Non ti basta il risarcimento del danno biologico? Allora dimostra il danno patrimoniale

Il danno derivante da lesione della capacità lavorativa specifica è un danno patrimoniale e deve essere dimostrato in concreto dal danneggiato.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 15238, depositata il 3 luglio 2014. Il caso. Il Tribunale di primo grado condannava al risarcimento dei danni conseguenti ad un incidente stradale l’autista dell’autoveicolo, in favore della passeggera, che aveva riportato gravi lesioni. La Corte d’appello, adita dalla danneggiata, confermava la sentenza. I Giudici territoriali condividevano la liquidazione del danno compiuta dal Tribunale anche in ordine alla ricompensazione, nel danno biologico da invalidità permanente, del danno derivante da lesione della capacità lavorativa specifica della vittima. Ricorreva, allora, in Cassazione la danneggiata, lamentando la violazione degli articolo 2056 c.c. valutazione dei danni e 2059 c.c. danno non patrimoniale . Secondo la ricorrente, sulla base del riscontro della c.t.u., che le aveva riconosciuto un’invalidità al lavoro pari al 46%, la lesione della capacità lavorativa specifica non poteva essere ricompresa nel danno biologico, in considerazione del tipo di lesioni riportate e dell’attività di barista svolta dalla danneggiata. Il danneggiato deve dimostrate il danno patrimoniale. Nel decidere il caso in esame, la Cassazione riporta il principio secondo il quale, effettivamente, la menomazione della capacità lavorativa specifica, configurando un pregiudizio patrimoniale, va ricondotta nell’ambito del danno patrimoniale e non del danno biologico Cass., numero 17464/2007 . Tuttavia, è del pari pacifico il principio per cui l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta automaticamente l’obbligo al risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, poiché è il soggetto leso che deve dimostrare in concreto lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del danno subito Cass., numero 18489/2007 . La ricorrente, però, non aveva dimostrato di aver patito una diminuzione del proprio reddito in conseguenza del sinistro. La Cassazione, in conclusione, stabilisce che, sebbene possa ammettersi in astratto che chi eserciti l’attività di barista possa subire una diminuzione del reddito a causa dei danni riportati al braccio ed alla spalla, spetta alla stessa fornire l’onere della prova che tale diminuzione gravi sul danneggiato che richieda il risarcimento. Per tali ragioni, il Collegio rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 maggio – 3 luglio 2014, numero 15238 Presidente Spirito – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. M.N. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Sondrio, la società Bolle di sapone, P.A. e la s.p.a. Groupama Assicurazioni affinchè fossero condannate al risarcimento dei danni conseguenti ad un incidente stradale nel quale ella viaggiava, come trasportata, a bordo della vettura condotta dalla P. e di proprietà della società Bolle di sapone. Espose, a sostegno della domanda, che la P. , effettuando un sorpasso in ora notturna, si era spostata sull'opposta corsia di marcia, andando ad impattare frontalmente contro un autocarro a seguito dell'urto, ella stata sbalzata fuori dell'abitacolo, riportando gravi danni. Svolta una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda, dichiarando la responsabilità esclusiva di P.A. nella determinazione del sinistro. 2. La sentenza è stata appellata in via principale dalla M. e in via incidentale dalla società di assicurazione Groupama e la Corte d'appello di Milano, con pronuncia del 10 ottobre 2007, ha respinto entrambi gli appelli, confermando la sentenza di primo grado e compensando le spese del giudizio di secondo grado. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che andava condivisa la liquidazione del danno compiuta dal Tribunale anche in ordine alla ricomprensione nel danno biologico da invalidità permanente del danno derivante da lesione della capacità lavorativa specifica della vittima, avendo riconosciuto un valore medio-alto al punto risarcitorio Euro 1.600 proprio in considerazione dell'incidenza negativa dei postumi sull'espletamento delle mansioni lavorative. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Milano propone ricorso M.N. , con atto affidato a due motivi. Resiste la s.p.a. Groupama Assicurazioni con controricorso. Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli articolo 2056 e 2059 cod. civ., nonché dell'articolo 4 del decreto-legge 23 dicembre 1976, numero 857, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1977, numero 39. Rileva la ricorrente che nel caso specifico il c.t.u. le aveva riconosciuto un'invalidità al lavoro pari al 46 per cento, con riduzione della capacità lavorativa pari ad un terzo tali percentuali, in considerazione del tipo di lesioni riportate e dell'attività di barista da lei concretamente svolta, non consentivano una ricomprensione del danno da lesione della capacità lavorativa specifica nel danno biologico, e ciò in conformità ad un pacifico orientamento di questa Corte. Tale ricomprensione non sarebbe possibile se la percentuale di riduzione della capacità lavorativa è maggiore di quella del danno biologico. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo per il giudizio. Secondo la ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe motivato in modo adeguato circa le effettive conseguenze dannose del fatto, avendo ella riportato non una lesione della capacità lavorativa generica, bensì di quella specifica. 3. I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto fra loro strettamente connessi, sono entrambi privi di fondamento. Può ritenersi, in effetti, pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte il principio per cui la menomazione della capacità lavorativa specifica, configurando un pregiudizio patrimoniale, va ricondotta nell'ambito del danno patrimoniale e non del danno biologico v., tra le altre, le sentenze 9 agosto 2007, numero 17464, e 27 gennaio 2011, numero 1879 . Tuttavia costituisce principio altrettanto pacifico quello per cui l'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso sentenze 25 agosto 2006, numero 18489, 8 agosto 2007, numero 17397, e 21 aprile 2010, numero 9444 . Nel caso specifico, anche volendo ammettere - secondo la tesi della ricorrente - che la Corte territoriale abbia compiuto una qualche confusione tra danno biologico e danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa specifica, assume comunque valenza decisiva il fatto che non risulta in alcun modo che la M. abbia dimostrato di aver patito una diminuzione del proprio reddito in conseguenza del sinistro. In altre parole, se si può ammettere, in astratto, che chi esercita l'attività di barista possa subire una diminuzione del reddito a causa dei danni riportati al braccio ed alla spalla, è pacifico che l'onere della prova di siffatta diminuzione gravi sul danneggiato che richiede il risarcimento. E non risulta che si sia svolta alcuna attività istruttoria su questo punto, né l'odierno ricorso specifica alcunché al riguardo, mentre è evidente che la questione doveva essere posta al giudice di merito. È appena il caso di rilevare, infine, che non ha alcuna importanza il dato della elevata percentuale di invalidità al lavoro determinata dalla Commissione per l'invalidità civile - nella specie in misura del 46 per cento - trattandosi di concetto affatto diverso da quello che rileva ai fini del presente giudizio risarcitorio. 4. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, numero 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.