Compensi elevati per i commercialisti dell’anziana: è circonvenzione di incapace?

Ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di incapace, devono concorrere gli elementi della minorata capacità di autodeterminazione della persona offesa in relazione ai suoi interessi patrimoniali, dell’induzione a compiere atti con effetti giuridici dannosi e dell’abuso della vulnerabilità del soggetto passivo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 45116/17 depositata il 29 settembre. La vicenda. Il Tribunale di Urbino, pronunciandosi in sede di rinvio, accoglieva parzialmente l’istanza di riesame presentata da due imputati avverso il provvedimento di sequestro preventivo delle somme giacenti sul conto corrente bancario intestato ad uno dei due, provvedimento emesso in relazione all’imputazione per il reato di circonvenzione di incapace. In particolare, ai due imputati veniva contestato l’abuso dello stato di bisogno e del deficit psichico di una donna ultra 85enne e priva di parenti che era stata indotta a compiere atti di disposizione di ingenti risorse finanziarie a favore degli imputati. La pronuncia viene nuovamente impugnata in Cassazione dalla difesa secondo la quale le somme versate dall’anziana erano il corrispettivo di prestazioni professionali svolte a suo favore dagli imputati in qualità di commercialisti. Anche il PM impugna il provvedimento dolendosi per motivazione apparente in relazione alla congruità delle somme corrisposte dalla persona offesa. Elementi del reato. La Corte afferma che, ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di incapace, devono concorrere gli elementi della minorata capacità di autodeterminazione della persona offesa in relazione ai suoi interessi patrimoniali, dell’induzione a compiere atti con effetti giuridici dannosi e dell’abuso della vulnerabilità del soggetto passivo. In particolare, prosegue il Collegio, l’elemento dell’induzione, seppur non rigorosamente ancorato all’uso di mezzi coattivi, di artifizi o raggiri, è comunque caratterizzato da una necessaria ed apprezzabile attività di pressione morale, di suggestione o persuasione intesa quale spinta psicologica che non può ravvisarsi nella pura e semplice richiesta rivolta al soggetto passivo di compiere un atto giuridico . Ciò detto, la prova dell’induzione può derivare anche da elementi indiziari, avuto riguardo alla natura dell’atto, all’oggettivo pregiudizio subito, alla precarietà delle condizioni psichiche della vittima e all’esistenza di ragioni di credito da parte del beneficiario. Tornando al caso di specie, il Tribunale non risulta aver correttamente applicato tali principi posto che, una volta accertato l’incapacità psichica della persona offesa, si è limitato ad individuare quella parte di compenso eccedente rispetto alle tariffe professionali, individuando in tale importo il danno subito dall’anziana ed il vantaggio per i due ricorrenti, e rinunciando al contempo ad indagare sull’elemento dell’induzione. Per questi motivi, la Corte accoglie i ricorsi e annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame della vicenda.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 – 29 settembre 2017, n. 45116 Presidente Paoloni – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 11 gennaio 2017, e depositata in data 14 febbraio 2017, il Tribunale di Urbino, pronunciando in seguito a sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, Sez. 2, n. 38419 del 05/07/2016, ha parzialmente accolto l’istanza di riesame presentata nell’interesse di B.V. e B.A.C. avverso il provvedimento di sequestro preventivo avente ad oggetto la somma di denaro di 77.715 Euro, giacente su conto corrente bancario intestato a B.V. , disponendo la restituzione a quest’ultimo dell’importo di 50.000 Euro. Il reato per cui è stato emesso il provvedimento di sequestro è quello di cui all’art. 643 cod. pen., ed attiene all’abuso dello stato di bisogno e del deficit psichico di N.A. , tra l’altro ottantacinquenne e priva di parenti a lei vicini, per indurla a compiere atti di disposizione di ingenti risorse finanziarie depositate su di un conto corrente bancario a lei intestato i fatti si assumono commessi dal omissis . In particolare, si contesta che tra gli atti di disposizione compiuti dalla N. in conseguenza dell’abuso dello stato di bisogno e del deficit psichico rientri il pagamento della somma di 77.715 Euro in favore di B.V. per prestazioni professionali da questo fornite, e in relazione al quale è stata rilasciata la fattura n. XX del omissis . La sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione, Sez. 