Ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica Amministrazione non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa.
Prendendo in esame, quindi, il caso concreto, ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza 4439 del 4 settembre 2013, si deve verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato così, ad es., e tra le più recenti, Cons. Stato, numero 1669/2013 . Detto altrimenti, ha precisato il Collegio, l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il giudice procedere a verificare e giudicare che sussista un evento dannoso che il danno sia qualificabile come ingiusto in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della Pubblica Amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa e che la responsabilità possa e debba essere negata quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto. L'orientamento comunitario. La Sezione, peraltro, ha colto l'occasione per rilevare che nel solo settore dei contratti pubblici - estraneo comunque alla fattispecie presa in esame nel caso specifico - la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito con sentenza 30 settembre 2010, causa C-314/09, il principio della sovrapposizione tra regole di validità e regole di responsabilità, affermando pertanto – in deroga alla regola dell’autonomia processuale degli Stati membri, resa necessaria dall’esigenza dell’effettività dei principi della libera concorrenza e dell’apertura dei mercati - che ai fini della configurabilità della responsabilità della stazione appaltante non rileva l’elemento soggettivo della colpevolezza. Tale orientamento è stato recepito dal Consiglio di Stato, peraltro limitandolo espressamente al settore dei contratti pubblici anzidetto cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato numero 1833/2013 e numero 5686/2011 e ciò in quanto la ragione giustificativa della deroga, proprio in quanto strettamente connessa al settore dei contratti pubblici, impedisce che l’orientamento della Corte di Giustizia sia suscettibile di generalizzazione mediante applicazione anche in altri ambiti del diritto pubblico. L'onere della prova. In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può comunque limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, perché resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento. Al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è dunque richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’ Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto e dovendosi fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’articolo 2727 c.c. e a questo punto spetta all’amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile così, ad es., Cons. Stato numero 1773/2013 . Il Collegio, a tale proposito, ha anche aggiunto che la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere così, ad es., Cons. Stato numero 3887/2011, numero 854/2011, numero 148/2009 e numero 4234/2006 e, in tale particolare contesto il privato ha titolo al risarcimento ove, sussistendo gli altri requisiti dell’illecito, riesca a dimostrare, in questo caso proprio lui, che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole così Cons. Stato numero 2288/2006 .
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 16 aprile - 4 settembre 2013, numero 4439 Presidente Numerico – Estensore Rocco Fatto e diritto 1.1.1.Con ricorso proposto sub R.G. 2993 del 1993 innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Lecce, l’allora Sergente Maggiore dell’Aeronautica Militare Giuseppe Davide Italia, in servizio presso il 32° Stormo di Brindisi. ha chiesto l’annullamento del provvedimento recante il proprio trasferimento da Brindisi all’Aerobase di Amendola, disposto nell’ambito di un piano di reimpiego generale elaborato dall’Amministrazione militare. 1.1.2. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Ministero della Difesa, concludendo per la reiezione del ricorso. 1.1.3. Con sentenza numero 293 dd. 14 maggio 1997 la Sez. I dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso nel presupposto che l’Amministrazione militare non è tenuta a dare contezza delle ragioni che presiedono al trasferimento del proprio personale militare da una sede di servizio ad un’altra. 