I titoli obbligazionari Parmalat, seppur connotati da prospettive di rischio non irrilevanti, hanno palesato sintomi di pericolosità soltanto tra il novembre ed il dicembre 2003.
Respinto l’appello del risparmiatore “tradito”. La Corte di Appello di Roma, con sentenza numero 178 del 13 gennaio 2014, respinge l’appello avanzato da un risparmiatore nei confronti della propria banca dalla quale aveva acquistato, nel dicembre 2002, circa 100.000 euro in bond Parmalat, condannandolo anche al pagamento delle spese legali. L’intermediario assolve ai propri obblighi informativi mediante l’audizione dei suoi dipendenti. Il Giudice di secondo grado, pur considerando errata l’interpretazione resa dal Tribunale di Civitavecchia in ordine alla valenza confessoria delle dichiarazioni contenute nell’ordine di acquisto Cass., numero 11412/2012 , ritiene, sulla base della deposizione testimoniale del direttore di filiale della banca convenuta, che quest’ultima abbia assolto ai propri oneri informativi nei confronti del cliente investitore. Imprevedibile l’insolvenza del Gruppo Parmalat nel dicembre 2002. Le risultanze della consulenza tecnica svolta nel giudizio di prime cure sono richiamate e condivise dalla Corte di Appello di Roma Standard & amp Poor’s aveva attribuito nel novembre 2000 alle obbligazioni Parmalat il rating “BBB-“ con prospettive stabili, divenute positive nel giugno 2002, per poi tornare stabili agli inizi del 2003. Sempre secondo il CTU, il rating attribuito ai titoli Parmalat era il più basso tra quelli che le società di valutazione ritengono solvibili. Il rischio di insolvenza legato al rating “BBB-“era quantificato in misura pari a 0,39%. Ciò conduce il Giudice di secondo grado ad affermare che i titoli obbligazionari in questione, seppur contraddistinti da prospettive di rischio, non avevano palesato al tempo dell’investimento dedotto in lite dicembre 2002 particolari problemi, emersi soltanto alla fine dell’anno successivo e in particolare tra il novembre ed il dicembre 2003. Nessuna traslazione dei rischi a danno del risparmiatore in ipotesi di negoziazione in contropartita diretta. Confermata anche in appello la circostanza che la banca aveva nella specie acquistato i titoli obbligazionari Parmalat al solo fine di “girarli” al cliente. Appurate la mancanza dei ridetti titoli nel portafoglio della banca e la correttezza dell’operatività in contropartita diretta Cass., numero 28.432/2011 , viene esclusa dalla Corte l’ipotesi di un trasferimento da parte dell’intermediario dei rischi connessi agli strumenti finanziari prescelti a danno dell’investitore. Legittime dunque le commissioni applicate dalla banca per la negoziazione in contropartita diretta. Prima dell’acquisto dei titoli la banca deve sempre soppesare le precedenti operazioni finanziarie del cliente. Infine, la Corte di Appello di Roma stabilisce che, anche in ipotesi di rifiuto da parte del cliente di fornire notizie circa la sua propensione al rischio, l’intermediario è comunque tenuto a valutare le precedenti scelte di investimento. Nel caso di specie, messa a fuoco la composizione del “dossier titoli” del cliente, l’acquisto di obbligazioni Parmalat viene ritenuto coerente rispetto alla propensione al rischio da costui palesata sino a quel momento. Rigettato conseguentemente l’appello, con condanna dell’investitore al pagamento delle spese di lite a favore della banca.
Corte di appello di Roma, sez. II Civile, sentenza 25 novembre 2013 – 13 gennaio 2014, numero 178 Presidente De Masi – Estensore Cianfrocca Motivazione Con atto di citazione ritualmente notificato, B. V. V. aveva convenuto in giudizio la Cassa di Risparmio di Civitavecchia spa di seguito, per brevità, solo CARICIV spa con la quale, in data 30.6.1998, aveva stipulato un contratto per la negoziazione di strumenti finanziari, aggiungendo che, in data 5.12.2002, aveva acquistato obbligazioni Parmalat . per un controvalore di Euro 97.536,99 in relazione alle quali aveva sottoscritto la informativa sui rischi connessi al predetto investimento soltanto in data 9.12.2003, ovvero un anno dopo il suo perfezionamento. L'attore aveva pertanto eccepito la nullità del contratto ovvero, in subordine, chiesto la sua risoluzione in forza del contestato inadempimento della banca ai