far valere i suddetti vizi, il ricorrente per cassazione, per il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, deve riportare il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto nella sua originaria formulazione, o della parte in contestazione, precisare quali norme ermeneutiche siano state in concreto violate e specificare in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato Cass. numero 8296 del 2005, conf. Cass. 3075 del 2006, numero 11661 del 2006, 1825 del 2007 . Non sono fondate neppure le censure che vertono sulla violazione o falsa applicazione della disciplina legale dettata dagli articolo 12 legge 30 aprile 1969 numero 153 e dall'articolo 4, comma 2 bis, del di n 173 del 1988, conv. in legge numero 291 del 1988. L'articolo 12 legge numero 153 del 1969 nella sua originaria formulazione, applicabile alla fattispecie ratione temporis, stabiliva che, per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro . Restavano escluse dalla retribuzione imponibile le somme corrisposte al lavoratore per i titoli tassativamente elencati nella stessa norma. A sua volta, l'articolo 4, comma 2 bis, decreto legge 30 maggio 1988, numero 173, conv. in legge 26 luglio 1988, numero 291, ha previsto che la disposizione recata nel secondo comma, numero 3 , del testo sostitutivo di cui all'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, numero 153, va interpretata nel senso che dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori . La retribuzione, considerata dal legislatore ai fini contributivi, non coincide con quella generalmente data ai fini della disciplina del rapporto di lavoro subordinato articolo 2099 c.c. , tant'è che il legislatore il quale, non a caso, nel capoverso dell'articolo 12 usa l'espressione si considera retribuzione - con la locuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro - ha adottato il principio di causalità, ampliando sostanzialmente il normale concetto di retribuzione, poiché il concetto di retribuzione imponibile, di cui al citato articolo 12, supera il principio di corrispettività, dal momento che comprende non soltanto gli emolumenti corrisposti in funzione dell'esercizio di attività lavorativa, ma anche gli importi, che, pur senza trovare riscontro in una precisa ed eseguita prestazione lavorativa, costituiscono adempimenti di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto di lavoro ed aventi titolo ed origine dal contratto di lavoro, restando escluse le erogazioni derivanti causa autonoma Cass. Sez. Unumero numero 3292 del 1985 . Nel contempo il legislatore ha indicato le ipotesi eccettuative, per modo che al di fuori di esse non ne sono ammesse altre. Infatti, l'elencazione da parte dell'articolo 12 della legge numero 153 del 1969 degli emolumenti esclusi, in tutto o in parte, ai fini del computo dei contributi previdenziali ha carattere esplicitamente tassativo e non sono quindi ammissibili analogie ed equiparazioni, se non nei limiti puntualmente individuati da successive disposizioni. Ne risulta, perciò, un sistema di chiusura, che, mentre consente al giudice di merito di verificare se gli emolumenti previsti dalla contrattazione collettiva o individuale, o concessi unilateralmente dal datore rientrano nel concetto di retribuzione previdenziale, come voluto dal legislatore, impedisce alle parti collettive o individuali di attribuire direttamente ad un emolumento natura difforme da quella conferita ex lege mediante previsioni o denominazioni, comunque simulate, essendo riservata al giudice la facoltà di accertare la concreta funzione svolta dall'emolumento. Se è vero che in alcune, risalenti pronunce di questa Corte è stato ritenuto che le erogazioni del datore di lavoro derivanti da titolo transattivo, finalizzato non ad eliminare la res dubia oggetto della lite ma ad evitare il rischio della lite stessa, che non contenga un riconoscimento neppure parziale del diritto del lavoratore, sono da considerarsi non in dipendenza ma in nesso di mera occasionalità con il rapporto di lavoro e, pertanto, non assoggettabili a contribuzione assicurativa ai sensi dell'articolo 12 legge 30 aprile 1969 numero 153 Cass. numero 49/1997, numero 6923/96 , la giurisprudenza più recente - e qui condivisa - ha affermato che, al fine di valutare se siano assoggettabili a contribuzione obbligatoria le erogazioni economiche corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore in adempimento di una transazione, spiega limitato rilievo la circostanza