Al lavoratore viene amputata una gamba: il datore è responsabile?

Il grave malore del lavoratore riconducibile causalmente alla responsabilità del datore ex articolo 2087 c.c. non rileva come infortunio ai fini della tutela assistenziale.

Il fatto. Un autotrasportatore in regime di lavoro dipendente, veniva colpito da un grave malore circolatorio cui conseguiva la perdita dell’arto inferiore destro. Ritenendo responsabile dell’accaduto il suo datore di lavoro che lo aveva sottoposto ad estenuanti viaggi di lunga tratta, nonostante fosse a conoscenza del delicato intervento chirurgico subito da esso lavoratore pochi mesi prima del verificarsi del predetto evento dannoso, lo citava in giudizio unitamente al funzionario preposto alla salute dei lavoratori, a titolo di risarcimento danni per violazione della normativa in materia di tutela delle condizioni di lavoro ex articolo 2087 c.c. e L. 629/1994. La società datrice di lavoro costituitasi in giudizio per il rigetto della domanda, in via subordinata esperiva la chiamata in causa dell’INAIL quale soggetto tenuto all’eventuale risarcimento. Il giudizio di primo grado, si concludeva con il rigetto della domanda risarcitoria azionata nei confronti del preposto alla salute dei lavoratori per difetto di prova a suo carico in fatto di responsabilità ex articolo 2087 c.c. mentre, per lo stesso titolo, veniva condannata la società datrice di lavoro al pagamento di un’ingente somma di denaro a favore del lavoratore, quale risarcimento dei danni non patrimoniali danno morale ed infine veniva rigettata la domanda risarcitoria verso l’INAIL difettando nell’evento dannoso occorso al lavoratore la c.d. causa violenta idonea a qualificare lo stesso, come infortunio ai fini della tutela previdenziale. Il lavoratore, non pienamente soddisfatto impugnava in sede di gravame la sentenza del primo giudice, avverso i capi della stessa che statuivano il rigetto della domanda risarcitoria per danni patrimoniali ed altresì, il rigetto della pretesa risarcitoria avverso l’INAIL. La Corte territoriale qualificando la chiamata in causa dell’INAIL, come chiamata in garanzia dichiarava inammissibile perché nuova la richiesta di indennizzo dell’infortunio ex articolo 2 T.U. numero 1124/1965, mentre accoglieva la pretesa risarcitoria in termini di danno patrimoniale cui seguiva la condanna della società datrice di lavoro al pagamento di una data somma a favore del lavoratore. In sede di legittimità con precipuo ricorso per Cassazione avanzato dagli eredi dell’ormai defunto lavoratore, veniva sollevata una terna di censure all’operato del Collegio di merito, riconducibile alla categoria dei errores in procedendo tra loro intimamente connesse e concernenti la mancata pronuncia sul giudicato interno formatosi nella sentenza di primo grado con riferimento all’accertamento giudiziale della proposizione di una istanza di indennizzo avanzata dal lavoratore in sede amministrativa verso l’INAIL cui derivava altresì, per effetto del principio di estensione automatica della domanda al chiamato in causa, il vizio ex articolo 112 c.p.c. di omessa pronuncia sulla domanda diretta all’accertamento dell’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro da parte dell’INAIL. Inosservanza del giudicato interno e omessa pronuncia sulla domanda. In altri termini, poiché con la sentenza di primo grado la tutela previdenziale risultava esclusa solamente per l’insussistenza della causa violenta idonea alla qualificazione dell’evento dannoso come infortunio, la mancata proposizione da parte dell’INAIL dell’appello incidentale avverso la sentenza di primo grado su punti pregiudiziali e preliminari ovvero la predetta domanda di indennizzo proposta in sede amministrativa direttamente dal lavoratore all’INAIL e il principio di estensione degli effetti della domanda al chiamato in causa rilevava come giudicato interno contenuto nella sentenza di primo grado, di cui i giudici di appello non avevano tenuto conto incorrendo quindi, nel vizio di omessa pronuncia sulla domanda di indennizzo azionata avverso l’INAIL ex articolo 10 TU numero 1124/1965. Inoperatività nel caso di specie del principio di estensione automatica della domanda al chiamato in causa. Le censure in discorso trovano la loro matrice comune nel principio di estensione automatica della domanda al chiamato in causa, che secondo la Suprema Corte di Cassazione non ricorre però nella vicenda processuale in esame, ove i rapporti sostanziali sottostanti sono diversi, uno, concerne il diritto al risarcimento dei danni avanzato dal lavoratore contro il suo datore per violazione della norma ex articolo 2087 c.c. e, l’altro, riguarda la tutela previdenziale assistenziale riconosciuta dall’INAIL, allorchè, l’evento dannoso rilevi come infortunio, da ciò discende che la chiamata in causa dell’INAIL da parte del convenuto datore di lavoro non libera il convenuto medesimo dalle pretese avanzate nei suoi confronti, pertanto tale chiamata in causa è stata correttamente qualificata dai giudici di appello come chiamata in garanzia cui non deriva l’operatività del predetto principio di automaticità degli effetti della domanda azionata dall’attore al terzo chiamato in causa. Sul tema del principio in discorso, la Cassazione con la sentenza in commento ribadisce un suo indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato secondo il quale l’ipotesi dell’estensione automatica della domanda si verifica allorchè il terzo chiamato in causa dal convenuto sia direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall’attore, situazione questa, che non necessità di alcuna istanza espressa da parte dell’attore, proprio in ragione della predetta estensione automatica della domanda al terzo chiamato in causa. La chiamata in garanzia esclude l’operare del principio di estensione della domanda al terzo. Il fondamento logico di tale principio sta nella sussistenza di un rapporto giuridico oggettivamente unico che si atteggia come oggetto necessario del processo, pertanto non può ricorre quando la chiamata del terzo venga qualificata come chiamata in garanzia sia propria che impropria stante l’autonomia sostanziale dei rapporti sottostanti. Chiamata in garanzia propria e impropria. Per completezza di esposizione sembra doveroso spendere qualche cenno sui concetti, sempre di derivazione giurisprudenziale, di chiamata in garanzia propria ed impropria si ha la prima, quando la domanda azionata dall’attore e quella in garanzia spiegata dal convenuto verso il terzo, hanno lo stesso titolo o quando si verifica una connessione obiettiva tra i titoli delle due domande, mentre, parleremo di chiamata in garanzia impropria, allorchè il convenuto tenta di trasferire sul terzo le conseguenze della lite in cui è coinvolto in base ad un titolo diverso da quello azionato con la domanda principale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio - 3 ottobre 2012, numero 16812 Presidente Roselli – Relatore Esposito Svolgimento del processo Con ricorso del 16/3/1999 V.F. chiedeva accertarsi la responsabilità del datore di lavoro Rotundo Umberto s.r.l. e del sig. R.P. preposto alla salute dei lavoratori nella determinazione dell'evento dannoso da lui patito il omissis episodio di ischemia all'arto inferiore destro acuta e conseguente amputazione della gamba . Esponeva che aveva lavorato quale autista per conto della società convenuta dal 10/10/1992 al 19/2/1999 che il omissis era stato sottoposto a intervento chirurgico con applicazione di bypass femoro-tibiale a causa di un'arteriopatia obliterante all'arto inferiore destro che, nonostante l'intervento subito, la società datrice lo aveva nuovamente addetto all'esecuzione di estenuanti viaggi in varie regioni d'Italia. Deduceva la violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi nascenti dall'articolo 2087 c.comma e dalla l. 629/94. I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. La società chiedeva, in via subordinata, che fosse dichiarato tenuto al risarcimento l'INAIL, di cui veniva disposta la chiamata in causa. L'Istituto, costituendosi, deduceva l'infondatezza della domanda per difetto di causa violenta. All'esito dell'istruttoria il giudice di primo grado rigettava la domanda proposta nei confronti di R.P. per carenza di prova circa la responsabilità a suo carico e quella proposta nei confronti dell’INAIL per mancanza della causa violenta ai fini della qualificazione dell'evento come infortunio ritenuta sussistente la responsabilità della società ex articolo 2087 c.c., la condannava al pagamento della somma di Euro 128.442,60, oltre rivalutazione, a titolo di danno biologico e morale, escludendo qualsiasi risarcimento a titolo di danno patrimoniale per difetto di prova. A seguito di appello proposto dal V. , la Corte d'Appello di Catanzaro, con sentenza del 2/9/2008, qualificata la chiamata in causa nei confronti dell'Inail come chiamata in garanzia, dichiarava inammissibili, poiché contenenti domande nuove, i motivi d'impugnazione riguardanti il riconoscimento dell'infortunio come indennizzabile ex articolo 2 T.U. numero 1124/1965 e al riconoscimento del diritto alle prestazioni di legge. Accoglieva l'appello con riferimento alla statuizione inerente al mancato riconoscimento del danno esistenziale e, per l'effetto, condannava la società al pagamento a tale titolo della somma di Euro 10.000,00, oltre accessori. Rigettava l'appello incidentale della società datrice. Avverso la sentenza propongono ricorso per Cassazione gli eredi del V. , formulando quattro motivi d'impugnazione. L'INAIL resiste con controricorso. Motivi della decisione Va preliminarmente disattesa l'eccezione avanzata dall'INAIL nel controricorso, riguardo alla legittimazione ad agire in giudizio della controparte, poiché risulta allegato in atti lo stato di famiglia da cui si evince la sussistenza in capo ai ricorrenti della qualità di eredi di V.F. . Passando all'esame dei motivi d'impugnazione, con il primo si deduce error in procedendo omessa pronuncia sul giudicato intemo - violazione dell'articolo 112 c.p.comma in relazione all'articolo 360 c.p.c., 1 comma, numero 4 . Si rileva che la chiamata del terzo nei giudizio era stata effettuata dal datore di lavoro affinché l'INAIL fosse riconosciuto unico soggetto obbligato nei confronti degli attori, con sua conseguente liberazione da ogni pretesa e che, pertanto, doveva ritenersi operante il principio dell'estensione automatica della domanda al chiamato in causa. Si osserva, inoltre, che il giudice di prime cure, dopo aver accertato che il V. aveva avanzato in sede amministrativa domanda nei confronti dell'INAIL e sul presupposto dell'avvenuta estensione