propri obblighi informativi oltre che per il non palesato conflitto di interessi nel quale si trovava l'intermediario atteso che aveva negoziato i titoli in contropartita diretta. Da ultimo, aveva contestato la applicazione di commissioni non dovute per Euro 615,96. Si era costituita in giudizio la banca convenuta rilevando che il V. era un investitore avvezzo ad operare sui mercati finanziari, possedendo un portafoglio diversificato aveva chiarito che soltanto per un mero errore materiale al data del documento attestante la intervenuta informazione sui rischi dell'investimento riportava la data dell'anno successivo a quello dell'acquisto delle obbligazioni aveva spiegato, inoltre, che l'investimento era consono alla propensione al rischio del V. ed al portafoglio del cliente e che, per altro verso, nessun conflitto di interessi era configurabile atteso che le obbligazioni erano state acquisiate dalla banca proprio in vista dell'ordine ricevuto dall'odierno appellante, ragion per cui erano dovute anche le richieste commissioni. Il Tribunale, all'esito della istruttoria, affrontava in primo luogo la domanda di nullità del contratto, che giudicava infondata alla luce della elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata e della considerazione secondo cui i rilievi denunziati dall'attore e, segnatamente, la violazione dell'obbligo di informazione sui rischi dell'investimento, attenevano non già alla struttura del contratto ma alla sua esecuzione. Passando, poi, alla domanda di risoluzione del contratto di investimento, il Tribunale passava in rassegna la normativa di settore ovvero il D.lg.vo 58 del 1998 ed il Regolamento Consob numero 11.522 , osservava che, nel caso di specie, l'intermediario aveva dato prova dell'avvenuta informazione producendo la dichiarazione sottoscritta dal V. e che, esclusane la natura di clausola vessatoria, rappresentava una dichiarazione di scienza avente valenza confessoria. Il primo giudice spiegava che, ad ogni modo, la prova della intervenuta informazione circa la natura dell'investimento rating BBB, natura corporate era stata fornita anche in via testimoniale oltre che, ancora una volta, con la sottoscrizione di un ulteriore documento che riteneva datato contestualmente alla operazione specificamente dedicato alla natura delle obbligazioni di cui si discute. Il Tribunale, quindi, richiamava condividendoli gli esiti e le conclusioni del ctu in ordine alla natura dei titoli con rating BBB giudicando pertanto le informazioni rese al V. come comprovate per via testimoniale e documentale coerenti con quel tipo di investimento la cui redditività pari a circa l'11% annuo doveva comunque rendere evidente la esistenza di un qualche rischio. In merito alla pure contestata dall'attore violazione dell'obbligo dell'intermediario di valutare la adeguatezza dell'investimento proposto rispetto alla propensione al rischio del cliente, richiamati gli articolo 28 e 29 del Regolamento Consob 11.522, rilevava che, a fronte del rifiuto documentato del V. a fornire notizie in merito, la banca non poteva tener conto di altro che delle precedenti scelte di investimento del cliente il quale, sino a quando non aveva acquistato i titoli Parmalat di natura comunque obbligazionaria aveva investito circa 350.000,00 Euro in fondi azionari, propendendo pertanto per una scelta intrinsecamente più rischiosa. Con riguardo, ancora, alla contestata esistenza di un conflitto di interessi, il Tribunale, pur dando atto che, dal punto di vista documentale, la circostanza della negoziazione in contropartita diretta non poteva essere smentita, rilevava tuttavia che tale evenienza non è sufficiente a far ritenere l'esistenza di un conflitto tale da rendere annullabile il contratto, dovendo essere allegata e provata una situazione tale da evidenziare l'esistenza di un interesse specifico dell'intermediario a collocare presso il cliente il titolo che si trovi nel suo portafoglio. A tal proposito, peraltro, richiamava ancora una volta le conclusioni del ctu, che da un lato aveva chiarito come in quel periodo non fossero emersi elementi negativi circa la rischiosità dei titoli Parmalat e, per altro verso, come la Cariciv spa non fosse esposta, su tale fronte, in maniera significativa. Da ultimo, il Tribunale