Solo irregolare la notifica compiuta presso il primo domicilio dichiarato

Nonostante l’imputato avesse prima dichiarato la mutazione del domicilio. L’irregolarità può essere fatta valere solo fino agli atti preliminari del dibattimento.

Uno sciagurato incidente. Un malandato camion, carico di tonnellate di merce, sbanda ed invade la corsia opposta, deceduti sul colpo tutti gli occupanti dei mezzi. Imputati l’amministratore della società che disponeva del mezzo pesante, assolutamente inidoneo alla messa in circolazione per la vetustà del mezzo, e il direttore della motorizzazione civile locale che pochi mesi prima aveva emesso verdetto positivo alla revisione del mezzo, nonostante non disponesse dei requisiti strutturali necessari per la messa in strada. La Cassazione, Quarta sezione Penale, n. 4388 depositata il 30 gennaio 2014, precisa in punto di responsabilità colposa del direttore dell’ente revisionante e su alcuni vizi processuali invocati dai ricorrenti. Muta medio tempore il domicilio dell’imputato, la notifica presso il primo domicilio è solo irregolare. Il primo domicilio fu poi mutato con comunicazione presso la cancelleria, l’imputato ebbe comunque modo di conoscerne il contenuto e di partecipare all’udienza fissata per il dibattimento. Si tratta di mera irregolarità e dunque di nullità intermedia , siccome vertente sulle sole modalità della procedura di notifica – nel caso, la comunicazione era stata acquisita dalla sorella dell’imputato -, inidonea a pregiudicare la conoscenza dell’atto. L’assunto che rileva dalla pronuncia mutato medio tempore il domicilio, la notifica effettuata presso il primo domicilio realizza una semplice irregolarità . Va eccepita in quanto atto preliminare al dibattimento, nei tempi dell’art. 491 c.p.p., e non successivamente, ad esempio per la prima volta in sede di ricorso per Cassazione come ha inteso fare il ricorrente imputato. Solo nel caso di notifica assolutamente omessa o mancante , soccorrono le cesoie dell’insanabilità del vizio, la nullità è invocabile in ogni stato e grado del giudizio senza preclusioni temporali o di fase processuale. La regola violata nel reato colposo inutili le direttive emesse dall’ente di appartenenza che avrebbero imposto il comportamento lesivo. Le circolari della motorizzazione civile avrebbero imposto al direttore di revisionare qualunque veicolo, anche proveniente da una diversa provincia, sebbene la locale struttura dell’ente revisionante non fosse in grado di verificare integralmente l’idoneità alla messa in strada del camion – mancava il frenometro -. Fra le due previsioni – l’una, la norma generale , che imponeva al direttore di non cagionare pregiudizio all’altrui incolumità, l’altra, la circolare, di rango secondario , che imponeva la procedura di revisione per ogni richiedente – va fatta prevalere quella, violata nel caso, che impediva al direttore dell’ente il rilascio dell’attestato di avvenuta revisione per l’inidoneità degli strumenti di verifica a disposizione. La seconda, inoltre, è previsione di rango secondario, nemmeno invocabile ai sensi dell’esimente di cui all’art. 51 c.p. – che prescrive il valore normativo della disciplina che impone il comportamento delittuoso -. Ammessa la motivazione ridotta od implicita sulla mancata concessione delle attenuanti o sul giudizio di comparazione. La Cassazione copre” quei giudizi che liquidano con agevoli eccessi di sintesi la mancata concessione di benefici di pena per l’imputato – in punto di dosimetria della sanzione, dunque sul giudizio di comparazione fra le circostanze -. Ammessa la motivazione implicita , la Cassazione sconfessa alcune obiezioni dottrinarie – o meno recenti giurisprudenziali - che mostrano di non ritenere sufficienti formule di stile quali pena adeguata” o congrua”, senza meglio approfondire, in disprezzo dell’art. 132 c.p. che impone compiuta motivazione su ogni parte della decisione giudiziale. Si tratta della conferma di un principio che fa discutere, per la rilevanza sulla misura della pena che può avere la mancata concessione dei benefici che seguono il giudizio sulle attenuanti o il bilanciamento di queste con le aggravanti.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 dicembre 2013 - 30 gennaio 2014, n. 4388 Presidente Brusco – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. S.R. e L.P.G. venivano tratti a giudizio avanti il Tribunale di Genova per rispondere del reato p. e p. dagli art. 113 e 589, commi 1, 2 e 3, cod. pen. perché, nelle rispettive qualità - S.R. di amministratore unico della società Tuscania Car s.r.l. proprietaria della motrice che componeva il complesso veicolare condotto nell'occorso da K.M.B. , L.P.G. di funzionario della motorizzazione civile di Pisa con qualifica di direttore tecnico, autore delle revisioni dei mezzi - in cooperazione tra loro e con l'amministratore unico della società S.K. proprietaria del semirimorchio e con il gestore del lavoro di autotrasporto, cagionavano per colpa la morte del predetto autista del complesso veicolare, nonché