Con ordinanza della III sezione della Suprema Corte n. 20245 del 4-28 aprile 2017 è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto relativa all’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto se l’art. 131-bis c.p. sia applicabile nei procedimenti che si svolgono davanti al giudice di pace .
All’udienza del 22 giugno 2017 le Sezioni Unite, sulle conclusioni conforme del Procuratore Generale, hanno risolto il contrasto formatosi tra i due contrapposti orientamenti, fornendo risposta negativa informazione provvisoria n. 14 . Una indispensabile premessa. In attesa delle motivazioni del Massimo Consesso in ordine alla soluzione adottata alla quaestio iuris sottopostale, il presente contributo non vuole essere né potrebbe esserlo una sorta di commento anticipato sulle future argomentazioni della sentenza, che si leggeremo con immutato rispetto e attenzione. Vedremo, in particolare, se il Supremo Collegio nell’accogliere l’orientamento maggioritario che escludeva l’applicazione del 131- bis c.p. ai procedimenti dinanzi al Giudice di Pace, darà, come spesso accade, preziose indicazioni sul pregio del decisum , attraverso la valorizzazione dell’uno piuttosto che dell’altro istituto. I due diversi orientamenti giurisprudenziali di legittimità. È noto, infatti, che secondo l’orientamento ampiamente maggioritario ex multis , Sez. V, nn. 54173, 55039, 47523, 47518, 45996, 26854, del 2016, Sez. VII, n. 1510 del 2016 Sez. feriale, n. 38876 del 2015 Sez. IV, n. 31920 del 2015 , la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131- bis c.p. non è applicabile ai procedimenti relativi a reati di competenza del Giudice di Pace, per i quali trova applicazione soltanto la disciplina speciale di cui all’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che si inscrive nell’ambito della finalità conciliativa che caratterizza la giurisdizione penale del giudice di pace. Alla luce delle differenze sussistenti tra i due istituti, si giunge ad escludere che il d.lgs. n. 274/2000, art. 34 sia stato tacitamente abrogato dalla novella del 2015, non sussistendo il presupposto dell’incompatibilità tra le due diverse discipline, come confermato dai lavori preparatori della novella del 2015 Sez. Fer., n. 38876/2015 . Tale conclusione troverebbe conferma nell’art. 16 c.p. secondo cui nei rapporti tra il codice penale, come legge generale, e le leggi speciali, le disposizioni del primo si applicano anche alle materie regolate dalle seconde in quanto non sia da queste diversamente stabilito ricorre quest’ultima ipotesi nel caso in esame, alla luce dei profili di specialità propri della disciplina ad hoc delineata dall’art. 34 cit., la sola applicabile nel procedimento davanti al Giudice di Pace. L’altro orientamento. Secondo un indirizzo interpretativo minoritario Sez. V, n. 9713/2017 Sez. IV, n. 40699/2016 , invece, la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131- bis c.p. si distingue strutturalmente dall’ipotesi di esclusione della procedibilità prevista dall’art. 34 d.lgs. n. 274/2000, perché le differenze fra i due istituti e la disciplina sostanzialmente di maggior favore prevista dall’art. 131- bis inducono a ritenere che quest’ultimo sia applicabile nel rispetto dei soli limiti espressamente indicati dalla norma a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del Giudice di Pace, anche perché sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale nata per evitare alla persona offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensività, che la coscienza comune percepisce come di minimo disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del Giudice di Pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravità. Questo orientamento giunge alla conclusione tale per cui l’operatività del d.lgs. n. 274/2000, art. 34 deve considerarsi subordinata a condizioni più stringenti di quelle richieste dall’art. 131- bis c.p., in quanto la prima norma esige che il fatto e non solo l’offesa sia di particolare tenuità e perché l’esistenza oggettivamente valutata di un interesse della