L’ambiguità lessicale delle disposizioni relative alla sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, ha sollevato un contrasto interpretativo meritevole di rimessione alle Sezioni Unite, in quanto in casi complessi se al giudice di primo grado deve darsi maggior tempo per la trattazione del processo, sarebbe un controsenso che nel frattempo venga a cessare la custodia cautelare.
Questo è quanto emerge dall’ ordinanza numero 12356 del 17 marzo 2014. Custodia in carcere conosce varie cause sospensive. La questione attiene alla misura cautelare, consistente nella custodia in carcere, disposta nei confronti di un uomo imputato di reati di criminalità organizzata. Per tali fatti lo stesso viene giudicato con rito abbreviato e condannato alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione più il versamento di una multa. La custodia cautelare conosce poi diversi casi di sospensione ex articolo 304 c.p.p., e il Tribunale del Riesame successivamente accoglie l’istanza del condannato e dispone la scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di fase. Le ragioni a sostegno dell’accoglimento dell’istanza stavano nel fatto che il dies a quo per il decorso dei termini di fase fosse quello della data della sentenza di primo grado e che, in presenza di più cause di sospensione, non si potesse comunque superare il doppio del termine ordinario ritenuto pari ad 1 anno . Un problema di calcoli. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il PM, ritenendo che il Tribunale, segnatamente all’articolo 303, comma 1, lett. b numero 3 bis c.p.p., non ha tenuto conto del fatto che la disposizione trovasse applicazione nella fase di appello, bensì solo in quella di primo grado e nelle more tra la sentenza di appello e l’eventuale giudizio in Cassazione. Invece, a parere del PM, che riprende una recente pronuncia della S.C., lo scopo della novella della legge numero 4/01 è stato proprio quello di far sì che, nei processi di criminalità organizzata, la problematica del calcolo dei termini fosse affrontata in modo unitario collegando tra loro tutti i termini della fase. Sezioni Unite chiamate a risolvere contrasto giurisprudenziale. La Corte in proposito, l’ambiguità lessicale della disposizione è innegabile, infatti il ricorso, come chiave ermeneutica, alla ratio delle novelle legislative, non è ingiustificato dovendosi, effettivamente, leggere in esse l’intento di consentire al giudice di primo grado una maggiore tempo di trattazione del processo che abbia ad oggetto i reati più gravi, senza che, nel frattempo, venga a cessare la custodia cautelare per effetto della maturazione dei relativi termini di fase. Del resto ammette la Corte anche da una lettura sistematica delle disposizioni analizzate emerge in primo luogo una difficoltà interpretativa dei termini adoperati che ha fatto si che ci fossero diversi orientamenti in merito, pertanto a fronte di questa complessa situazione interpretativa è d’obbligo la rimessione della causa alle Sezioni Unite.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 febbraio – 17 marzo 2014, numero 12356 Presidente Mannino – Relatore Mulliri Osserva 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - In data 20.1.10, il ricorrente G. è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere in relazione all'accusa di cui al capo M2 articolo 73 T.U. stup., aggravato ex articolo 7 L. 203/91 . Per tale fatto, egli è stato giudicato con rito abbreviato ed il G.u.p., il 28.2.11, lo ha condannato alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione e 30.000 € di multa confermata in secondo grado in data 29.4.13 . La durata della custodia cautelare ha conosciuto varie cause di sospensione ex articolo 304 c.p.p Con l'ordinanza oggetto di gravame, il Tribunale per il Riesame, in accoglimento dell'appello dell'indagato avverso l'ordinanza della Corte di appello che aveva respinto analoga istanza , ne ha disposto la scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di fase. Il ragionamento del Tribunale si è sviluppato attraverso la considerazione che il dies a quo per il decorso dei termini di fase fosse quello della data della sentenza di primo grado - vale a dire, il 28.2.11 - e che, in presenza di più cause di sospensione, non potesse comunque essere superato il doppio del termine ordinario ritenuto pari ad un anno . Per l'effetto, i giudici di merito hanno ritenuto che il termine massimo di custodia fosse decorso il 28.2.13 ed hanno rimesso in libertà l'imputato. 