2, n. 38419 del 05/07/2016, pur premettendo che poteva ritenersi accertata, allo stato degli atti, la situazione di deficienza psichica della N. , ha affermato che l’ordinanza impugnata in quella sede non forniva una reale motivazione in ordine all’approfittamento di tale situazione da parte dei ricorrenti, mediante induzione della persona offesa a compiere un atto dannoso per sé e vantaggioso per gli inducenti. Precisamente, secondo la pronuncia rescindente, l’ordinanza impugnata non indicava perché fosse da ritenersi incongruo il pagamento della somma di Euro 77.000 di cui 61.250,79 per compensi ed il resto per I.V.A. per prestazioni professionali effettivamente compiute e documentate dagli indagati in relazione all’attività difensiva da essi svolta nell’interesse della persona offesa davanti alla Commissione Tributaria Regionale di Ancona. Nell’ordinanza impugnata in questa sede, il Tribunale premette che le prestazioni professionali compiute da B.V. e B.A.C. si riferiscono ad un giudizio tributario in sede di appello, per un valore di 800.000 Euro circa, promosso da impugnazione dell’Agenzia delle Entrate avverso una decisione di primo grado favorevole al fratello della persona offesa, la quale, a sua volta, era subentrata nel giudizio, in quanto erede, a seguito della morte di detto familiare. Rileva, poi, che il compenso risulta in linea con le tariffe professionali della categoria dei dottori commercialisti, come previste in particolare dal d.m. n. 140/2012, almeno per un importo massimo pari ad Euro 40.000 più I.V.A. e, quindi, a circa 50.000 Euro , posto che la controversia è per un valore di circa 800.000 Euro e che le tariffe indicate prevedono, per l’attività di assistenza e rappresentanza tributaria dinanzi alle Commissioni Tributarie , un onorario corrispondente a percentuale compresa tra 11 ed il 5 % sull’importo complessivo di imposte, tasse, contributi, sanzioni ed interessi dovuti. Aggiunge, inoltre, che gli indagati non hanno fornito adeguata dimostrazione delle ragioni giustificative del superamento dei limiti tariffari. Conclude, pertanto, che, quantomeno per l’importo di 50.000 Euro, deve escludersi un effettivo e concreto approfittamento dello stato di bisogno della persona offesa, e che, quindi, il sequestro preventivo può essere mantenuto solo per la somma eccedente a tale importo. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Urbino, e gli avvocati Enzo Vampa ed Emanuele Aluigi, quali difensori di fiducia degli indagati B.V. ed B.A.C. . 3. Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Urbino è articolato in un unico motivo, nel quale si lamenta violazione di legge per motivazione apparente in ordine alla congruità delle somme corrisposte dalla persona offesa. Si deduce che l’ordinanza impugnata non si confronta con le risultanze in atti. In particolare, la stessa omette di considerare che il ricorso davanti alla Commissione Tributaria Regionale non è stato ancora discusso in udienza e che, per l’attività difensiva svolta in primo grado, comprendente anche la discussione in udienza del ricorso, tra l’altro coronata da successo, N.G. , fratello della persona offesa, aveva corrisposto a B.V. la somma di Euro 6.100, pari, quindi, a meno di un decimo della somma versata per l’attività difensiva concernente il secondo grado. 4. I ricorsi di B.V. e A.C. sono articolati anch’essi in un unico motivo, nel quale si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, 321 e 324 cod. proc. pen., 111, sesto comma, Cost. e 2225 e 2233 cod. civ., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., avendo riguardo alla natura meramente apparente della motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione del sequestro. Si deduce, dopo ampia premessa sulle vicende emerse nel corso delle indagini e sulle plurime pronunce emesse nell’ambito del procedimento, anche in sede di legittimità, che le ordinanze del Tribunale del riesame in data 28/10/2015 e 06/07/2016, e le sentenze della Corte di cassazione n. 12896 del 08/03/2016, n. 12897 del 08/03/2016 e n. 38419 del 05/07/2016 hanno escluso la sussistenza del reato in contestazione, e che, inoltre, l’ordinanza impugnata è contraddittoria, perché comunque riconosce che la fattura emessa e pagata è relativa a prestazioni professionali effettivamente prestate e svolte con esito positivo per gli interessati, quindi non sussiste reato , e ogni contestazione sul quantum delle prestazioni non può essere oggetto di accertamento da parte del riesame . Si aggiunge, poi, che la fattura n. XX del OMISSIS conteneva espressa indicazione delle voci per le quali veniva chiesto il compenso, che l’art. 28 del d.m. n. 140 del 2012 prevede la possibilità di cumulare più voci, che l’attività di consulenza tributaria non coincide né con l’assistenza professionale, né con la difesa in giudizio, e che occorre considerare anche il rimborso delle spese. Si osserva, infine, che il Tribunale del riesame, in quanto giudice del rinvio, avrebbe dovuto limitarsi all’analisi della questione connessa al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, e che nessuna motivazione è addotta in ordine al requisito del periculum. 