1.1.4. L’Italia ha proposto appello a questo giudice sub R.G. 8998 del 1997, deducendo in sostanza l’erroneità di tale assunto del primo giudice, laddove questi, una volta sottolineata l’ampia discrezionalità del potere esercitato in tali ipotesi dall’Amministrazione, ha ritenuto che la stessa “non aveva il dovere di motivare in ordine alle scelte effettuate o pervenire alla formulazione di una specifica graduatoria” cfr. pag. 9 dell’atto introduttivo del relativo giudizio d’appello . 1.1.5. Anche in questo ulteriore grado di giudizio si è costituito il Ministero della Difesa, concludendo per la reiezione dell’appello. 1.1.6. Con ordinanza numero 94 dd. 13 gennaio 1998 questa stessa Sezione ha respinto la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata. 1.1.7. Con sentenza numero 143 del 20 gennaio 2006 questa Sezione ha poi accolto il ricorso dell’Italia, rilevando testualmente che “è noto come le esigenze di servizio, sulla base delle quali viene adottato il provvedimento di trasferimento di un militare, non vadano ricondotte esclusivamente a necessità organiche o a impegni tecnico operativi, bensì a tutti quei motivi di opportunità, che possono oggettivamente compromettere l’ordinato svolgimento dei compiti istituzionali. La costante giurisprudenza ha sempre ritenuto che provvedimenti di tale natura sono qualificabili come ordini, rispetto ai quali l’interesse del militare a prestare servizio in una sede piuttosto che in un’altra assume una rilevanza di mero fatto, che non abbisogna di una particolare motivazione Cons. Stato, Sez. IV, 26 novembre 2001 numero 5950 21 gennaio 1997 numero 33 8 aprile 2004 numero 1990 . Pur dovendosi, in linea generale, qui confermare tali indicazioni, è possibile rilevare che, nel caso di specie, l’Amministrazione militare non si è limitata a fare generico impiego, nel suo provvedimento di trasferimento, della locuzione “di autorità” , ma ha ivi fatto specificamente riferimento al punto 4.b. 1 b della Direttiva DGPMA 60/87, datata 11 marzo 1987, cui appunto fa rinvio il comma 3 del punto 4. c della stessa Direttiva, disciplinante il reimpiego per necessità operative, per il caso in cui il trasferimento di sede interessi percentualmente più componenti. Orbene, va rilevato che la necessità di tener conto, in sede di designazione nominativa del personale da reimpiegare, “nella misura massima possibile” , dell e “esigenze personali e familiari degli interessati” , è espressamente prevista dal sopra indicato punto 4.b. 1 b della Direttiva DGPMA 60/87 . Nel caso di specie risulta, sia dal provvedimento impugnato che dagli atti dell’istruttoria prodotti, che l’Amministrazione ha mancato di prendere in considerazione le esigenze personali e familiari dell’interessato, come dallo stesso prospettate sia nel questionario sulle “condizioni di famiglia” del singolo militare che l’Amministrazione stessa aveva invitato gli interessati a produrre con telex del 6 maggio 1992 , sia nel “ricorso in opposizione ” rectius memoria con osservazioni d a luipresentato, una volta che l’Amministrazione aveva emanato, in data 5 luglio 1993, una “proposta di trasferimento” , espressamente “at fini puntuale applicazione legge numero 241 del 1990” , nella quale era incluso il suo nominativo. Le circostanze sopra evidenziate - tutte rappresentate nel ricorso di primo grado e poste a base dei motivi di appello - stanno ad indicare che l’Amministrazione non ha, nella fattispecie all’esame, dato ampia e puntuale indicazione dei motivi, che hanno determinato il trasferimento del dipendente, lasciando comunque indeterminate le ragioni per le quali la scelta relativa alla sede di Amendola sia caduta sull’odierno appellante, laddove l’interessato aveva invece presentato, in sede procedimentale, elementi di carattere personale e familiare in senso contrario, rilevanti sia alla stregua della normativa interna del Corpo interessato v. punto 4.b. 1 b della Direttiva DGPMA 60/87, datata 11 marzo 1987, cit. , sia alla stregua del concreto atteggiarsi del procedimento all’esame, nel quale la notifica agli interessati di una “proposta di trasferimento” , al dichiarato fine di una “puntuale applicazione legge numero 241 del 1990”, non può che intendersi funzionale alla possibilità di presentazione, da parte degli interessati, di “memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare” articolo 10, comma 1, lett. b dellaL. 