di M.L. , D.D. e V.M. , occupanti il veicolo Audi A3 coinvolto nel sinistro. Quest'ultimo era così ricostruito nel capo d'imputazione. In data l'autoarticolato condotto da K.M.B. con un carico di 28 tonnellate di peso, stava procedendo lungo la carreggiata sud dell'autostrada XXX quando, giunto in corrispondenza della chilometrica , prendeva velocità probabilmente a causa della rottura del telaio che inficiava il corretto funzionamento del sistema frenante, già non funzionante con riguardo al semirimorchio. L'autoarticolato, ingovernabile, dapprima urtava il new jersey posto al termine di un'area di sosta, quindi deviava la sua traiettoria verso il centro della carreggiata, si ribaltava sul fianco destro e proseguiva la sua traiettoria strisciando sull'asfalto e urtando violentemente ancora contro il new jersey, sfondandolo ed aprendo così un varco di mt. 72,40. In quest'ultima fase il complesso veicolare agganciava il veicolo Audi A3, che stava procedendo regolarmente sulla corsia di destra, e lo scaraventava giù dal viadotto. L'impatto del veicolo al suolo, dopo un volo di mt. 42, provocava il decesso - per gravissime lesioni multiple - dei tre giovani passeggeri. L'autoarticolato terminava la sua corsa contro il new jersey di sinistra della carreggiata e l'autista, schiacciato all'interno della cabina di guida, decedeva a causa di un'acuta emorragia conseguente alle lesioni. Si contestava agli imputati negligenza, imprudenza, imperizia nonché violazione di norme, regolamenti, ordini e discipline art. 79 cod. strada per aver - il S. , concesso in uso alla società SK s.r.l. la predetta motrice in pessime condizioni di conservazione e certamente non idonea al trasporto, in quanto caratterizzata da un telaio alterato dalla presenza di fori non previsti dalla casa madre e da un inizio di frattura proprio in corrispondenza di tali fori - il L.P. , proceduto alla revisione della motrice e del semirimorchio, rispettivamente in data OMISSIS e in data OMISSIS , certificandone l'idoneità alla circolazione sulla base di un'analisi visiva assai superficiale e senza procedere alle necessarie prove di frenata e per avere così consentito o comunque non impedito la circolazione dell'autoarticolato costituito da una motrice nelle descritte condizioni e da un semirimorchio anch'esso in pessimo stato di conservazione, inidoneo al trasporto in quanto dotato di un impianto frenante assolutamente inefficiente. 2. Con sentenza del 22/12/2010, resa all'esito di giudizio ordinario nella contumacia del S. , il Tribunale di Genova affermava la penale responsabilità di entrambi gli imputati in ordine al reato ascritto e, negate a entrambi le circostanze attenuanti generiche per il ritenuto elevato grado della colpa e della gravità del danno, condannava il L.P. alla pena di anni 6 di reclusione e il S. a quella di anni 5 di reclusione, oltre che al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili. A fondamento di tale decisione osservava in buona sintesi il primo giudice che dalle deposizioni testimoniali e dalla documentazione in atti emergeva come dato sostanzialmente incontroverso che le condizioni di manutenzione dell'autoarticolato erano pessime tali condizioni non potevano ritenersi prodotte negli ultimi nove mesi di circolazione, prima del OMISSIS , data del sinistro, come sostenuto dalla difesa del L.P. , essendo ciò stato motivatamente escluso dal consulente tecnico del PM e a tanto conducendo anche, sul piano logico, la considerazione che si trattava di un mezzo in circolazione da ben 17 anni e che per concludere diversamente in quei pochi mesi il mezzo avrebbe dovuto percorrere almeno 200.000 Km, a fronte invece dei 50 Km effettivi calcolati sulla base del contachilometri le diverse conclusioni del c.t. del L.P. si fondavano prevalentemente su mere ipotesi, quale la velocità eccessiva dell'autista K. assunta come causa primaria e determinante dell'evento. Concludeva pertanto nel senso che, a fronte delle disastrose conseguenze dell'urto del mezzo con il guardrail, che aveva comportato addirittura la rottura a metà del telaio, e considerate anche la presenza di fori e ruggine sul telaio della motrice, la longevità del mezzo, l'assoluta carenza dell'impianto frenante dei semirimorchio, risultava molto più logico ritenere come causa determinante dell'evento iniziale la rottura del telaio e scatenante la sequela di eventi successivi, le precarie condizioni del telaio stesso, che aveva ceduto totalmente al primo impatto con il guardrail ”. La responsabilità del sinistro così ricostruito era quindi ascritta anzitutto al S. in quanto amministratore unico della Tuscania Car S.r.l., proprietaria della motrice, carica non solo formale ma esercitata in concreto, essendo emerso che egli si era occupato dei rapporti tra la Tuscania e la P.A., e in particolare con la motorizzazione civile aveva svolto per anni il ruolo di autista dei camion in quella società ed era quindi soggetto esperto nella conduzione e nella valutazione delle condizioni degli autoveicoli