5. In data 8 settembre 2017, l’avvocato Emanuele Aluigi ha depositato memoria, con la quale reitera la richiesta di accoglimento del ricorso presentato nell’interesse di B.V. e A.C. e si esprime per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso del Pubblico ministero. A tal fine, ribadisce innanzitutto che i diversi provvedimenti del Tribunale del riesame e della Corte di cassazione hanno escluso la sussistenza del reato di circonvenzione di incapace. Aggiunge, poi, che la persona offesa, sentita nell’incidente probatorio, ha affermato di essere pienamente consapevole consenziente in relazione a tutte le operazioni eseguite e che la perizia effettuata sulla stessa ne ha riconosciuto la piena capacità cognitiva. Considerato in diritto 1. L’ordinanza impugnata deve essere annullata ai fini di un nuovo esame, in accoglimento di tutti i ricorsi, per le ragioni di seguito precisate. 2. Il reato per il quale è stato adottato il provvedimento di sequestro preventivo parzialmente confermato dal Tribunale di Urbino in funzione di riesame è quello di circonvenzione di persone incapaci. Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 643 cod. pen., secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, devono concorrere a la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo minore, infermo psichico e deficiente psichico in ordine ai suoi interessi patrimoniali b l’induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un’apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all’atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto c l’abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l’agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a sé o ad altri un profitto così, esemplificativamente, Sez. 2, n. 39144 del 20/06/2013, Alfaro Yepez, Rv. 257068 . In particolare, per la sussistenza dell’elemento della induzione , se non è richiesto l’uso di mezzi coattivi o di artifici o raggiri, è pur sempre necessaria un’attività apprezzabile di pressione morale, di suggestione o di persuasione, cioè di spinta psicologica che non può ravvisarsi nella pura e semplice richiesta rivolta al soggetto passivo di compiere un atto giuridico così, in particolare, Sez. 2, n. 28080 del 12/06/2015, Benucci, Rv. 264146, e Sez. 2, n. 1195 del 13/12/1993, dep. 1994, Di Falco, Rv. 196331, ma anche Sez. 2, n. 1419 del 13/12/2013, dep. 2014, Pollastrini, Rv. 260351 . Ovviamente, la prova della condotta induttiva può essere tratta anche da elementi indiziari e prove logiche, avendo riguardo alla natura dell’atto, all’oggettivo pregiudizio da esso derivante e ad ogni altro accadimento connesso al suo compimento così, ad esempio, Sez. 2, n. 6078 del 09/01/2009, Tripodi, Rv. 243449 tuttavia, a tal fine assumono rilievo anche il grado di precarietà delle condizioni psichiche della vittima Sez. 2, n. 4816 del 15/01/2010, Bertozzi, Rv. 246279 e l’esistenza di ragioni di credito da parte del beneficiato cfr., ad esempio, Sez. 2, n. 18583 del 07/04/2009, Padovani, Rv. 244546 . Se, poi, sia accertata l’induzione, il risultato dell’approfittamento dello stato di infermità o di deficienza psichica della vittima rilevante a norma dell’art. 643 cod. pen. può consistere anche nella stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, sempre che tra queste sia rinvenibile uno squilibrio economico a danno dell’incapace per un esempio, Sez. 5, n. 771 del 18/11/1975, dep. 1976, Lombardo, Rv. 131921 . 3. L’ordinanza impugnata non risulta aver fatto corretta applicazione di detti principi. 