persona offesa preclude l’immediata definizione del procedimento. E non si tratterebbe di differenze di poco conto, perché il fatto previsto dall’art. 34 cit. può sebbene rechi una minima offesa all’interesse protetto non essere di particolare tenuità per mancanza di occasionalità elemento da cui prescinde, invece, l’art. 131- bis c.p., salve le ipotesi di cui ai commi 2 e 3 , mentre il diverso ruolo giocato per l’art. 34 dall’interesse della persona offesa o dal diritto potestativo di questa e dell’imputato, dopo l’esercizio dell’azione penale colloca i due istituti su piani diversi di praticabilità, subordinando l’operatività di quest’ultimo ad una valutazione più ampia di quella richiesta dall’art. 131- bis c.p., che è, invece, ancorato essenzialmente, anche se non solo al grado dell’offesa. Possibili discriminazioni irragionevoli. Proprio alla luce della disciplina dei due istituti, In questa sede preme evidenziare alcuni aspetti pratici che potrebbero portare in futuro ad una rivisitazione della soluzione adottata. Si parte proprio da un caso concreto Tizio viene tratto in giudizio per rispondere del delitto previsto e punito dall’art. 612, comma 2, c.p. minaccia grave , dinanzi al Tribunale in composizione monocratica. Nel corso del giudizio di primo grado, il Giudice, valutata l’adesione dell’imputato e del PM alla causa di non punibilità della particolare tenuità di cui all’art. 131- bis c.p., e sentito il parere non vincolante della persona offesa quindi anche negativo , emette una sentenza assolutoria perché il fatto è particolarmente tenue. Caio, invece, è accusato di minacce lievi art. 612, comma 1, c.p. e citato in giudizio davanti al Giudice di Pace. Alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite la tenuità ex art. 131- bis c.p. non potrà applicarsi nella stessa ipotesi in cui il PM e l’imputato fossero d’accordo, ma il parere contrario della persona offesa, previsto dalla tenuità propria di cui all’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 blocca l’applicazione dell’istituto. In verità il potere di veto della persona offesa è stato ridotto dalle Sezioni Unite le quali hanno affermato che nel procedimento davanti al Giudice di Pace, dopo l’esercizio dell'azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell'azione penale per la particolare tenuità del fatto in presenza dei presupposti di cui all'art. 34, comma 1, d.lgs. n. 274/2000 n. 43264/15 . Quindi dopo l’esercizio dell’azione penale, non comparire vuol dire accettare , dandosi così spazio al consenso anche implicito della persona offesa. Lo stesso Giudice applica due istituti tenuità diverse. Il problema è un altro lo stesso Tribunale che per competenza tabellare decide sui reati contro la morale, potrà applicare a Tizio, imputato di minaccia grave la tenuità del fatto ex art. 131- bis senza ledere perlomeno gli interessi risarcitori della parte civile la cui sentenza ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 651- bis c.p.p., fa stato in sede civile o amministrativa in ordine alla commissione del fatto da parte dell’imputato assolto per tenuità . Invece, qualora lo stesso Tribunale giudichi sullo stesso reato di minacce, peraltro nella sua forma più lieve, quale giudice di appello della sentenza di primo grado del Giudice di Pace, non potrà applicarlo se la persona offesa frappone il veto. Sotto tale profilo vedremo se lo stesso verrà esplorato nelle attese motivazioni delle Sezioni Unite i Tribunali potrebbero continuare ad applicare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, in contrasto col dictum degli Ermellini, oppure sollevare ex officio incidente di costituzionalità anche sotto tale profilo chiaramente discriminatorio, nell’ottica di un Giudice che giudica sui fatti di minaccia e non può applicare l’istituto più favorevole all’ipotesi di reato più tenue. Pertanto, il discorso sull’inapplicabilità dell’art. 131- bis c.p. davanti al Giudice di Pace, al di là di quelle che saranno le autorevoli motivazioni del Supremo Collegio, sembra essere tutt’altro che chiuso.