7 agosto 1990 numero 241 . In definitiva, se per un verso è evidente che le esigenze personali e familiari del militare non possono prevalere sul soddisfacimento delle esigenze di servizio, per un altro verso si impone un principio di esternazione di tali prevalenti esigenze, nelle ipotesi, quale quella di specie, in cui la stessa amministrazione dia vita ad un procedimento, nell’ambito del quale è prevista l’acquisizione di elementi circa le esigenze e le preferenze del dipendente e comunque la possibilità di partecipazione procedimentale dell’interessato. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, l’appello è fondato e va accolto. Conseguentemente, in riforma dell’impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso di primo grado, va disposto l’annullamento del provvedimento con lo stesso impugnato” . La Sezione ha anche condannato il soccombente Ministero della Difesa al pagamento delle spese e degli onorari di entrambi i gradi di tale primo giudizio, complessivamente liquidati nella misura di € 6.000,00.- seimila/00 oltre ad I.V.A. e C.P.A. 1.2.1. In conseguenza di ciò, con ulteriore ricorso proposto sub R.G. 88 del 2009 sempre innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Lecce, l’Italia – medio tempore promosso al grado di Maresciallo - ha chiesto il risarcimento dei danni per il trasferimento illegittimo da lui subito e il cui provvedimento era stato annullato ope iudicis . Nell’illustrazione dei motivi di ricorso, l’Italia ha dedotto la ricorrenza, nella specie, degli elementi costitutivi della responsabilità in capo all’Amministrazione militare. 1.2.2. Anche in tale ulteriore giudizio di primo grado si è costituito il Ministero della Difesa, concludendo per la reiezione della domanda. 1.2.3. Con sentenza numero 1475 dd. 7 settembre 2012 la Sez. III dell’adito T.A.R. ha accolto la domanda dell’Italia, rilevando che “la responsabilità dell’Amministrazione deve essere ricondotta, secondo quanto statuito, da ultimo, dall’articolo 30 cod. proc. amm., al paradigma aquiliano, ex articolo 2043 c.c. a questi fini, quindi, occorre accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo rappresentato dall’illegittimità provvedimentale ovvero dall’illegittimità dell’azione amministrativa , di quello soggettivo la colpa o il dolo dell’Amministrazione e il nesso di causalità tra illegittimità e danno da ritenersi sussistente tutte le volte in cui, senza l’attività amministrativa illegittima posta in essere dall’Amministrazione, il danno non si sarebbe verificato . Ora, nel caso di specie, sussistono tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile previsti dall’articolo 2043 c.c., da accertarsi a seguito delle risultanze del giudizio di appello del 2006, termine dal quale decorre l’eventuale periodo prescrizionale. . Con riferimento all’illegittimo comportamento commissivo costituente l’elemento oggettivo, il provvedimento di trasferimento, disposto nell’ambito di un piano di reimpiego generale, è stato giurisdizionalmente annullato. In particolare, il giudice di appello ha censurato il provvedimento gravato riscontrando il lamentato difetto di istruttoria e di motivazione, posto che l’Amministrazione, nel disporre l’assegnazione ad altra sede, contrariamente a quanto disposto dalla normativa interna Direttiva DGPMA 60/87 punto 4.b 1 b , non ha adeguatamente valutato le condizioni personali e familiari del ricorrente figlio in tenera età e moglie in accertato stato di gravidanza , provvedendo, peraltro, in assenza di una graduatoria e senza garantire la necessaria partecipazione dell’interessato al relativo procedimento. Quanto alla colpa dell’Ente procedente, l’adozione del provvedimento gravato è avvenuta in evidente violazione delle regole di buon andamento, correttezza e imparzialità, essendo chiaramente emersa la negligenza dell’Amministrazione, concretantesi nella superficialità e nell’approssimazione dell’istruttoria, con violazione grave e manifesta delle norme giuridiche, sicché è possibile esprimere un giudizio di valore in termini di rimproverabilità . Se è vero che, a differenza dei dipendenti civili dello Stato, non è configurabile per i militari una situazione giuridica tutelabile in ordine alla sede di servizio, giacché per essi la permanenza in una sede o in un’altra costituisce una mera modalità del servizio, è altrettanto vero che ove l’Amministrazione