aziendali era titolare di una piccola quota societaria e pertanto non poteva dirsi estraneo e disinteressato all'attività sociale era apparso assai reticente in merito alla sua conoscenza dei mezzi a seguito di contestazioni mossegli con la lettura delle dichiarazioni rese in fase di indagini era perfettamente a conoscenza che spesso i mezzi si recavano per la revisione a e non a sede della Tuscania , circostanza inattendibilmente indicata come del tutto casuale essendo da altre fonti emerso che era piuttosto prassi che dalle province vicine i veicoli fossero condotti a Pisa per le revisioni in quanto ritenuto un centro che le favoriva. Quanto al L.P. , la responsabilità penale del tragico evento gli era attribuita in quanto direttore tecnico della Motorizzazione Civile di che aveva firmato entrambi gli originali dei moduli attestanti l'avvenuta revisione sia della motrice che del semirimorchio, essendo invece certo che le disastrose condizioni di manutenzione dei due mezzi non avrebbero consentito agli stessi di superare un serio esame di revisione. Convergente rilievo in tal senso era attribuito alla riferita prassi di servirsi della sede della motorizzazione di Pisa per effettuare le revisioni di autoveicoli pesanti, risultando ivi più facile superarle poiché la prova di efficienza avveniva a vista sul piazzale della motorizzazione, e senza l'ausilio di strumenti tecnici, quale in particolare il c.d. frenometro . Deponevano in tal senso anche alcuni indizi di fraudolento utilizzo di ricevute relative ad altri veicoli, nonché il fatto che il tagliandino informatico da applicare alla carta di circolazione era presente nel modulo relativo alla revisione del rimorchio ma non in quello relativo alla revisione della motrice. 3. Interposti gravami da parte di entrambi gli imputati - il S. in punto di ricostruzione del suo ruolo e dei suoi compiti all'interno della società, di conoscenza delle reali condizioni del complesso articolato, di regolarità della procedura di revisione della motrice, di estraneità dello stesso a tale procedura, di nesso causale, di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dosimetria della pena il L.P. con riferimento anche lui al nesso causale, alla riferibilità alle date delle revisioni delle condizioni di efficienza dei mezzi, nonché al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla omessa concessione della sospensione condizionale - la Corte d'appello di Genova, con la sentenza in epigrafe indicata, li rigettava, confermando integralmente la sentenza di primo grado. In motivazione la corte territoriale riprendeva e faceva proprie tutte le considerazioni già svolte dal tribunale, salvo che per quanto concerne la dinamica del sinistro per la quale esprimeva il convincimento in parte diverso secondo cui a monte del sinistro non possa che situarsi l'evidente malfunzionamento dell'impianto frenante ”, con la conseguenza che in discesa nonostante l'uso del freno motore, non poteva che verificarsi la perdita di controllo dell'autoarticolato ”, mentre la rottura del telaio non può che averne aggravato le conseguenze ad esempio determinando il distacco del guardrail in misura ben maggiore rispetto all'urto di un veicolo in normali condizioni di carrozzeria ”. 4. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori di fiducia, entrambi gli imputati, il L.P. articolando due motivi, il S. cinque. 4.1. Con il primo motivo L.P.G. deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione art. 606 comma 1, lett. e, cod. proc. pen. , anche in relazione alle specifiche censure dedotte con l'atto d'appello. Lamenta che la Corte d'appello, sostanzialmente riproponendo, pur con qualche novità in punto di determinazione delle cause dell'incidente mortale, la spiegazione dei fatti e delle responsabilità offerta dal tribunale, ha completamente trascurato ” di rispondere ai motivi di appello su tre fondamentali punti 1 l'immotivato scarto della alternativa ricostruzione della dinamica del sinistro offerta dal consulente tecnico della difesa 2 la ritenuta riferibilità delle inadeguate condizioni dei mezzi al momento della loro revisione 3 l'attribuzione al L. della prassi di accettare in revisione veicoli provenienti da altre province, nonostante la Motorizzazione civile di non disponesse di strumentazione idonea a verificare l'efficienza degli impianti frenanti. 