Concluso il matrimonio civile: nessuna lesione alla fede cattolica del marito

Respinte le obiezioni mosse dall’uomo e fondate sul fatto che sia ancora in corso il procedimento in ambito ecclesiastico per l’annullamento del vincolo coniugale. Irrilevante il suo credo cattolico.

Inutili le obiezioni del marito, fervente cattolico. Accolta la richiesta della moglie di vedere sancita in Tribunale la cessazione del matrimonio. Irrilevante, checché ne dica l’uomo, il corso del giudizio ecclesiastico sulla nullità del vincolo coniugale. Cassazione, ordinanza numero 25766, sezione sesta civile, depositata il 14 dicembre La cessazione degli effetti civili del matrimonio. Prima in Tribunale e poi in Corte d’appello viene dichiarata «la cessazione degli effetti civili del matrimonio» può ritenersi soddisfatta la donna, che puntava a vedere concluso ufficialmente il rapporto col marito. Rabbiosa, invece, la reazione dell’uomo, che ha richiamato a più riprese la propria fede cattolica e «la pendenza del giudizio ecclesiastico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, già pronunciata in primo grado dal Tribunale ecclesiastico». Per i giudici d’Appello, però, è ormai indiscutibile l’azzeramento della «riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale», e, allo stesso tempo, è «inefficace nell’ordinamento italiano la sentenza di annullamento di matrimonio concordatario prima della sua delibazione con efficacia di giudicato». Respinta anche l’ipotesi di una violazione in materia di «libertà religiosa» dell’uomo, fervente cattolico. Su questo fronte i giudici pongono in rilievo la «non incidenza della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario emessa dal giudice civile sul matrimonio religioso». La non incidenza della fede del coniuge. E questa visione è condivisa ora dalla Cassazione. Anche per i magistrati del “Palazzaccio”, difatti, nonostante le obiezioni mosse dall’uomo, non si può parlare di «lesione» alla sua possibilità di esercitare la propria fede religiosa. Peraltro viene sottolineato che «la decisione della giurisdizione italiana non ha alcuna incidenza sul matrimonio religioso», né, concludono i giudici, «può attribuirsi alcuna rilevanza al credo cattolico» dell’uomo per legittimare la «richiesta di pregiudizialità della giurisdizione cattolica».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 12 ottobre – 14 dicembre 2016, numero 25766 Presidente Dogliotti – Relatore Bisogni Rilevato che in data 22 agosto 2016 è stata depositata relazione ex articolo 380 bis c.p.c. che qui si riporta Rilevato che 1. Il Tribunale di Catania, con sentenza non definitiva del 14 marzo - 4 aprile 2014, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da S.C. e M.L.G.S 2. La sentenza è stata appellata da S.C. che ha rilevato come non era stata considerata dal Tribunale, al fini della deliberazione sulla eccepita improcedibilità o inammissibilità della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, o, subordinatamente, ai fini dell'accoglimento della richiesta di sospensione del giudizio, la pendenza in grado di appello del giudizio ecclesiastico per la dichiarazione di nullità del matrimonio già pronunciata in primo grado dal Tribunale Ecclesiastico Siculo. 3. La Corte d'Appello, con sentenza numero 1248/15, ha respinto l'appello richiamando la giurisprudenza di legittimità che ritiene ormai abrogata, dopo la revisione del Concordato, la riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale Cass. Civ. S.U. numero 1824/1993 e che ritiene inefficace nell'ordinamento italiano la sentenza di annullamento del matrimonio concordatario prima della sua delibazione con efficacia di giudicato Casa. Civ. numero 6754/2014 . La Corte distrettuale catanese ha anche rilevato alla stregua della nota sentenza numero 16379/2014 la non riconoscibilità in Italia di una sentenza ecclesiastica di annullamento di un matrimonio concordatario caratterizzato da almeno tre anni di convivenza dei coniugi, condizione pacificamente esistente nel caso dei coniugi S. e C Ha ritenuto infine la Corte distrettuale catanese la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dall'appellante per violazione da parte della normativa applicata in conformità alla citata giurisprudenza del precetto costituzionale dell'articolo 19 in materia di libertà religiosa per l'assorbente rilievo della non incidenza della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario emessa dal giudice civile sul matrimonio religioso. 4. S.C. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi di impugnazione a violazione e falsa applicazione dell'articolo 70 c.p.c. per l'omessa acquisizione, nel giudizio di merito, della reale posizione assunta nella controversia dal P.M. che ha concluso riportandosi erroneamente al parere già espresso senza rilevare che nessuna presa di posizione era stata esplicitata in precedenza b nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'articolo 360, comma primo numero 4, c.p.c., dovendosi necessariamente acquisire la posizione del P.M. a pena di nullità rilevabile di ufficio c violazione e falsa applicazione dell'articolo 295 c.p.c. in relazione all'articolo 360, comma primo, numero 3 c.p.c. e ulteriori profili di nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. per essere comunque ravvisabile la pregiudizialità del giudizio ecclesiastico alla pari di qualsiasi altro giudizio d violazione e falsa applicazione degli articolo 7 e 19 della Costituzione e dei Patti Lateranensi e in particolare degli articolo 8 e seguenti della legge numero 121 del 25 marzo 1985 per la lesione all'esercizio del credo cattolico del ricorrente insita nella ritenuta non pregiudizialità del giudizio ecclesiastico una volta che venga invocata la persistente validità della dottrina cattolica sul matrimonio e il diritto fondamentale di professare liberamente la propria fede in conformità delle citate disposizioni dei Patti Lateranensi e violazione e falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c. con riferimento al regolamento delle spese processuali poste a carico dell'appellante. 5. Si difende con controricorso M.L.G.S. che rileva la pretestuosità del ricorso di cui chiede il rigetto con condanna al risarcimento del danno ex articolo 96 primo comma c.p.c. Ritenuto che 1. Il ricorso è inammissibile. Quanto ai primi tre motivi esso è palesemente contrario alla giurisprudenza consolidata in tema di partecipazione del P.M. al processo civile e di difetto dí pregiudizialità del giudizio ecclesiastico rispetto a quello proposto per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio. E' infondato quanto al quarto motivo perché, come rilevato dalla Corte di appello, la decisione della giurisdizione italiana non ha alcuna incidenza sul matrimonio religioso né può attribuirsi alcuna rilevanza al credo cattolico del ricorrente al fine di fondare la richiesta di pregiudizialità della giurisdizione ecclesiastica cfr. Cass. Civ. sez. VI-1 ord. numero 2089 del 30 gennaio 2014, sez. I numero 17969 dell'11 settembre 2015 senza che ciò leda alcun precetto costituzionale. Infine il quinto motivo è inammissibile essendo la decisione della Corte di appello sulle spese conforme alle norme indicate dal ricorrente e non sindacabile sotto il profilo della astratta possibilità di una compensazione. 2. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso restando rimessa alla eventuale valutazione della Corte la domanda di risarcimento del danno ex articolo 96 c.p.c. proposta dalla controricorrente. La Corte, lette le memorie difensive delle parti che non apportano sostanziali argomenti di valutazione rispetto a quelli già spesi nei precedenti atti difensivi, ritenuto che non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda ex articolo 96 c.p.c. proposta dalla controricorrente, dovendosi escludere la mala fede o colpa grave del C. in relazione ai recenti cambiamenti giurisprudenziali in materia ritenuta condivisibile la relazione sopra riportata e la proposta di rigetto del ricorso con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 8.200 euro, di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 196/2003. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'articolo 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.