militare autolimiti, mediante appositi regolamenti, il proprio potere a tutela e garanzia della sfera giuridica dei militari, non può da ciò non farsi conseguire un obbligo per la stessa Amministrazione di rispettare la normativa che si è data. Ora, nel caso di specie, nel provvedimento di trasferimento de quo l’Amministrazione ha specificamente fatto riferimento al punto 4. b. 1 b della Direttiva DGPMA 60/87, disciplinante il reimpiego per necessità operative per il caso in cui il trasferimento di sede interessi percentualmente più componenti, ove è espressamente prevista la necessità di tenere conto, nella designazione nominativa del personale, “nella misura massima possibile” , delle “esigenze personali e familiari degli interessati” , aspetto, invece, del tutto ignorato. Non può, altresì, non ignorarsi, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., il comportamento processuale tenuto dall’Amministrazione resistente in sede di prima istanza, che ha depositato, peraltro, “iussu iudicis” ,documentazione concernente la normativa interna e gli atti propedeutici al piano di reimpiego contestato parziale e fuorviante. La violazione delle regole di buon andamento costituisce una presunzione semplice di colpa di cui agli articolo 2727 e 2729 c.c. che l’Amministrazione non può superare adducendo disfunzioni derivanti dall’organizzazione dei propri uffici, incombendo, invece, sulla Pubblica Amministrazione, per sottrarsi alla propria responsabilità, l’onere di provare che il comportamento lesivo del funzionario agente non le è imputabile, avendo essa adottato modelli di organizzazione degli uffici e di gestione del procedimento amministrativo conformi alle regole di proporzionalità, affidamento, ragionevolezza, buon andamento e imparzialità, idonei a prevenire eventi di danno. L’approssimazione che ha originato il suddetto provvedimento illegittimo, gravato e annullato, ha provocato al ricorrente, secondo gli ordinari criteri di causalità dell’ “id quod plerumque accidit” un danno, che, altrimenti, non si sarebbe verificato, consistente nella negazione del bene della vita spettante, la permanenza nella sede originaria di servizio, e nelle conseguenze che ne sono derivate, spese aggiuntive di alloggio e di viaggio per raggiungere il nucleo familiare o prestare assistenza a congiunti. Ai fini della sussistenza dell’elemento dell’ingiustizia del danno, è sufficiente l’accertamento già effettuato in merito alla domanda di annullamento, posto che la già acclarata illegittimità del provvedimento impugnato non può che “colorare” di ingiustizia il danno patito dal ricorrent e . .Quanto alla prova del “quantum” dei danni, la stessa, sia pure fornita in via presuntiva, si fonda su circostanze di fatto concrete e certe, integranti un quadro indiziario connotato da elementi plurimi, precisi e concordanti, che consentono di risalire, in via inferenziale e secondo un criterio di ragionevolezza e di normalità, al fatto ignoto costituente l’oggetto principale di prova Tali sono i danni patrimoniali conseguenti alle spese di alloggio, di viaggio e di trasloco indebitamente sostenute nel periodo che va dall’esecuzione del provvedimento di trasferimento illegittimo gennaio 1994 alla riassegnazione presso il Distaccamento Aeroportuale di Brindisi intervenuta in data 30 maggio 2005 a seguito dell’accoglimento dell’istanza presentata ai sensi della L. 5 febbraio 1994 numero 102. .A tal fine, si riconosce, pertanto, in via equitativa, quale voce del danno patrimoniale risarcibile, la somma forfettaria di €. 25.000,00.- venticinquemila/00 Sulle somme così determinate si computano gli interessi legali calcolati esclusivamente dalla data di deposito della decisione costituente il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore rivalutato si trasforma in debito di valuta ed è dovuta la somma quantificata per il lucro cessante fino all’effettivo soddisfo. Dev’essere, invece, respinta la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, in quanto non è stata fornita alcuna prova specifica che dimostri i concreti cambiamenti che l’illecito ha, peggiorativamente, arrecato al ricorrente ciò in quanto soltanto il danneggiato, anche in considerazione delle molteplici forme che può assumere il danno non patrimoniale danno morale soggettivo, danno biologico in senso