accoglieva la domanda del V. diretta ad ottenere la restituzione delle commissioni corrisposte alla banca proprio in quanto la operazione era stata eseguita in contropartita diretta. Avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia ha proposto appello B. V. V. affidandosi a vari motivi. Si è costituita in questa sede la Cariciv spa resistendo all'appello avversario ed articolando un proprio appello incidentale. In particolare, dopo aver riepilogato, dal proprio punto di vista, i fatti di causa, l'appellata ha passato in rassegna i singoli motivi dì censura articolari dalla controparte contestandone la fondatezza, non senza aver preso atto della mancanza di un motivo di appello formulato sul rigetto della domanda di nullità avanzata in origine dal V Ha segnalato, infatti, la infondatezza, in punto di diritto, della domanda di risoluzione dei contratto di acquisto laddove la violazione degli obblighi informativi attenga, come nel caso di specie, a quelli derivanti dal contratto-quadro del quale, invece, non è mai stata chiesta la risoluzione e che, pertanto, non può essere messo in discussione. In fatto, ribadiva la perfetta correttezza del proprio comportamento per quanto riguarda l'acquisto delle obbligazioni Parmalat, le cui caratteristiche erano state ben illustrate e che andavano a soddisfare le esigenze di diversificazione di investimento richieste dal cliente al quale, peraltro, era sta o quindi sconsigliato di procedere ad un ulteriore acquisto di titoli corporate nel caso di specie, titoli Volkswagen . Con riguardo al profilo del dedotto conflitto di interessi, la banca appellata ribadiva come l'ordine di acquisto di titoli Parmalat da parte del V. fosse staro seguito dal loro acquisto sul mercato e dalla loro immediata cessione la cliente. Quest'ultimo dato fattuale ha fondato, infine, l'appello incidentale di Cariciv spa in ordine all'accoglimento, da parte del Tribunale, della domanda relativa alla restituzione delle commissioni invece dovute proprio in quanto i titoli di cui si discute non erano presenti nel portafogli della banca. L'appellata, inoltre, ha ribadito la propria domanda riconvenzionale subordinata all'accoglimento della domanda principale articolata dall'attore per la restituzione dei titoli da costui acquistati. All'udienza del 25.6.2013, cui la causa perveniva a seguito dell'accoglimento della istanza di anticipazione formulata dall'appellante principale, la Corte tratteneva la causa in decisione concedendo alle parti i termini di cui all'art 190 cpc. Si è già avuto modo di accennare che il Tribunale di Civitavecchia aveva respinto la domanda di nullità del contratto di acquisto dei titoli Parmalat formulata dal V. e la relativa statuizione, come non ha mancato di notare la difesa della Cariciv spa, non è stata attinta da alcuna censura da parte dell'odierno appellante principale . D'altra parte, il primo giudice ha correttamente applicato i principi ormai consolidati nella giurisprudenza, secondo cui in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso cd. nullità virtuale , deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario nella specie, in base all'articolo 6 della legge numero 1 del 1991 può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti cd. contratto quadro , il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'articolo 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto contratto quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso cfr., così, Cass. SS.UU., 19.12.2007 numero 26.724 . Orbene, richiamate le conclusioni rassegnate dall'odierno appellante in primo grado cfr., l'istanza ex articolo 8 D.lg.vo numero 5 del 2003 occorre prendere atto che, oltre alla domanda principale di nullità, il V. aveva formulato domande di natura risarcitoria legate alla dedotta violazione degli obblighi facenti capo all'intermediario nell'ambito del contratto quadro e concretatesi nella fase della conclusione del contratto di investimento di cui si discute. Fatta questa premessa, va ricordato che nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l'intermediario abbia dato corso all'acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, il danno risarcibile consiste nell'essere stato posto a carico di detto cliente un rischio, che