3.1. Invero, una volta ritenuto accertato lo stato di incapacità psichica della persona offesa, il Tribunale si è limitato ad individuare la parte di onorario percepita dagli indagati B.V. e B.A.C. che andava al di là del massimo previsto dalle tariffe professionali, e ad individuare in questo importo il danno per la persona offesa ed il vantaggio per i due ricorrenti privati. Il Tribunale, però, non ha compiuto un accertamento necessario, attinente ad un elemento costitutivo del reato, e cioè se vi sia stata induzione nei confronti della persona offesa affinché corrispondesse l’importo in questione. È in questa prospettiva che deve intendersi la precedente pronuncia di annullamento con rinvio il danno ed il vantaggio - e, nella vicenda in esame, lo squilibrio tra prestazione professionale e compenso erogato - in tanto rilevano in quanto costituiscono elementi sulla base dei quali, unitamente ad una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso di specie, debba inferirsi la sussistenza di una attività di induzione posta in essere nei confronti della vittima funzionale a farle compiere l’atto per sé pregiudizievole. Ove poi si ritenga accertata l’attività di induzione, è l’atto di disposizione compiuto dalla vittima nel suo complesso a porsi come il risultato di una condotta illecita. Tale conclusione, suggerita dalla lettera dell’art. 643 cod. pen., che ha riguardo, come termine di riferimento della condotta di induzione, all’ atto produttivo un effetto pregiudizievole e non all’ effetto , trova conferma nella elaborazione della giurisprudenza civile di legittimità secondo quest’ultima, infatti, è nullo, ex art. 1418 cod. civ., per contrasto con norma imperativa, il contratto stipulato per effetto del reato di circonvenzione di incapace cfr., tra le tante, Sez. 2 civ., n. 10609 del 28/04/2017, Rv. 643890/01 e Sez. 2 civ., n. 2860 del 07/02/2008, Rv. 601820/01 . Può aggiungersi che la nullità dell’atto disposizione patrimoniale ex art. 1418 cod. civ. determina l’applicazione della disciplina di cui all’art. 2039 cod. civ., in forza della quale l’incapace che ha ricevuto una prestazione indebita è gravato da un obbligo di restituzione nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è stato rivolto a suo vantaggio peraltro, identica è la disciplina applicabile ove si ritenesse l’atto dispositivo non nullo ma annullabile, attesa la previsione di cui all’art. 1443 cod. civ. . Muovendo da questi rilievi, il risultato illecito della condotta di circonvenzione di incapace, nel caso in cui questa si riferisca al pagamento di un compenso per prestazioni professionali, non può essere individuato facendo ricorso, puramente e semplicemente, al criterio del superamento del massimo previsto dalla tariffa professionale, e, quindi, avendo necessariamente riguardo al solo importo eccedente tale misura. 3.2. Tenendo conto di queste osservazioni, colgono nel segno sia le censure degli indagati, sia le censure del Pubblico ministero. Da un lato, infatti, il Tribunale non avrebbe dovuto limitarsi ad accertare l’esistenza di uno squilibrio tra prestazione professionale e compenso ricevuto, ma avrebbe anche, e primariamente, dovuto valutare, sia pure in termini indiziari, se tale squilibrio sia stato il risultato di una condotta di induzione , nei termini precedentemente specificati. A tal fine, inoltre, sarebbe stato necessario considerare tutti gli elementi della concreta fattispecie, e non semplicemente il superamento del massimo tariffario. Dall’altro lato, poi, il Tribunale, una volta ritenuta la configurabilità del reato di cui all’art. 643 cod. pen., allo scopo di individuare il risultato pregiudizievole per la vittima e vantaggioso per gli indagati, avrebbe dovuto prendere in esame non solo le tariffe professionali, ma anche le ulteriori circostanze addotte dal Pubblico ministero, e che risultano completamente trascurate in particolare la ridotta misura dell’attività svolta, per la non ancora discussione del ricorso davanti alla Commissione Tributaria Regionale, e la riferita abnorme sproporzione tra compenso corrisposto per il primo grado di giudizio e compenso corrisposto per il giudizio di appello . 4. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata per nuovo esame, al fine di approfondire se, alla luce di tutte le circostanze della concreta fattispecie, il pagamento del compenso agli indagati si ponga, o meno, come il risultato di una attività di induzione. In caso il pagamento in questione debba essere ritenuto il risultato di una attività di induzione, e si ravvisi la sussistenza di tutti i presupposti di cui all’art. 321 cod. proc. pen., l’estensione del sequestro dovrà essere individuata, per le ragioni precedentemente esposte, all’esito di una valutazione effettuata in concreto, senza trovare necessariamente un limite nel massimo previsto dalla tariffa professionale. P.Q.M. In accoglimento dei ricorsi del Pubblico ministero e delle parti private, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Urbino.