stretto, danno esistenziale derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale interessanti la persona , può fornire precise indicazioni atte a comprovare la tipologia di danno subito e non potendo mai sopperire il giudice a tale onere di allegazione . In applicazione del cosiddetto criterio della vicinanza della prova, grava dunque sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare la sussistenza e l’ammontare dei danni non patrimoniali azionati in giudizio Consiglio Stato, Sez. VI, 18 marzo 2011, numero 1672 . Nello specifico, a parere del Collegio, non sono valutabili il periodo di malattia immediatamente successivo all’ingiusto trasferimento stato ansioso depressivo e psicosi maniaco-depressiva reattiva causati da problematiche di lavoro e correlate a esse familiari , la caduta della valutazione nei giudizi nel periodo interessato dalle sopra descritte vicende giudiziarie - peraltro, non autonomamente impugnati e, dunque, consolidati - nonché la crisi coniugale conclamata nel 2006, vicende per le quali manca la prova di uno specifico nesso di causalità tale da farle ritenere, secondo un giudizio di alta probabilità, conseguenze immediate e dirette della condotta illegittima dell’Amministrazione resistente censurata con il presente giudizio articolo 1223 c.c. ” così la sentenza impugnata . L’adito T.A.R. ha – altresì – condannato il Ministero della Difesa al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidandoli nella misura di € 3.000,00.-, oltre ad I.V.A. e C.P.A. 2.1. Con l’appello in epigrafe il Ministero della Difesa chiede ora la riforma di tale sentenza resa dal giudice di primo grado, limitatamente al capo recante la declaratoria della sussistenza di un danno patrimoniale arrecato all’Italia per effetto del provvedimento di trasferimento e la quantificazione del danno medesimo, affermando l’insussistenza nella specie dei presupposti per tale condanna. 2.2. Si è costituito in tale ulteriore grado di giudizio l’Italia, chiedendo la reiezione dell’appello proposto dal Ministero della Difesa, ma proponendo a sua volta anche un appello incidentale, chiedendo la liquidazione in proprio favore di un danno patrimoniale pari a complessivi € 68.715,00.- e insistendo per l’accoglimento della domanda di risarcimento di un danno non patrimoniale pari ad € 190.000,00.- 2.3. Entrambe le parti con ulteriori memorie hanno replicato alle tesi avversarie e insistito per l’accoglimento delle relative domande. 3. Alla pubblica udienza del 16 aprile 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione. 4.1. Tutto ciò premesso, l’appello principale in epigrafe va accolto e quello incidentale proposto dall’Italia va respinto, per quanto qui appresso specificato. 4.2. Un’ormai del tutto consolidata giurisprudenza afferma che ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica Amministrazione non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa . Si deve quindi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato così, ad es., e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2013 numero 1669 . Detto altrimenti, l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il giudice procedere a verificare e giudicare che sussista un evento dannoso che il danno sia qualificabile come ingiusto in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della Pubblica Amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa e che la responsabilità possa e debba essere negata quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto cfr. al riguardo, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V,, 17 febbraio 2013 numero 798 . Giova inoltre rilevare che nel solo settore dei contratti pubblici - estraneo alla presente fattispecie - la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito con sentenza 30 settembre 2010, causa C-314/09, il principio della sovrapposizione tra regole di validità e regole di responsabilità, affermando pertanto – in deroga alla regola dell’autonomia processuale degli Stati membri, resa necessaria dall’esigenza dell’effettività dei principi della libera concorrenza e dell’apertura dei mercati - che ai fini della configurabilità della responsabilità della stazione appaltante non rileva l’elemento soggettivo della colpevolezza. Tale orientamento è stato recepito da questo giudice d’appello, peraltro limitandolo