automatica della domanda nei confronti dell'ente, aveva rigettato la domanda esclusivamente per ritenuto difetto del requisito della causa violenta, necessario per la qualificazione del fatto come infortunio. Si rileva che, di conseguenza, sarebbe stato necessario che l’INAIL spiegasse appello incidentale condizionato al fine di evitare che si formasse il giudicato sulla statuizione con riguardo ai punti pregiudiziali e preliminari richiamati. Si evidenzia, altresì, che, difettando il rilievo del giudicato interno, la sentenza impugnata era affetta di nullità per violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360, 1 c.p.comma numero 4. La censura può essere esaminata insieme con il secondo e il quarto motivo di seguito articolati, stante l'intima connessione. Con il secondo motivo i ricorrenti rilevano errore in procedendo, per omessa motivazione in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 5 C.P.C, su un fatto decisivo della controversia , osservando che la mancata pronuncia della Corte sul giudicato interno formatosi aveva comportato omessa pronuncia sulla domanda diretta all'accertamento dell'indennizzabilità dell'infortunio sul lavoro da parte dell'INAIL. Con il quarto motivo denunciano error in procedendo - omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia violazione dell'articolo 112 c.p.comma in relazione all'articolo 360 c.p.comma 1 comma numero 4 , rilevando che la Corte territoriale, per effetto della dichiarazione d'inammissibilità della domanda di cui sopra, aveva omesso di decidere sulla medesima. Le censure riportate muovono tutte dal comune presupposto della ritenuta estensione automatica al terzo della domanda avanzata dall'attore a seguito della chiamata in causa effettuata dal convenuto. Tale presupposto è erroneo. Va rilevato, infatti, che il giudizio instaurato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro ha per oggetto la richiesta di risarcimento dei danni a seguito dell'infortunio patito, e cioè concerne l'esistenza di un diritto diverso dal diritto alle prestazioni previdenziali erogate dall'Istituto assicuratore. Da ciò consegue che la chiamata in giudizio dell'Inail da parte del datore di lavoro ex articolo 10 TU 1965 numero 1124, fondandosi su un petitum e una causa petendi diversi rispetto a quelli propri della domanda risarcitoria avanzata dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, non può essere qualificata come diretta al riconoscimento dell'ente quale unico soggetto obbligato nei confronti degli attori, né può condurre alla liberazione del convenuto dalle pretese avanzate nei suoi confronti, ma va correttamente qualificata, conformemente all'enunciato della Corte di merito, come domanda di garanzia. Ne deriva che non può trovare applicazione il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato da parte del convenuto. Va richiamata in proposito Cass. Sez. L. numero 12317 del 07/06/2011 Il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, il che si verifica quando il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo assunto come l'effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall'attore. Il suddetto principio, invece, non opera allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come causa petendi come avviene nell'ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria. Nella specie la S.C. ha escluso l'estensione all'Inail, chiamato in garanzia dal datore di lavoro, della domanda proposta nei confronti di quest'ultimo dal lavoratore per il risarcimento del danno subito a seguito di infortunio, con conseguente esclusione anche dell'effetto interruttivo della prescrizione . Negli stessi termini, ancorché con riferimento a fattispecie concrete diverse, si vedano Cass. sez. 3A, 1.6.2006 numero 13131 Cass. sez. 3^, 8.6.2007 numero 13374. Una volta esclusa l'estensione al terzo chiamato della domanda avanzata da parte attrice, resta svuotato di significato ogni rilievo circa i presunti vizi attinenti al giudicato implicito e all'omessa pronuncia, dovendo riferirsi ogni statuizione nei confronti dell'Inail esclusivamente alla domanda in garanzia nei suoi confronti proposta. Allo stesso modo non assume rilievo la questione riguardante l'asserita necessità di proposizione di appello incidentale condizionato al fine di escludere la formazione del presunto giudicato. Passando all'esame del terzo motivo, con esso i ricorrenti deducono errore in judicando, per contraddittoria motivazione in relazione all'articolo 360, comma l,numero 5 C.P.C. . Rilevano che la Corte, cadendo in palese contraddizione, per un verso ha ammesso che il Tribunale si è pronunciato sulla domanda proposta dal V. nei confronti dell'INAIL, per altro verso ha ritenuto che la medesima domanda fosse inammissibile perché nuova. Anche tale censura è priva di fondamento. Nella motivazione, infatti, non è ravvisabile alcuna contraddizione, poiché il giudizio d'inammissibilità riguarda la domanda dell'attore nei confronti dell'INAIL e non si pone in contrasto con l'intervenuto rigetto della distinta domanda di garanzia originariamente proposta dalla società datrice nei confronti dell'ente, come correttamente qualificata dai giudici di merito. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va integralmente rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CAP.