Il reddito imponibile del contribuente Amministratore di condominio può essere calcolato dall’Amministrazione Finanziaria sulla base del numero dei condomini amministrati.
Il contribuente deve portare in giudizio idonea documentazione atta a dimostrare che il reddito accertato non era reale ad esempio attraverso i verbali delle assemblee contenenti i compensi a lui spettanti e deve indicare i diversi esiti a cui si può giungere in base a tale documentazione. In mancanza di validi elementi di prova, occorre approvare l'operato del Fisco. Tale assunto è stato statuito dalla sentenza numero 5473 della Corte di Cassazione del 5 marzo 2013. Il caso. L’accertamento per Iva, Irpef e Irap è stato emesso a seguito di risposta a un questionario e l’applicazione degli studi di settore è stata integrata da una rilevazione analitica dei condomini di cui il contribuente risultava amministratore. Il giudice del gravame ha confermato l’operato dell’Ufficio, poiché il contribuente non aveva comprovato né che il reddito dichiarato corrispondeva a quello effettivo né che gli studi di settore non erano applicabili nella fattispecie. Nel ricorso per cassazione il contribuente ha censurato l’erroneità del sistema di calcolo utilizzato dall’Ufficio Finanziario, ai fini della ricostruzione del reddito effettivo per l’anno d’imposta 2002. Le affermazioni del contribuente sono generiche ed astratte. Secondo gli Ermellini , il giudice del gravame ha omesso di esaminare la documentazione prodotta in giudizio nella specie, i verbali dei condomini amministrati da cui si sarebbe dovuto desumere ciascun singolo compenso attributo all’amministratore del condominio . Tuttavia , «la parte ricorrente non solo non ha specificato dove e quando queste produzioni sarebbero state effettuate, ma non ha neppure descritto specificamente e con dettaglio delle risultanze di detti verbali quali sarebbero i diversi esiti a cui avrebbe dovuto giungere la verifica del giudicante se avesse tenuto conto del contenuto di tali asserite produzioni». Insomma, per la Corte, il contribuente si è limitato ad affermazioni generiche e astratte che nulla hanno potuto rispetto alla presunzione del Fisco. L’unico dato ricostruito induttivamente è il «compenso medio». In ogni caso, per come emerso dagli atti di causa, l’Ufficio non ha considerato le sole quote di ammortamento non risultanti in contabilità e i costi non inerenti, ma ha anche tenuto conto di ciascuno dei condomini amministrati, sicché l’unico dato induttivamente ricostruito è risultato essere quello del «compenso medio» per ciascun incarico di amministrazione, «a contrasto del quale non avrebbe potuto mancare al contribuente la maniera per dare analiticamente conto dei redditi effettivamente percepiti». Conta anche il numero di condomini amministrati. Risulta legittimo l'accertamento Iva, Irpef ed Irap, diretto ad un amministratore di condominio, basato anche sul numero dei condomini amministrati, oltre che sulle quote di ammortamento non risultanti in contabilità. Conclusioni precedenti interventi del giudice di legittimità. La prova liberatoria che consenta di superare la presunzione di cui all'articolo 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, e secondo cui le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l'accertamento Iva, non può essere meramente generica e cioè relativa all'attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione. Perciò non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio ma è necessario fornisca la prova specifica - rectius analitica - della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui, diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato Cass. civ. Sez. V, numero 18081/2010, Cass. civ. Sez. V, numero 25473/2008 . L'amministratore di una pluralità di condomini svolge un'attività professionale autonoma, senza coordinamento con un soggetto titolare di un'attività o di un'impresa e non può, quindi, essere considerato un collaboratore, ai fini della disciplina di cui all'articolo 49 TUIR, mancando l'elemento dell'unitarietà del rapporto con il beneficiario della prestazione. Ne consegue che il compenso a lui versato va assoggettato ad Iva, in quanto, mancando il requisito del coordinamento, viene meno il presupposto, previsto dall'articolo 5, comma 2, d.p.r. numero 633/1972 per escludere l'applicazione della relativa disciplina.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile T, sentenza 16 gennaio 5 marzo 2013, numero 5473 Presidente Cicala – Relatore Caracciolo Osserva C.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Roma numero 49-07-2010, depositata il 16.02.2010, con la quale -in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento e conseguente cartella di pagamento per IVA-IRPEF-IRAP per l'anno 2002 adottato a seguito di risposta a questionario la Commissione ha ritenuto che l'accertamento non fosse basato solo sugli studi di settore, avendo l'Agenzia tenuto presente -nella ricostruzione del reddito i proventi derivanti dal contributo della società S. e le quote di ammortamento non risultanti in contabilità oltre a costi non inerenti. D'altronde, il contribuente non aveva comprovato né che il reddito dichiarato corrispondesse a quello effettivo né che gli studi di settore la cui applicazione era stata integrata da una precisa rilevazione analitica dei condomini di cui il contribuente risultava amministratore non potessero trovare applicazione nella fattispecie. Il C. ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi. L'Agenzia non si è costituita. Il ricorso ai sensi dell'art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore può essere definito ai sensi dell'art.375 cpc. Il motivo di ricorso rubricato come Insufficiente e carente motivazione, in relazione all’art.360 primo comma numero 5 cpc appare inammissibile perché è connotato dal difetto del requisito di autosufficienza. Nel censurare la decisione del giudice di appello per avere omesso di esaminare La ampia documentazione prodotta in giudizio i verbali dei condomini amministrati da cui si dovrebbe desumere ciascun singolo compenso attribuito al contribuente la parte ricorrente non solo non ha specificato dove e quando queste produzioni sarebbero state effettuate, ma non ha neppure descritto specificamente e con dettaglio delle risultanze di detti verbali quali sarebbero i diversi esiti a cui avrebbe dovuto giungere la verifica del giudicante se avesse tenuto conto del contenuto di tali asserite produzioni. A tutto ciò la parte ricorrente avrebbe dovuto essere assolvere con modalità peculiarmente rigorose, alla luce delle considerazioni contenute nella sentenza impugnata dove si dice proprio che il contribuente si limita ad affermazioni del tutto generiche ed astratte, senza fornire alcun valido elemento di prova . In difetto di ciò non resta che concludere nei termini di cui si è detto. Con il secondo motivo di ricorso improntato alla violazione dell'art.39 co.2 lettera d bis del DPR numero 600/1973 la parte contribuente si duole che il giudicante abbia ritenuto che la metodologia di accertamento non fosse di genere induttivo puro , per quanto l'Agenzia avesse effettuato una ricostruzione completamente automatica e basta sulla media dei compensi per l’anno verificato. Il motivo, oltre che inammissibile per l'omessa autosufficiente ricostruzione del contenuto del provvedimento impositivo ai fini della vaglio della natura della metodologia ricostruttiva, appare anche evidentemente infondato. Si è già detto, riassumendo il contenuto della motivazione del provvedimento impugnato, che l'Amministrazione ebbe a considerare non solo i dati analitici relativi al contributo della società S. e le quote di ammortamento non risultanti in contabilità oltre a costi non inerenti ma anche che l'Amministrazione tenne conto dei ciascuno dei condomini amministrati, sicché l'unico dato induttivamente ricostruito risulta essere quello del compenso medio per ciascun incarico di amministrazione, a contrasto del quale non avrebbe potuto mancare al contribuente la maniera per dare analiticamente conto dei redditi effettivamente percepiti. In ultimo, egualmente inammissibile appare il terzo motivo di impugnazione, nel quale non sono specificamente indicate le norme di legge la cui violazione costituisce il vizio su cui la censura si fonda. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità. che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.