4.1.1. Sul primo punto, rileva in particolare che la Corte d'appello si è limitata ad osservare che è evidente che il passaggio da una velocità aggirantesi tra i 78 e i 93 km/h - peraltro toccati in una sola occasione - ad una di 110, per salire poi, dopo 30 secondi a 130, e scendere a 93 all'atto del primo urto, può essere spiegata solo con un malfunzionamento dell'impianto frenante, apparendo la precedente velocità normale ”. Tale motivazione - assume - omette di confrontarsi con la diversa ricostruzione fornita dal consulente tecnico della difesa, operata sulla base dell'analisi congiunta del tracciato del cronotachigrafo e di quello stradale, la quale aveva evidenziato che i l'autoarticolato, a pieno carico ed oltre , dopo una sosta parte per la sua destinazione alle ore 10.25 ii alle 10.40 circa inizia il tratto montuoso verso il valico del Turchino iii fino alle 11.05 circa ora in cui giunge al valico autostradale del Turchino mantiene una velocità variabile mediamente tra i 60 e gli 80 km/h, con numerose accelerazioni e decelerazioni, ed un primo picco di 94 km/h il che dimostra che la guida era tutt'altro che prudenziale velocità oltre i limiti consentiti in percorso di montagna con carico eccessivo o quasi iv alle 11.20 comincia la discesa che, al contrario della salita, è in sensibile pendenza 4.7% per i primi 5 minuti nei quali viene ragguagliato un picco di 94 km/h se in un tratto mediamente in lieve salita tenere la velocità di 94 km/h con un mezzo stracarico è imprudente, nel corso di una forte e lunga discesa è veramente sconsiderato v a dispetto della velocità raggiunta dal complesso veicolare e della fatica alla quale già sono stati sottoposti i freni, essi funzionano ancora, tant'è che l'autoarticolato viene rallentato fino ad un minimo di circa 74 km/h vi seguono ancora accelerazioni e decelerazioni di breve durata ma, subito dopo che il mezzo ha rallentato di nuovo fino a 73 km/h, inizia, nonostante che la pendenza media sia diminuita dal 4,7% al 3,7%, un'accelerazione incontrollata che porta il veicolo ad urtare contro il new jersey alla velocità di 120 km/h ”. Sulla base di tale ricostruzione il consulente tecnico di parte aveva pertanto concluso nel senso che l'inefficienza dell'intero sistema frenante dell'autoarticolato per affaticamento e conseguente fenomeno di fading ” era riconducibile alla sconsiderata condotta di guida del K. ” conclusione - soggiunge l'appellante - avvalorata anche dal fatto che, se di inefficienza originaria si fosse trattato, in ipotesi addirittura anteriore alla revisione, un autista esperto quale in sentenza si assume essere stato il K. , non poteva non avvedersene, come del resto confermato anche dal consulente tecnico del PM nella relazione integrativa dell' omissis . 4.2.2. In ordine al secondo punto, rileva che il convincimento della Corte d'appello, acriticamente adesivo rispetto a quello del primo giudice, si rivela fondato su dichiarazioni rese a s.i.t. dal dr. G. , direttore della motorizzazione civile di Pisa, risolventisi in realtà in nient'altro che una personale valutazione di alcune fotografie del mezzo. Osserva come in tale parte la sentenza incorra in altra contraddizione nella misura in cui valorizza detta vantazione a sua volta basata sul rilievo della presenza di ruggine sul telaio della motrice, dopo avere però poco prima affermato che le considerazioni circa la dinamica del sinistro potevano agevolmente svolgersi a prescindere dalle considerazioni sulla ruggine di cui all'appello S. ” recte appello L. sentenza d'appello, pag. 18 . Rileva ancora che mere congetture, come tali anch'esse inidonee a fondare il convincimento della responsabilità penale dell'imputato, sono i sospetti agitati in ordine alle riscontrate irregolarità dei documenti attestanti l'eseguita revisione. Lamenta inoltre che nessuna risposta è stata offerta al rilievo mosso con l'atto d'appello secondo cui le due anomalie sulla motrice dal consulente tecnico fori praticati sul telaio e inefficienza del freno posteriore risultavano riscontrate dal consulente tecnico del PM attraverso un metodo scientifico non rigoroso e corretto si era infatti rilevato che il giudizio di inefficienza del freno posteriore era basato su una mera osservazione visiva del tamburo e non attraverso una sezione del pezzo e comunque non ne era seguito alcuna valutazione sulla funzionalità dell'impianto frenante della motrice, la valutazione negativa essendo invero inizialmente riferita dal c.t. esclusivamente all'impianto frenante del semirimorchio . Peraltro che la presenza di ruggine sul tamburo non valesse a dimostrare di per sé l'assenza di un'azione frenante si ricavava dal fatto che sui tamburi del semirimorchio, dei quali era stata altrimenti accertata la mancata attivazione a causa dello scollegamento della rotocamera, lo stesso c.t. non aveva osservato alcuno strato di ruggine. In ogni caso, sostiene il ricorrente, nessuna prova vi era della riferibilità di tali anomalie, oltre ogni ragionevole dubbio, ad una data antecedente alla revisione. Rileva in proposito che lo stesso c.t. del PM aveva testualmente ammesso, con riferimento all'impianto frenante del trattore risulta difficile poter dare una giusta data di quando ha smesso di funzionare ” esame et. ingegner Sartini, udienza 10/5/2010, fonoregistrazione p. 72 . Analogamente - rileva ancora il ricorrente - non è spiegato l'espresso convincimento della retrodatazione dei fori presenti sul telaio a data antecedente la revisione, avendo lo stesso c.t. del PM riconosciuto che nove mesi rappresentano uno spazio temporale ampiamente sufficiente per giustificare la presenza di ruggine. Rileva ancora che altra contraddizione segnalata ma