presumibilmente egli non si sarebbe accollato. Tale danno può essere liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell'acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria, solo se non risulti che, dopo l'acquisto, ma già prima della proposizione di detta domanda, il cliente, avendo avuto la possibilità con l'uso dell'ordinaria diligenza di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli acquistati, né sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, li abbia, tuttavia, conservati nel proprio patrimonio nel qual caso, il risarcimento deve essere commisurato alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell'acquisto e quello in cui l'investitore si e reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità cfr., così, da ultimo, Cass. Civ., 29.12.2011 numero 29.864 . Sul primo e sul secondo motivo di appello Con un primo morivo, il V. ha censurato la decisione impugnata laddove il Tribunale aveva valutato la dichiarazione, contenuta nel contratto, relativa alla avvenuta informazione, come dichiarazione di scienza avente natura confessoria e non già come clausola da qualificarsi vessatoria ai sensi dell'articolo 1469 bis cc omettendo, in ogni caso, di valutarne la genericità che, ad ogni modo, impedirebbe di poterla qualificare in termini di confessione stragiudiziale. Ha richiamato, a tal proposito, gli obblighi informativi posti dalla normativa di settore a carico dell'intermediario sottolineando come, ai sensi dell'articolo 23 TUF, spetti proprio a questi l'onere di dimostrare l'avvenuto loro esatto adempimento. Ha contestato, per altro verso, che la propensione al rischio dell'investitore potesse desumersi dai suoi precedenti investimenti. Il morivo è in via di principio fondato quanto al primo profilo, relativo cioè alla attribuzione, da parte del Tribunale, di una valenza confessoria alla dichiarazione sottoscritta dal V. in calce all'ordine di acquisto dei titoli cfr., doc. all. sub 8 del fascicolo di parte convenuta nel giudizio di primo grado si è chiarito, infatti, in giurisprudenza, che in tema d'intermediazione finanziaria, la dichiarazione del cliente, contenuta nell'ordine di acquisto di un prodotto finanziario, con la quale egli dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di rischiosità , non può essere qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all'altra parte, che determini la realizzazione di un obiettivo pregiudizio, ed è, inoltre, inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dagli articolo 21 del d.lgs. numero 58 del 1998 e 28 del Reg. Consob numero 11522 del 1998, trattandosi di una dichiarazione riassuntiva e generica circa l'avvenuta completezza dell'informazione sottoscritta dal cliente cfr., così, in particolare, Cass. Civ., 1,6.7.2012 numero 11.412 . D'altra parte, è noto che, ai sensi dell'articolo 23 TUF, l'onere di provare l'adempimento degli obblighi facenti capo all'intermediario grava su quest'ultimo cfr., così, tra le tante, Cass. Civ., 1,19.10.2012 numero 18.039 secondo cui nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore, il giudice di merito, per assolvere l'intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che manca la prova della sua negligenza ovvero dell'inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell'adempimento delle obbligazioni poste a suo carico e, in mancanza di tale prova, che è a carico dell' intermediario fornire articolo 23 d.lgs. numero 58 del 1958 , questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore conf., Cass. Civ., I, 29.10.2010 numero 22.147 secondo cui, questo essendo il riparto dell'onere probatorio, ne consegue che . è sufficiente che l'investitore alleghi da parte dell'intermediario l'inadempimento delle obbligazioni poste a suo carico dall'articolo 21 del d.lgs. numero 58 del 1998 integrato dalla normativa secondaria e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento l'intermediario ha invece l'onere di provare d'aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta . Con un secondo motivo, quindi, la difesa del V. ha rilevato come il Tribunale avesse attribuito rilievo alla testimonianza acquisita nel corso del giudizio dalla persona cui lo stesso attore aveva specificamente imputato le omissioni denunziate e nei cui confronti, peraltro, la