espressamente al settore dei contratti pubblici anzidetto cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013 numero 1833 e 8 novembre 2012 numero 5686 e ciò in quanto la ragione giustificativa della deroga, proprio in quanto strettamente connessa al settore dei contratti pubblici, impedisce che l’orientamento della Corte di Giustizia sia suscettibile di generalizzazione mediante applicazione anche in altri ambiti del diritto pubblico. In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può comunque limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, perché resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento. Al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è dunque richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’ Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto e dovendosi fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’articolo 2727 c.c. e a questo punto spetta all’amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013 numero 1773 . Va anche soggiunto che la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2011 numero 3887 e 8 febbraio 2011 numero 854, nonché Sez. IV, 15 gennaio 2009 numero 148 e 30 giugno 2006 numero 4234 e, in tale particolare contesto il privato ha titolo al risarcimento ove, sussistendo gli altri requisiti dell’illecito, riesca a dimostrare, in questo caso proprio lui, che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole così Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006 numero 2288 . 4.3. Premesso tutto ciò, la ricostruzione da parte del giudice di primo grado dei presupposti per la configurazione dell’illecito muove da premesse del tutto diverse rispetto ai principi ora enunciati. Come si è visto innanzi, il T.A.R., dopo aver ricondotto la responsabilità dell’Amministrazione “secondo quanto statuito, da ultimo, dall’articolo 30 cod. proc. amm., al paradigma aquiliano, ex articolo 2043 c.c.” , reputa che nel caso in esame “sussistono tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile previsti dall’articolo 2043 c.c., da accertarsi a seguito delle risultanze del giudizio di appello del 2006” , ossia “la sussistenza dell’elemento oggettivo rappresentato dell’illegittimità provvedimentale ovvero dell’illegittimità dell’azione amministrativa , di quello soggettivo la colpa o il dolo dell’Amministrazione e il nesso di causalità tra illegittimità e danno da ritenersi sussistente tutte le volte in cui, senza l’attività amministrativa illegittima posta in essere dall’Amministrazione, il danno non si sarebbe verificato ” . In particolare, il giudice di primo grado afferma che “con riferimento all’illegittimo comportamento commissivo costituente l’elemento oggettivo, il provvedimento di trasferimento, disposto nell’ambito di un piano di reimpiego generale, è stato giurisdizionalmente annullato” per “ difetto di istruttoria e di motivazione” e che, “quanto alla colpa l’adozione del provvedimento gravato è avvenuta in evidente violazione delle regole di buon andamento, correttezza e imparzialità, essendo chiaramente emersa la negligenza dell’Amministrazione, concretantesi nella superficialità e nell’approssimazione dell’istruttoria, con violazione grave e manifesta delle norme giuridiche, sicché è possibile esprimere un giudizio di valore in termini di rimproverabilità . La violazione delle regole di buon andamento costituisce una presunzione semplice di colpa di cui agli articolo 2727 e 2729 c.c. che l’Amministrazione non può superare adducendo disfunzioni derivanti dall’organizzazione dei propri uffici, incombendo, invece, sulla Pubblica Amministrazione, per sottrarsi alla propria responsabilità, l’onere di provare che il comportamento lesivo del funzionario agente non le è imputabile, avendo essa adottato modelli di organizzazione degli uffici e di gestione del procedimento amministrativo conformi alle regole di proporzionalità, affidamento, ragionevolezza, buon andamento e imparzialità, idonei a prevenire eventi di danno. Non può, altresì, non ignorarsi, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., il comportamento processuale tenuto dall’Amministrazione resistente in sede di prima istanza, che ha depositato, peraltro, “iussu iudicis” , documentazione concernente la normativa interna e gli atti propedeutici al piano di reimpiego contestato parziale