rimasta irrisolta in sede di appello riguarda la ritenuta riferibilità delle anomalie riscontrate sul semirimorchio alla data della revisione. Posto invero - osserva il ricorrente - che il consulente tecnico del PM aveva imputato l'inefficienza del sistema frenante del semirimorchio non ad una situazione di degrado ma all'esistenza di una rotocamera scollegata e posto altresì che lo stesso consulente aveva affermato di non poter stabilire quando tale pezzo fosse stato male montato, ne derivava l'impossibilità di far risalire tale operazione, e con essa l'inefficienza dell'impianto frenante del semirimorchio, ad un periodo antecedente la revisione. Rileva peraltro che lo stesso consulente aveva comunque precisato che l'idoneità dei freni del semirimorchio era verificabile anche secondo le modalità a vista in uso presso la motorizzazione di . 4.2.3. In ordine al terzo aspetto in contestazione rileva che i giudici di merito, travisando dati probatori fondamentali, hanno finito con l'attribuire ad esso ricorrente sia la scelta di procedere alla revisione a vista, sia quella di accettare veicoli provenienti da altre province. Evidenzia al riguardo che è una circolare della Direzione generale M.C.T.C, n. 122 del 28/12/1998 a consentire la deroga alla regola generale secondo cui la visita e la prova di revisione devono essere compiute per mezzo delle attrezzature, qualora essa venga eseguita presso un ufficio della motorizzazione che ne sia privo soggiunge che, in ogni caso, non può addebitarsi alla responsabilità di un semplice tecnico, dipendente subordinato, quale egli è, la mancanza di attrezzature nell'ufficio ove opera. Quanto poi all'ordine di servizio emanato il 16/10/2003 dal direttore della motorizzazione di XXXX, indicato in sentenza a riprova dell'esistenza della tendenza da quella nota contrastata a portare per la revisione in quella sede veicoli provenienti anche da altre province, rileva che, da un lato, essa in realtà si limitava a stabilire che potessero essere sottoposte a revisione presso la sede pisana tutti i veicoli i cui intestatari residenti in altra provincia ne facessero richiesta a condizione che tale richiesta fosse adeguatamente motivata e, dall'altro, rappresentava comunque la migliore dimostrazione della propria estraneità a tale aspetto della vicenda, non avendo egli alcun potere di incidere su tale prassi. 4.2. Con il secondo motivo il L.P. deduce vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio e di mancata concessione delle attenuanti generiche. Rileva al riguardo che la motivazione adottata dalla corte territoriale risulta meramente di stile e non si misura con i contorni del fatto storico e, in particolare, con il concorso di colpa di altri soggetti e con l'indubitabile assenza in capo allo stesso di alcun reale potere direttivo e dispositivo all'interno del proprio ufficio, non tenendo peraltro in alcun conto la sua incensuratezza. 5.1. Con il primo motivo, S.R. deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità artt. 178, 179 e 487 cod. proc. pen. . Rileva che, in relazione al presente procedimento, in data 23/11/2006, nel corso dell'interrogatorio davanti alla polizia giudiziaria della procura della Repubblica del tribunale di Genova, egli aveva modificato la precedente elezione di domicilio presso la figlia S.S. in OMISSIS in sede di identificazione davanti alla Guardia di Finanza, nucleo P.T. di , fissandola presso il proprio domicilio in omissis e che nondimeno i successivi atti processuali a lui diretti erano inspiegabilmente recapitati ancora presso la residenza della figlia. Rileva che anche l'avviso di fissazione del giudizio d'appello rimaneva per tal motivo non ritirato ed egli pertanto non aveva notizia del processo, al quale conseguentemente non partecipava, venendo dichiarato contumace. 5.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva art. 606, comma 1 lett. d cod. proc. pen. . Rileva che, al fine di fare chiarezza sul proprio ruolo e sui propri compiti all'interno della società, aveva chiesto, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., l'esame del teste B.A. , professionista incaricato di provvedere agli incombenti amministrativi relativi agli automezzi dell'azienda, il quale avrebbe potuto fornire informazioni decisive circa l'effettiva conoscenza in capo ad esso ricorrente dello stato di efficienza della motrice richiesta - assume - immotivatamente disattesa dalla Corte d'appello con mero rimando alle frettolose considerazioni al riguardo svolte dal primo giudice. 5.3. Con il terzo motivo deduce mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in punto di ricostruzione delle cause del sinistro. Si duole della mancata considerazione della tesi sul punto argomentata dal c.t. dell'altro imputato, peraltro avvalorata dalle dichiarazioni di alcuni testi della difesa ”, che avevano confermato la propensione dell'autista a tenere, nella guida degli automezzi che gli venivano affidati, una velocità superiore al consentito, al fine di effettuare un maggior numero di viaggi. Soggiunge al riguardo che, peraltro, l'aver accolto una ricostruzione parzialmente diversa circa le cause del sinistro, avrebbe comunque dovuto indurre la corte d'appello ad attribuire ad esso ricorrente un grado di responsabilità più basso rispetto a quello ritenuto in prime cure, con il conseguente temperamento della pena. 5.4. Con il quarto motivo deduce ancora violazione del criterio di giudizio di cui all'ari . 