stessa banca avrebbe titolo per rivalersi in caso di esito negativo del giudizio. Ha sottolineato, quindi, la contraddittorietà tra il contenuto della deposizione di cui si discute e quanto emerso dalla stessa consulenza tecnica disposta dal Tribunale circa la natura dei titoli Parmalat aggiungendo che nemmeno la sottoscrizione del modulo richiamato dal primo giudice poteva essere in tal senso valorizzato in quanto a sua volta generico ed indeterminato, ovvero privo di alcuno specifico riferimento ai titoli in questione. In effetti, il Tribunale, dopo aver attribuito come si è detto erroneamente rilievo confessorio alla dichiarazione sottoscritta dall'odierno appellante, aveva comunque proceduto ad acquisire elementi di prova circa il corretto adempimento, da parte della banca, dei propri obblighi informativi, sentendo, quale teste, il funzionario che, specificamente, si era occupato di seguire gli investimenti del V Va detto, a tal proposito, che il motivo di appello articolato sul punto ha collegalo alla affermazione di generica inattendibilità delle dichiarazioni di quest'ultimo in quanto, secondo l'appellante, di fatto interessato ad una specifica soluzione della controversia, che si risolvesse nel rigetto delle domande dell'investitore , non la falsità delle dichiarazioni da questi rese quanto, piuttosto, la loro contraddittorietà rispetto a quello che, sempre secondo l'appellante, si dovrebbe desumere dalla documentazione in atti e, inoltre, dalle conclusioni del consulente tecnico nominato dal Tribunale. Vale la pena, pertanto, richiamare testualmente le dichiarazioni del teste R. G., sentito all'udienza del 16.2.2007 costui, che all'epoca era il direttore della filiale presso la quale era stata eseguita la operazione di cui si discute, aveva riferito di essersi occupato direttamente della operazione, con l'ausilio di un collaboratore, aggiungendo che il V., il quale era titolare di una gestione patrimoniale mobiliare nell'ordine di 700 milioni di vecchie lire, . alla fine del '99 o all'inizio del 2000, a seguito di perdite del portafoglio . mi chiese i poter fare degli investimenti che gli consentissero di recuperare il capitale che aveva perduto . aveva aggiunto, pertanto, di aver proposto al cliente . una serie di titoli . in particolare quelli con rendimenti superiori ai rendimenti medi del mercato dell'epoca ossia i titoli corporate . Il teste aveva spiegato di aver illustrato al V. . le caratteristiche dell'investimento, gli dissi che fino a quel momento erano andati sempre bene, che le società emittenti avevano pagato regolarmente le cedole alle scadenze stabilite quelle . Parmalat erano semestrali , il rating attribuito ai titoli a quell'epoca, ossia BBB, era soddisfacente ed apparentemente non comportava rischi per l'investitore aggiungendo che all'epoca il gruppo Parmalat era la seconda holding del settore alimentare in Europa, faceva parte del Mib 30 . e tanto io riferii al V., come pure che in precedenza l'emittente aveva sempre pagato le cedole alle scadenze stabilite . In realtà, e contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante, siffatte dichiarazioni non paiono affatto in contrasto con le considerazioni svolte dal Consulente tecnico il quale cfr., pagg. 3-4 dell'elaborato aveva spiegato come alle obbligazioni Parmalat l'agenzia di rating Standard & amp Poor’s, incaricata dalla società emittente, nel novembre del 2000 aveva attribuito il rating BBB meno , con prospettive stabili che, tuttavia, sempre secondo la stima della società di rating, erano divenute positive nel giugno del 2002 per tornare stabili agli inizi del 2003. Il consulente tecnico aveva inoltre spiegato che il titolo era stato messo sotto osservazione nel mese di novembre ed il 9 dicembre del 2003 Standard & amp Poor’s aveva abbassato il rating a “B meno” per poi portarlo a “C” il giorno successivo mentre il 19.12.2003 veniva registrato il default e, successivamente, il rating veniva ritirato. Di qui, secondo il consulente del Tribunale, la conclusione secondo cui . nel momento in cui il signor V. B. ha acquistalo i titoli Parmalat, pur trattandosi di un periodo immediatamente prima dell'innesto della crisi, non sussisteva e non era prevedibile ciò che sarebbe successo e questa non è una