2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, il P.M. ha proposto ricorso deducendo erronea interpretazione della norma processuale, segnatamente dell'articolo 303, comma 1, lett. b numero 3 bis c.p.p Il Tribunale, infatti, non ha ritenuto che tale disposizione trovasse applicazione nella fase di appello bensì solo in quella di primo grado e nelle more tra la sentenza di appello e l'eventuale giudizio di cassazione. Al contrario, il ricorrente, riportato per intero il contenuto di una recente pronunzia di questa S.C. sez. v, 11.7.12, Sulaiman, numero 30759 sostiene che lo scopo della novella della legge 4/01 è stato proprio quello di far sì che, nei processi di criminalità organizzata, la problematica del calcolo dei termini fosse affrontata in modo unitario collegando tra loro tutti i termini di fase. Ciò si evince, del resto, anche dal tenore letterale della norma che contiene un richiamo al termine di cui al sub d - ossia alla fase che intercorre tra la pronuncia di appello e quella definitiva di legittimità - che è chiaramente indicativo del fatto che il meccanismo previsto dall'articolo 303 comma 1 lett. h numero 3 bis è pienamente operativo anche in costanza della fase d'appello, così come è agevole dedurre anche dal testuale richiamo ai numeri 1 , 2 e 3 presenti, sia, con riferimento ai diversi termini della fase di primo grado, sia, in relazione ai termini del giudizio di appello. 3. Motivi della decisione - La questione sollevata con il ricorso in esame evidenzia una problematica sulla quale, a seguito della pronuncia della sezione quinta di questa S.C., numero 30759/12, era già emerso un contrasto interpretativo tra le sezioni di questa Corte. 3.1. La sentenza Sualaiman, infatti, si è posta consapevolmente in contrasto con il diverso ed omogeneo orientamento di questa Corte se si fa eccezione per Sez. 2 numero 9148/03 del 30 maggio 2002, Reccia, non massimata , secondo cui, argomentando dal tenore letterale del comma 6 dell'articolo 304 c.p.p., il termine di durata massima della custodia cautelare non potrebbe essere aumentato fino a sei mesi sommandovi il residuo recuperato nella fase dibattimentale da quelle precedenti, poiché, per un verso, l'avverbio comunque , utilizzato dalla disposizione, sottolineerebbe il carattere di limite insuperabile del doppio termine di custodia e, per altro verso, la collocazione dell'inciso senza tenere conto dell'ulteriore aumento previsto dall'articolo 303, comma primo, lett. b numero 3 bis - subito dopo l'enunciazione della regola in tema di durata massima della custodia - escluderebbe invece l'adozione di ogni criterio di computo che riduca la portata della stessa v. Sez. I, 11.4.07, numero 34545, Greco, Rv. 237680 Sez. VI, 7.10.11, numero 38671 Amasiatu, Rv. 250847 Sez. I, 15.5.03, numero 26794, Pirrone, Rv. 225006 Sez. I, 9.1.02, numero 8094, Gulino, Rv. 221326 Sez. I, 8.8.01, numero 34119, Trane, Rv. 219914 . 3.2. Le opposte ragioni della sentenza di questa Sez. V sono state sopra sintetizzate nell'illustrare i motivi del ricorso del P.M 3.3. E' avviso di questo collegio che le considerazioni poste alla base della decisione dissenziente siano meritevoli di attenzione. L'ambiguità lessicale della disposizione di cui all'articolo 304, comma 6, c.p.p. è, infatti, innegabile. Il ricorso, come chiave ermeneutica, alla ratio delle novelle legislative, non è ingiustificato dovendosi, effettivamente, leggere in esse l'intento di consentire al giudice del dibattimento di primo grado un maggior tempo per la trattazione del processo che abbia ad oggetto i reati più gravi senza che, nel frattempo, venga a cessare la custodia cautelare per effetto della maturazione dei relativi termini di fase. Se ciò ha un senso, sarebbe allora illogico ritenere che tale giudice possa dilatare i tempi processuali senza il timore della scarcerazione dell'imputato, per poi sterilizzare l'ulteriore termine cautelare di cui si sia in concreto avvalso tanto più che la sua aggiunta a quello massimo di cui al comma sesto dell'articolo 304 non comporta alcuna estensione effettiva del tempo di custodia, atteso che il suo prolungamento nella fase è compensata da una minore durata della carcerazione nella fase precedente ovvero nella pendenza del giudizio di cassazione . In tal senso, perciò, l'equivoca locuzione normativa senza tenere conto ben potrebbe assumere il significato per cui, dal computo, debba rimanere escluso il periodo di custodia recuperato . Del resto, anche una lettura sistematica della disposizione consente di osservare che il comma 7 dello stesso articolo 304 ed il comma 4 dell'articolo 303 - con espressioni simili ma più lineari non si tiene conto dei considerate anche . - esprimono il medesimo, significativo, concetto secondo cui la volontà legislativa è quella di non computare, ai fini ivi dichiarati, determinati tempi custodiali nel calcolo rispettivamente dei termini massimi e di quelli complessivi. 3.4. L'eventuale adesione di questo Collegio alla decisione della V sezione radicalizzerebbe il contrasto giurisprudenziale già delineatosi. Si impone, quindi, previamente, ai sensi dell'articolo 618 c.p.p. una rimessione della questione all'attenzione delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte. P.Q.M. Visto l'articolo 618 c.p.p. rimette il ricorso dinanzi alle Sezioni Unite.