che tali somme siano pervenute al lavoratore in adempimento di un accordo transattivo, dovendosi valutare più approfonditamente non solo se manchi uno stretto nesso di corrispettività, ma se risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione, in quanto occorre tener conto sia del principio secondo il quale tutto ciò che il lavoratore riceve,in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro rientra nell'ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi ex articolo 12 della legge numero 153 del 1969 sia della assoluta indisponibilità, da parte dell'autonomia privata, dei profili contributivi che l'ordinamento collega al rapporto di lavoro Cass. numero 11289 del 2003 . Ne consegue che, ai fini di cui all'articolo 12 della legge numero 153 del 1969, l'indagine del giudice di merito sulla natura retributiva o meno delle somme erogate al lavoratore del datore di lavoro non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni inoltre, per escludere la computabilità di un istituto non è sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione cfr. Cass. numero 6663/2002 . Difatti, sul fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva, che ha natura di obbligazione pubblica nascente ex lege, non può incidere in alcun modo una volontà negoziale che regoli in maniera diversa l'obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro, precludendo alle parti del rapporto stesso il relativo accertamento giudiziale vedi Cass. numero 3122/2003 . Il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l'obbligo contributivo del datore di lavoro verso l'istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti cfr. tra le numerose decisioni, Cass. 15 maggio 1993, numero 5547 13 aprile 1999, numero 3630 . Così come il giudicato negativo, per esempio, circa la natura subordinata di un rapporto, non può spiegare influenza per i soggetti, rimasti estranei al giudizio, che siano titolari di rapporti del tutto autonomi rispetto a quello su cui è intervenuto il giudicato cfr. Cass. numero 2795/1999 numero 4821/1999 , così la transazione tra datore di lavoro e lavoratore non può esplicare effetti riflessi sulla posizione dell'Inps, che fa valere in giudizio il credito contributivo derivante dalla legge e non dalla transazione. Può dunque essere ribadito il principio che, in tema di obbligo contributivo previdenziale, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato Cass. numero 17670/2007 . Nel caso di specie, la Corte territoriale, con accertamento di fatto non validamente censurato, ha riscontrato che dal tenore testuale dell'accordo non era riscontrabile alcun elemento che portasse a ritenere l'attribuzione patrimoniale priva di relazione causale con il rapporto di lavoro. Ed anzi il significato complessivo dell'accordo consentiva di affermare che il rapporto di lavoro aveva costituito la ragione centrale dell'erogazione delle somme pattuite. Restava invece ininfluente la dichiarata volontà delle parti contraenti di volere escludere tale nesso, non potendo siffatta intenzione valere ad escludere gli effetti direttamente stabiliti dalla legge sull'obbligazione contributiva. Né titolo autonomo e diverso poteva essere costituito dalla dichiarata volontà di attribuire parte della somma quale incentivo all'esodo, poiché non era comprensibile come potesse giustificarsi un incentivo per un rapporto di lavoro cessato anteriormente al momento della pattuizione dunque, tale causale era solo apparente. Elementi interpretativi del persistente nesso di derivazione causale della dazione dal rapporto di lavoro potevano trarsi dal dichiarato riconoscimento, da parte del lavoratore, di essere tacitato anche in ordine al TFR. Esclusa dunque l'esistenza di una causa autonoma, gli emolumenti rientravano nell'ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi di cui all'articolo 12 della legge numero 153 del 1969, stante l'assoluta indisponibilità, da parte dell'autonomia privata, dei profili contributivi che l'ordinamento collega al rapporto di lavoro. Così argomentando, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei riferiti principi di questa Corte in materia, poiché ha tratto dallo stesso contratto di transazione la prova presuntiva dei fatti posti a fondamento della pretesa contributiva dell'Istituto. Ne consegue il rigetto del ricorso. L'esistenza di alcune pronunce di legittimità di segno parzialmente contrario giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite del presente giudizio.