considerazione soggettiva, ma è una considerazione che scaturisce dalla semplice analisi delle date in cui si sono svolti i fatti cfr., ivi . La dr.ssa V., incaricata dal Tribunale, veniva sentita nel corso dell'udienza del 6.7.2007, quando, su richiesta di parte attrice, chiariva che il rating attribuito ai titoli Parmalat era il più basso tra quelli che le società di valutazione ritengono solvibili, rinviando alla tabella allegata all'elaborato nella quale si indicava il rischio di insolvenza legato al rating BBB meno che era quantificato in misura pari al 0,39%. In definitiva, quindi, non sembra potersi rinvenire una reale contraddizione tra quanto riferito dal teste e le risultanze della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado si trattava, indubbiamente, di titoli obbligazionari dalle prospettive di rischio non cerio irrilevanti ma che, al contempo, non avevano palesato, sino a quel momento, problemi particolari che, invece, si sarebbero palesati soltanto alla fine dell'anno successivo, ovvero tra il novembre ed il dicembre del 2003 cfr., sul punto, Corte App. Napoli 4.11.2010, rinvenibile su in Il Caso.it secondo cui non viola il dovere di diligenza l'intermediario che solleciti l'acquisto di obbligazioni Parmalat, prive di rating e non quotate sui mercati regolamentati ed emesse da società estere, in quanto il default del gruppo Parmalat si è rivelato inatteso e verosimilmente imprevedibile anche per una banca di provincia . Il rendimento era d'altra parte interessante se è vero, come non è contestato, che nel giugno del 2003 venne accreditata al V. una cedola semestrale dell'importo di Euro 5.652,50, circostanza anche questa valorizzata dal Tribunale e non controversa. Sempre nell'ambito del medesimo motivo di appello, il V. aveva contestato ha contestato la da lui ritenuta apoditticità della motivazione spesa dal Tribunale per superare il contrasto tra la data della operazione e quella della informativa, facendo riferimento a documenti della banca che appaiono a loro volta corretti ed omettendo, invece, di far riferimento alla ulteriore documentazione circa l'acquisto dei titoli, che appare invece coerente con la data indicata nella citazione. Sotto questo profilo il morivo non è fondato. È vero che nel documento con il quale l'investitore veniva informato dei rischi della operazione riporta la data del 9.12.2003 cfr., doc. all. sub 6 del fascicolo di parte attrice nel giudizio di primo grado ed è vero che anche l'ordine di acquisto cfr., ivi, all. sub 5 riporta quella stessa data, appostavi a mano dall'operatore laddove la copia del medesimo documento prodotta dalla banca cfr., doc. all. sub 7 del fascicolo di parte convenuta nel giudizio di primo grado , appare effettivamente sottoposto ad una correzione rispetto a quella posseduta dall'appellante. È pure vero, però, che l'ordine di acquisto dei titoli, pure sottoscritto dal V., è indubbiamente risalente al 9.12.2002 cfr., doc. all. sub 8 del fascicolo di parte convenuta nel giudizio di primo grado e sarebbe non poco curioso che la banca si fosse preoccupata di acquisire la sottoscrizione del cliente non soltanto l'anno successivo ma proprio il giorno corrispondente dell'anno successivo all'acquisto dei titoli. In definitiva, pertanto, si può ritenere che in effetti la apposizione della data relativa al 2003 sia stata il frutto di un errore materiale probabilmente dovuto alla prossimità dell'avvento del nuovo anno. Sul terzo motivo di appello Con un terzo motivo, relativo alla ctu, l'appellante ha rilevato come lo stesso consulente aveva ritenuto necessario acquisire documentazione circa i dati contabili delle banca che, nonostante la disponibilità manifestata dalla convenuta, non erano stati mai di fatto acquisiti, impedendo in tal modo di valutare quale fosse stato, nel torno di tempo intercorso tra il dicembre del 2002 ed il dicembre del 2003, il flusso di titoli Parmalat negoziato dalla Cariciv spa e la sua esposizione nei confronti della società emittente. In realtà, l'esigenza, invero manifestata dal consulente, di acquisire ulteriore documentazione dalla banca, era correlata alla necessità di rispondere ai primi tre quesiti formulati dal Tribunale, e aventi ad oggetto l'indagine circa la esposizione della Cariciv spa sui