533 cod. proc. pen., secondo cui la responsabilità dell'imputato può essere affermata solo quando risulti provata al di là di ogni ragionevole dubbio ”. Rileva al riguardo che non risultano illustrate in sentenza in modo convincente le ragioni della esclusione di ipotesi alternative rispetto a quella della responsabilità dell'imputato, sebbene le stesse fossero prospettabili alla luce delle conclusioni contenute nell'elaborato dal consulente tecnico di parte, Ing. Sc. . 5.5. Con il quinto e ultimo motivo, il ricorrente deduce violazione di norma penale e vizio di motivazione in ordine alla negata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Rileva al riguardo che sul punto la sentenza risulta carente di motivazione, non avendo in particolare considerato le limitate funzioni da lui svolte nell'ambito della società Tuscania, quasi esclusivamente formali, e comunque estranee alle scelte gestionali ed operative della stessa e omettendo altresì di dare il dovuto rilievo alla sua incensuratezza al qual fine rimarca che la norma che ne limita l'efficacia sotto tale profilo è entrata in vigore in epoca successiva rispetto alla data di commissione dei reati , nonché alla sua età non più giovane e al suo corretto comportamento processuale. Considerato in diritto 6. Va preliminarmente esaminato il primo motivo del ricorso proposto da S.R. con il quale si deduce la nullità della notifica dell'avviso di fissazione del giudizio d'appello e degli atti successivi in quanto effettuata presso la residenza della figlia S.S. , originariamente eletta a domicilio, nonostante l'asserita successiva dichiarazione di domicilio presso la propria abitazione in omissis . Deve sul punto rilevarsi che non si rinviene nel fascicolo processuale l'atto che, secondo quanto dedotto in ricorso, conterrebbe la nuova elezione di domicilio interrogatorio del 23/11/2006 davanti alla Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica del Tribunale di Genova . Un approfondimento sul punto si rivela comunque ultroneo alla luce dei rilievi che seguono. Deve anzitutto osservarsi che la tempestiva impugnazione proposta dal difensore avverso la sentenza del Tribunale ha comunque travolto ogni eventuale irregolarità della notificazione dell'estratto contumaciale della stessa, integrando il raggiungimento dello scopo cui la notificazione medesima era finalizzata. Va poi rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con sentenza, n. 119 del 27/10/2004 dep. 07/01/2005 , Palumbo, Rv. 229539 -hanno affermato il principio secondo il quale, in tema di notificazione della citazione all'imputato, la nullità assoluta ed insanabile prevista dall'art. 179 cod. proc. pen., ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato. La medesima nullità non ricorre, invece, nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l'applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 cod. proc. pen., trattandosi di nullità a regime intermedio. Nell'ipotesi considerata la notifica in parola, anziché essere stata effettuata nel domicilio che si afferma essere stato successivamente dichiarato, è stata eseguita nel luogo di residenza della figlia dell'imputato, già in precedenza eletto a domicilio. Ove dunque vi fosse effettivamente stata la dedotta successiva dichiarazione di domicilio ipotesi, come detto, non verificabile , non sarebbe da revocare in dubbio che la notifica è avvenuta in forme diverse da quelle prescritte, ma dovrebbe nondimeno ammettersi che il mezzo diverso era comunque idoneo a determinare l'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'imputato. Si sarebbe trattato dunque di mera irregolarità, idonea a determinare al più una nullità a regime intermedio che, come tale, avrebbe dovuto essere dedotta nella fase di trattazione delle questioni preliminari ex art. 491 cod. proc. pen Evidente, quindi, la tardività della eccezione, proposta solo con il ricorso per Cassazione, tanto più se si considera che del giudizio di appello era stato ritualmente avvisato il difensore, il quale, essendo stato presente al successivo dibattimento, ben avrebbe potuto sollevare tempestivamente l'eccezione. La mancata proposizione nei termini di cui all'art. 491 cod. proc. pen. sana il vizio, mancando la prova che la notificazione della citazione, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, sia risultata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato v. in tal senso ancora Sez. U. n. 119/2005 cit., in motivazione, par. 7, in fine cfr. anche Sez. 6, n. 3895 del 04/12/2008 - dep. 28/01/2009, Alberti, Rv. 242641 . 