e fuorviante” . Orbene - a prescindere dalla ben evidente irrilevanza che agli effetti della colpa assume il susseguente contegno processuale della parte pubblica, viceversa apoditticamente e del tutto extra ordinem annoverato dal T.A.R. quale elemento fondante della stessa per il solo fatto di un ritardato deposito di documentazione, inerente ad atti in parte classificati come “segreti” - la configurazione della colpa della Pubblica Amministrazione, nella prospettazione del giudice di primo grado, assume, diversamente dalla giurisprudenza dianzi esposta, un carattere inammissibilmente oggettivo, che vien fatto discendere dalla mera circostanza dell’annullamento del provvedimento di trasferimento e dalla violazione delle regole di buon andamento, correttezza imparzialità dell’azione amministrativa ricondotta a presunzione semplice di colpa. Il Collegio non sottace – anche per quanto rilevato innanzi sulla scorta della giurisprudenza precitata – che tale presunzione è in effetti configurabile e che, come si ripete, spetta all’Amministrazione comprovare in giudizio l’assenza di una propria colpa cfr. sul punto, anche di recente, Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2013 numero 1468 e Sez. V, 19 novembre 2012 numero 5846 ma tale comprova non può, con altrettanta evidenza, essere limitata – come vorrebbe invece il T.A.R. – all’allegazione di “disfunzioni derivanti dall’organizzazione dei propri uffici” , posto che, in sostanza, dalla lettura della decisione numero 143 del 2006, resa da questa stessa Sezione e recante l’annullamento del provvedimento di trasferimento dell’Italia, non si coglie alcuna censura del trasferimento medesimo sotto il profilo del merito, ma solo con riguardo alla non corretta o, se si preferisce, mancata esternazione delle ragioni che imponevano il mutamento della sede di servizio dell’attuale appellato. Va, infatti, distinta l’illegittimità di carattere “sostanziale” dall’illegittimità di natura “formale” , in quanto solo nel primo caso il vizio del provvedimento costituisce titolo per il risarcimento del danno subito dall’interessato, perché risulta comprovata, in modo certo, la “spettanza” del bene della vita da lui fatta valere e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo, che, in quella particolare circostanza, contrasta, in radice, con i presupposti normativi per la sua adozione con un determinato contenuto e, per contro, la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento il che avviene, in particolare quando, in seguito all’annullamento dell’atto impugnato, l’Amministrazione conserva, intatto, il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato così, puntualmente, Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 2011, nnumero 1195 e 1197 . In tale contesto – e senza che con ciò, come infondatamente sostiene il patrocinio dell’Italia, si intenda rivedere in questo ulteriore procedimento giudiziale il contenuto del giudicato di annullamento del trasferimento contra ius disposto – il danno non poteva quindi essere di fatto correlato in via intrinseca all’illegittimità dell’azione amministrativa, ma doveva essere valutato avuto riguardo esclusivo alla circostanza per cui, se l’Amministrazione militare avesse rinnovato ceteris paribus l’azione amministrativa adempimento – questo - doveroso ove fosse stata accolta la domanda cautelare proposta dal medesimo Italia in primo grado, e ancor di più ove fosse stato accolto il ricorso proposto innanzi allo stesso T.A.R. avverso il provvedimento di trasferimento , emendando i vizi formali del procedimento, il medesimo Italia sarebbe stato comunque trasferito di sede. Premesso quindi che il danno azionato nel presente giudizio non può essere fondato sulla mera circostanza che l’Amministrazione militare non è stata posta in grado, per il protrarsi del giudizio, di tempestivamente emendare il vizio del provvedimento da essa emesso mediante l’esercizio dello ius poenitendi , anche a distanza di tempo deve dunque essere disaminata in modo oggettivo e ratione temporis la fondatezza della pretesa dell’Italia di non subire il trasferimento da Brindisi ad Amendola in dipendenza del ridispiegamento – dovuto ad imprescindibili esigenze di ristrutturazione delle componenti della Forza Armata Aerea – del 32° Stormo presso il quale l’allora Sergente Maggiore