titoli Parmalat e sulla intervenuta cessione degli stessi ai propri clienti nel lasso di tempo interessato dalla vicenda denunziata dal V Il quesito era connesso alla prospettazione attorea secondo cui la banca avrebbe fatto in modo di liberarsi dei titoli Parmalat che aveva nel suo portafoglio in modo da ridurre progressivamente il rischio connesso al possibile default del titolo. Il Tribunale, con la sentenza impugnata, ha tuttavia correttamente ritenuto di poter decidere nonostante la mancata acquisizione dei dati contabili relativi agli aspetti sopra indicati, considerando che, nel caso di specie, risultava documentalmente come Cariciv spa avesse acquistato i titoli Parmalat soltanto al fine di girarli al V. cfr., docc. all. sub 9 e 10 del fascicolo di parte convenuta nel giudizio di primo grado, dai quali risulta la contestualità della operazione di acquisto titoli da parte della banca e della loro cessione all'odierno appellante . In tal senso, peraltro, ha concluso in termini che non sono stati oggetto di alcun rilievo nemmeno in questa sede il consulente tecnico di ufficio spiegando che . la Cassa di Risparmio di Civitavecchia spa ha prodotto una documentazione comprovante che, al momento dell'ordine di acquisto di titoli Parmalat da parte del signor V. queste sono state prima acquistate dallo stesso Istituto che poi ha provveduto a rivenderle immediatamente al proprio cliente, quindi, nel caso specifico, si ritiene ragionevole pensare che non si trattasse assolutamente di obbligazioni presenti in portafoglio e che sono state girate al cliente cfr., pag. 2 dell'elaborato di consulenza tecnica . Sul quinto motivo di appello Con un quinto motivo, afferente il dedotto conflitto di interessi, la difesa dell'appellante, avendo preso atto che la sentenza aveva correttamente qualificato la operazione come avvenuta in contropartita diretta, ne denunziava la erroneità nella parte in cui il primo giudice aveva ritenuto insufficiente tale circostanza per affermare la illegittimità della operazione che, al contrario, doveva solo per questo e per non essere stata palesata all'investitore e da questi autorizzata per iscritto ritenersi vietata dalla normativa di settore. Orbene, si deve in primo luogo richiamare quanto affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l'intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nell'articolo 1 del d.lgs. 24 febbraio 1998, numero 58, essendo essa una delle modalità con le quali l'intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente. Ne deriva che l'esecuzione dell'ordine in conto proprio non comporta, di per sé sola, l’annullabilità dell'atto ai sensi degli articolo 1394 o 1395 cod. civ. cfr., così, ad esempio, Cass. Civ., I, 22.12.2011 numero 28.432 . In punto di fatto, poi, vanno ribadite le conclusioni cui il Tribunale era pervenuto in precedenza circa il fatto che la banca aveva acquistato le obbligazioni Parmalat al solo fine di girarle al V., non possedendole nel proprio portafoglio e, pertanto, non avendo, di fatto ed indipendentemente dalla forma della cessione , un interesse diretto alla loro collocazione, potenzialmente in contrasto con quello del cliente cfr., in una ipotesi di trasferimento sul cliente del rischio connesso al possesso di titoli Parmalat nel portafogli della banca, Trib. Venezia, Sez. I, 29.9.2005, pubblicata su Il Caso.it . Sul quarto motivo di appello Con un quarto motivo, ancora, il V. ha contestato le affermazioni contenute in sentenza circa la possibilità di desumere la sua propensione al rischio dai precedenti investimenti, trattandosi di affermazione errata in via di principio e, più in particolare, nel caso di specie avendo il Tribunale omesso di considerare che, prima di acquistare i titoli Parmalat che avevano assorbito circa il 50% dei suoi risparmi , egli aveva dismesso le quote del fondo azionario, in precedenza possedute, dirottando i proventi sull'acquisto di BPT. È pacifico e non contestato che il V. si era rifiutato di fornire notizie circa la sua propensione al rischio ciò non di meno va chiarito che in tema di intermediazione mobiliare, l’intermediario finanziario, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi, non è esonerato dall'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione di investimento nel caso in cui l'investitore nel contratto-quadro si sia rifiutato di fornire informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso come, ad esempio, l'età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato cfr., così, Cass. Civ., I, 19.10.2012 numero 18.039 . Tra gli elementi che l'intermediario ha la necessità di valutare, pertanto, non possono non rientrare anche le precedenti scelte del cliente. Nel caso di specie, come si desume dalla composizione del portafoglio del V. quale rappresentato dalla banca nella documentazione prodotta in primo grado e non contestata cfr., doc. all. sub 3 del fascicolo di parte convenuta nel giudizio di primo grado , risulta che, al 31.12.2002, le obbligazioni Parmalat rappresentavano il 29% del patrimonio investito, a fronte del 57% investito su un rischio medio, ed un 8% investito su un rischio basso. Si tratta di una composizione diversa rispetto a quella esistente al 31.12.2001 che, infatti, prevedeva una quota pari al 32% di patrimonio investito su un rischio alto ed un 40% investito su un rischio medio complessivamente, pertanto, l'acquisto dei titoli Parmalat ha modificato il quadro degli investimenti del V. in termini meno esposti. Di qui la sostanziale coerenza dell'investimento, quale valutabile in quel momento, rispetto alle propensioni al rischio palesate dal V. sino a quel momento. Sull'appello incidentale della banca La considerazione della contestualità tra l'acquisto dei titoli da parte della banca e la loro cessione al V. fonda, infine, l'appello incidentale di Cariciv spa in ordine all'accoglimento, da parte del Tribunale, della domanda relativa alla restituzione delle commissioni invece dovute proprio in quanto i titoli di cui si discute non erano presentì nel portafogli della banca. Il motivo è fondato. Le considerazioni spese in precedenza in ordine alla contestualità dell'acquisto di titoli Parmalat da parte della Cariciv per poi, immediatamente, girarle al V., induce infatti a concludere nel senso che la circostanza secondo cui la negoziazione sarebbe avvenuta in contropartita diretta rappresenta un dato meramente formale che, proprio per questa ragione, non può prevalere sulla sostanza dell'operazione che, di fatto, equivale al reperimento dei titoli sul mercato. Il che, dunque, fa ritenere fondata la richiesta della Cariciv relativa alle commissioni. Le spese Il rigetto dell'appello principale e l'accoglimento dell'appello incidentale della Cariciv comporta la condanna del V. a rifondere, in favore dell'appellata, le spese del giudizio di secondo grado. A tal proposito, va segnalato che la liquidazione - operata in dispositivo secondo i valori medi relativi alla fase di appello - viene effettuata con riferimento alla disciplina sul punto vigente al momento della conclusione dell'attività professionale, ovvero al momento della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Di qui, insomma, l'applicazione del regime di liquidazione delle spese come introdotto dal DM 140 del 2012 cfr., sul punto specifico, da ultimo, Cass. SS.UU., 12.10.2012 numero 17.405, che ha affermato il principio secondo cui in tema di spese processuali, agli effetti dell'articolo 41 del d.m. 20 luglio 2012, numero 140, il quale ha dato attuazione all'articolo 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n, 1, convertito in legge 24 marzo 2012, numero 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l'accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata . P.Q.M. La Corte definitivamente pronunziando sull'appello principale proposto da B. V. V. e sull'appello incidentale proposto da Cassa di Risparmio di Civitavecchia spa avverso la sentenza numero 339/2008 resa dal Tribunale di Civitavecchia, pubblicata in data 25.3.2008 respinge l'appello principale e, in accoglimento dell'appello incidentale, parzialmente riformando l'appellata sentenza, confermata per il resto, condanna B. V. V. al pagamento, in favore della Cassa di Risparmio di Civitavecchia spa, della somma di Euro 615,96, oltre interessi legali dalla domanda al saldo condanna B. V. V. a rifondere, in favore dell'appellata Cassa di Risparmio di Civitavecchia spa, le spese del giudizio di appello, che liquida in complessivi Euro 6.600,00, oltre Iva e Cpa, come per legge.