7. Passando a esaminare le ulteriori doglianze formulate dai ricorrenti, attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, appare utile ricordare, in via preliminare, i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito. Invero, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile a l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l'ulteriore precisazione, quanto alla illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente manifesta illogicità ” , cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento v. e pluribus Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, non mass. sul punto . In altri termini, l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi , in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali Sez. 4, n. 4858 del 04/12/2003 - dep. 06/02/2004, Cozzolino, non mass. sul punto . Inoltre, va precisato, che il vizio della manifesta illogicità ” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa ”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica Sez. 4, n. 19710 del 2009, Buraschi, cit. . I limiti del sindacato della Corte non possono considerarsi mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen., intervenuta a seguito della legge 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia a sia effettiva e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non sia manifestamente illogica , in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica c non sia internamente contraddittoria , ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute d non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione c.d. autosufficienza in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli atti del processo , possa esservi spazio per una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto. Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione. Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata regge al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione. 7.1. Tanto deve anzitutto affermarsi con riferimento alle doglianze, congiuntamente esaminabili, con le quali entrambi i ricorrenti censurano la ricostruzione delle cause del sinistro stradale e la sua riconduzione alle pessime condizioni di manutenzione dell'autoarticolato, piuttosto che ad uno straordinario affaticamento del sistema frenante contingentemente dovuto alla condotta di guida del suo conducente ricorso L.P. , primo motivo, primo profilo ricorso S. , terzo e quarto motivo . Le considerazioni di dettaglio svolte nei ricorsi, e in particolare in quello del L.P. , con richiamo alle osservazioni del consulente tecnico di parte, risultando comunque esse stesse muoversi su dati incerti e meramente ipotetici, non appaiono tali da infirmare la tenuta logica interna delle pur sintetiche risposte ad esse dedicate dai giudici di merito, le quali trovano in particolare punti di forza nelle considerazioni, in sé rimaste inconfutate, secondo cui dall'istruzione acquisita emerge come dato sostanzialmente incontroverso che le condizioni di manutenzione dell'autoarticolato erano pessime tali condizioni non potevano ritenersi prodotte negli ultimi nove mesi di circolazione, prima del 02/08/2005, data del sinistro, come sostenuto dalla difesa del L.P. , essendo ciò stato motivatamente escluso dal consulente tecnico del PM e a tanto conducendo anche, sul piano logico, la considerazione che si trattava di un mezzo in circolazione da ben 17 anni e che per concludere diversamente in quei pochi mesi il mezzo avrebbe dovuto percorrere almeno 200.000 Km, a fronte invece dei 50 Km effettivi calcolati sulla base del contachilometri il consulente tecnico del P.M. aveva evidenziato per diversi profili il malfunzionamento del sistema frenante le critiche mosse al metodo valutativo ed agli argomenti al riguardo svolti non appaiono dotate di tale pregnanza logica da infirmarne la validità, dovendosi del resto considerare che la tesi contrapposta - affaticamento contingente dal sistema frenante - non risulta di per sé dotata di evidenza tale da porsi come plausibile ricostruzione alternativa restando comunque indimostrato e anche poco verosimile che una condotta di guida quale quella testimoniata dalle registrazioni del cronotachigrafo e dal tracciato stradale, per quanto spinta a tratti fino ai 94 km/h, non potesse essere sopportata da un sistema frenante in condizioni di normale efficienza, come del resto dimostra il fatto, desumibile proprio dal tracciato del cronotachigrafo, che il suo cedimento si è verificato, in modo brusco e verticale, in un momento in cui la velocità del mezzo - 73 km/h - era tenuta al di sotto del limite massimo consentito e la pendenza media della strada era pure diminuita . Né indice di debolezza o inadeguatezza argomentativa può vedersi nell'apparente contrasto rilevabile tra le due sentenze di merito in punto di antecedenza eziologica del malfunzionamento del sistema frenante rispetto al cedimento del telaio, atteso che le considerazioni al riguardo svolte nelle due sentenze, da un lato, se lette in riferimento agli specifici scopi argomentativi per i quali sono utilizzate, non rivelano uno stridente conflitto logico il giudice di primo grado invero, nell'attribuire preminente rilevanza alle condizioni di grave ammaloramento del telaio, sembra riferirsi più che altro alle conseguenze disastrose del primo impatto del mezzo con il new jersey e non alle precedenti cause di tale impatto, cui invece si riferisce il giudice d'appello nell'ascriverle al malfunzionamento del sistema frenante dall'altro valgono comunque entrambe ad evidenziare condizioni patologiche del mezzo entrambe concorrenti nella causazione del sinistro. 