Il giudizio di equa riparazione è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli è pertanto esperibile anche nei suoi confronti il rimedio previsto dalla c.d. legge Pinto.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1261/13, depositata il 18 gennaio. Il caso. Tre donne propongono domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del processo di equa riparazione, ma la loro domanda è dichiarata inammissibile dall’adita Corte di appello, che ritiene non esperibile il rimedio ex legge numero 89/2001 in relazione a procedimenti relativi alla denunciata violazione della durata ragionevole di giudizi presupposti. Ricorrono allora per cassazione le soccombenti, rilevando che la citata legge non consente di distinguere i procedimenti di equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica. Tempi ragionevoli anche per il giudizio di equa riparazione. A giudizio degli Ermellini il ricorso è fondato come recentemente affermato in altre pronunce, il giudizio di equa riparazione è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli in questo caso, anzi, l’esigenza appare ancora più pressante, in quanto il giudizio è finalizzato all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d’animo. Il procedimento, se tempestivo, offre tutela adeguata. Non appare condivisibile neppure l’assunto secondo il quale il giudizio dinanzi alla Corte di appello e l’eventuale impugnazione costituirebbero una fase necessaria di un unico procedimento destinato a concludersi davanti alla Corte europea nel caso in cui la parte lesa non ottenga un’efficace tutela nell’ordinamento interno secondo la S.C., infatti, il procedimento interno è una forma di tutela adeguata ed efficace, purché abbia esso stesso una ragionevole durata. Non c’è dubbio la durata è stata eccessiva. Quanto a questa, secondo una giurisprudenza recente ma ormai consolidata, si ritiene che un giudizio «Pinto» svoltosi anche dinanzi alla Corte di Cassazione abbia durata ragionevole qualora non ecceda il termine di due anni. Nel caso di specie, detratto tale termine, è stata accertata una durata non ragionevole pari a un anno e otto mesi per questi motivi la Cassazione accoglie il ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decide nel merito disponendo l’indennizzo dovuto alle parti.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 novembre 2012 – 18 gennaio 2013, numero 1261 Presidente Rovelli – Relatore Scrima Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 12 luglio 2010 presso la Cotte d'appello di Perugia, O.I.E., L. R. e M. A. hanno proposto, ai sensi della legge numero 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione introdotto davanti alla Corte d'appello di Roma con ricorso depositato nel mese di luglio 2005, concluso con decreto di parziale accoglimento depositato nel mese di settembre 2006 e definito, a seguito di ricorso per cassazione notificato nel mese di ottobre 2007, con ordinanza depositata nel mese di febbraio 201O. L'adita Corte d'appello ha dichiarato la domanda inammissibile ritenendo non esperibile il rimedio di cui alla legge numero 89 del 2001 in relazione a procedimenti relativi alla denunciata violazione della durata ragionevole di giudizi presupposti, non discendendo tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo cd essendo l'eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ex lege numero 89 del 2001 compensabile dal giudice del procedimento. Per la cassazione di questo decreto O. I.E., L.R. e M.A. hanno proposto ricorso sulla base di un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, l'intimata Amministrazione. Motivi della decisione 1. Il collegio ha deliberato l'adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza. 2. Con l'unico motivo del ricorso le ricorrenti denunciano violazione c falsa applicazione dell'articolo 2 della legge numero 89 del 2001 e degli articolo 6, 13 e 41 della CEDU, nonché dell'articolo 111 Cost., richiamando numerosi decreti emessi dalla stessa Corte d'appello di Perugia, con i quali l'eccezione di inammissibilità del rimedio ex lege numero 89 del 2011, in relazione a procedimenti introdotti ai sensi di tale legge, è stata rigettata, rilevandosi che la citata legge non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica c di sottrarli, quindi, al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione europea e dalla Costituzione italiana. 3. Il ricorso è fondato. Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in ordine alla applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge numero 89 del 2001 ai procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi predicabile l'operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime indennitario in caso di sua violazione. Come affermato di recente Cass. 16 ottobre 2012, numero 17686 Cass. 13 aprile 2012, numero 5924 e altre conformi , il giudizio di equa riparazione, che si svolge presso le Corti d'appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, davanti a questa Corte, è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza, questa, tanto più pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio all'accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d'animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti ex lege numero 89 del 2001. Né appare condivisibile l'assunto che il giudizio dinanzi alla Corte d'appello e l'eventuale giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell'ordinamento interno la parte interessata non ottenga una efficace tutela all'indicato diritto fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela adeguata cd efficace, sempre che, ovviamente, si svolga esso stesso nell'ambito di una ragionevole durata. Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa riparazione, nelle numerose sentenze emesse nel 2012 vedi, segnatamente, la numero 5924/12, cit , questa Corte ha ritenuto che ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio Pinto svoltosi anche dinanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni. 4. Il ricorso deve, quindi, essere accolto, essendo erronea la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto inammissibile il procedimento di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente a giudizio presupposto di altra natura. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito. Nel caso di specie, infatti, risulta che il ricorso è stato depositato presso la Corte d'appello di Roma nel mese di luglio 2005 che l'unico grado di giudizio dì merito si è concluso con decreto depositato nel mese di settembre 2006 che il giudizio di cassazione è stato introdotto con ricorso notificato nel mese di ottobre 2007 ed è terminato con ordinanza depositata nel mese di febbraio 2010. La durata complessiva del procedimento di equa riparazione è stata dunque di circa quattro anni c sette mesi. Detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, nonché il termine di undici mesi intercorso tra il deposito del decreto c la proposizione della impugnazione, ulteriore rispetto al termine breve previsto per il ricorso per cassazione, la durata non ragionevole risulta essere stata di circa un anno e otto mesi. Alla luce dell'accertata irragionevole durata del giudizio, a ciascuna delle ricorrenti spetta, dunque, un indennizzo che va liquidato sulla base di euro 750,00 per anno, e quindi in complessivi curo 1.250,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo. Alle ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese dell'intero giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo. Le spese del giudizio di merito devono essere distratte in favore dei difensori delle ricorrenti, Avvocati G.F. e F.E.A., dichiaratisi antistatari, e quelle del giudizio di legittimità in favore del solo Avvocato A., dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di ciascuna delle ricorrenti, della somma di euro 1.250,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo condanna il Ministero alla rifusione delle spese dell'intero giudizio che liquida, per il giudizio di merito, in euro 806,00, di cui euro 50,00 per esborsi, 311,00 per diritti e 445,00 per onorari, e, per il giudizio di legittimità, in euro 606,25, di cui euro 506,00 per compensi ed euro 100,00 per esborsi, oltre accessori dì legge. Dispone la distrazione delle spese del giudizio di merito, in favore dei difensori delle ricorrenti, Avvocati G.F. e F.E.A., dichiaratisi antistatari, e di quelle del giudizio di legittimità in favore del solo Avvocato A., dichiaratosi antistatario.