Italia prestava servizio e ciò in quanto soltanto da un esito di tale verifica che si concluda nel senso della fondatezza della pretesa medesima andrebbe riconosciuto un obbligo di risarcimento del danno in capo all’Amministrazione militare. La risposta a tale quesito non è favorevole per l’attuale appellato. Va, infatti, precisato a tale riguardo che, dovendo essere ridispiegati presso la l’aerobase di Amendola i velivoli Am-X di cui il 32° Stormo è dotato e che l’Italia aveva conseguito una specializzazione professionale su tale velivolo, sussisteva per ciò solo una ben intuibile esigenza di disporre la sua assegnazione alla nuova sede di servizio al fine di assicurare la continuità delle sue prestazioni connesse all’operatività dei velivoli medesimi. Nel procedimento deputato ad acquisire eventuali ragioni ostative al trasferimento, l’Italia aveva fatto valere ordinarie problematiche attinenti alla vita di relazione coniugato con figlio in tenera età e stato di gravidanza della moglie , non rilevanti pertanto sul piano della prioritaria necessità di sovvenire alle esigenze del personale destinatario delle agevolazioni di cui alla L. 5 maggio 1992 numero 104, ovvero concomitantemente chiamato a svolgere funzioni di rappresentanza politica in assemblee elettive a’ sensi del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto 2000 numero 267. Dall’esame degli atti di causa consta che, comunque, tutto il personale specialista per l’impiego dei velivoli Am-X e coniugato, anche con figli, è stato trasferito da Brindisi ad Amendola, tranne il Sergente Montatore Alessandro Cuppone, fruente dei benefici di cui alla L. 104 del 1992 cfr. foglio prot. AD1/6/81110 dd. 26 agosto 1994 della Direzione generale per il Personale dell’Aeronautica, riprodotto agli atti del presente giudizio dallo stesso appellato . Per il resto, non risulta dunque che altri sottufficiali specialisti per l’impiego nei velivoli Am-X siano rimasti in servizio a Brindisi, pregiudicando con ciò la posizione dell’Italia né – come a ragione ha rimarcato il patrocinio del Ministero della Difesa – la circostanza che un terzo sottufficiale M.E.B. marconista elettronico di bordo specialista per Am-X sia stato poi parimenti trasferito da Brindisi ad Amendola rispetto ai due originariamente previsti dal piano di reimpiego muta l’ordine delle cose, posto che l’integrale trasferimento dei velivoli di tale tipo dall’aerobase di Brindisi rendeva comunque inutile e ictu-oculi economicamente non sostenibile la presenza di tale tecnico in loco . In dipendenza di ciò, deve dunque concludersi che, nell’ipotesi di una riedizione dell’azione amministrativa, l’insieme di tali circostanze avrebbero comunque indotto l’adozione di un nuovo provvedimento di trasferimento dell’Italia il che, pertanto, necessariamente impone a questo giudice di affermare l’insussistenza, al riguardo, di un danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile. 4.3. Dall’insieme delle considerazioni suesposte, che negano la sussistenza di un qualsivoglia danno discendente dal provvedimento, pur riconosciuto ope iudicis illegittimo, discende pertanto sia l’accoglimento dell’appello principale in epigrafe, sia la reiezione dell’appello incidentale proposto dall’Italia, in quanto rivolto, quest’ultimo, soltanto ad ottenere la condanna dell’Amministrazione militare al pagamento di una maggiore somma a titolo di danno patrimoniale e al riconoscimento del danno non patrimoniale. 5. Le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti. Va anche suddiviso per metà tra le parti medesime l’importo corrisposto per entrambi i gradi di giudizio a titolo di contributo unificato di cui all’articolo 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 numero 115. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunciando sull’appello principale, come in epigrafe proposto, lo accoglie e – per l’effetto – respinge il ricorso proposto in primo grado. Respinge – altresì – l’appello incidentale proposto da Giuseppe Davide Italia. Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari di entrambi i grado di giudizio. Pone – altresì – a carico di ciascuna parte per metà l’importo corrisposto per entrambi i gradi di giudizio a titolo di contributo unificato di cui all’articolo 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 numero 115.