7.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche quanto alle censure che nell'uno e nell'altro ricorso sono dirette a contestare il convincimento espresso dai giudici di merito circa l'imputabilità del sinistro così ricostruito alle condotte colpose dell'uno e dell'altro imputato. 7.2.1. Anche sul punto le considerazioni del L.P. primo motivo, secondo e terzo profilo si rivelano inidonee ad evidenziare profili di evidente incoerenza logica. Nessuna patente contraddizione si ravvisa, invero, nelle considerazioni svolte dai giudici di merito essendo queste essenzialmente e del tutto plausibilmente fondate sul dato incontestato della vetustà e della generale pessima condizione di manutenzione dell'autoarticolato nel suo complesso e segnatamente del telaio e del sistema frenante, tale da non potersi presumere che tali condizioni non fossero rilevabili al momento della revisione potendosi a ciò aggiungere che meno ancora esse comunque avrebbero potuto consentire, per elementare diligenza, di accettare l'autoarticolato ad una revisione meramente a vista , tanto meno con esito positivo . Nessun rilievo in tale valutazione può poi assumere la circostanza che l'accettazione a revisione di veicoli provenienti da altre province non rispondesse a scelte del predetto né fosse da lui governabile, il che del resto non è nemmeno sostenuto nella sentenza impugnata che segnala la circostanza solo quale indizio in effetti logicamente conferente del fatto che, in quel centro, le revisioni fossero più facili da ottenere ed è questo aspetto che, riguardando le modalità con cui di fatto tale attività era svolta, investe certamente condotte riferibili quanto meno anche all'odierno ricorrente . 7.3. Quanto poi alla posizione del S. , l'affermazione della sua responsabilità risulta congruamente argomentata in relazione alla sua posizione di amministratore unico della società proprietaria della motrice. Le considerazioni critiche svolte dal predetto circa l'omessa ammissione di prove asseritamente idonee a dimostrare la sua mancata conoscenza delle reali condizioni del mezzo secondo motivo , si appalesano infondate avendo la sentenza d'appello adeguatamente motivato la propria decisione sul punto, evidenziando il carattere non decisivo del teste richiesto B.A. in relazione agli altri elementi di prova acquisiti e dettagliatamente passati in rassegna v. pagg. 16 - 17 della sentenza , tra i quali in particolare assume evidente rilievo dirimente la considerazione, in sé logicamente congrua e in diritto corretta, e che non risulta affatto abbandonata né contraddetta dalle successive argomentazioni, secondo cui - a tutto concedere - comunque la responsabilità dell'amministratore si affianca e non è sostituita da quella dell'eventuale amministratore di fatto ”. 8. Sono, infine, altresì infondate le censure che entrambi i ricorrenti dedicano al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle attenuanti generiche secondo motivo del ricorso L.P. , quinto motivo del ricorso S. . In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142 o con formule sintetiche tipo si ritiene congrua v. Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583 , ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico Sez. 3, n. 26908 del 22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298 . Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, tanto che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso ” Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 . Parimenti, con specifico riferimento alla dosimetria della pena, trovasi condivisibilmente precisato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale ” Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278 . In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la quantificazione della pena ovvero il diniego delle attenuanti generiche siano frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si espongano a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo sia pure sinteticamente ma specificamente motivato sul punto facendo in particolare riferimento all'elevato grado della colpa e alla gravità del danno. 9. I ricorsi vanno pertanto entrambi rigettati con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre che alla rifusione delle spese sostenute per il presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.750,00 a favore di K.S.F. e in complessivi Euro 7.680,00 per M.R. e altri. Oltre, per tutti, accessori come per legge.