Risparmio gestito: il capitale investito non è mai garantito

L’attività di gestione non garantisce di mantenere invariato il valore del patrimonio affidato alla banca ed espone l’investitore al rischio di perdite.

Rigettata la domanda risarcitoria avanzata dai risparmiatori nei confronti dell’intermediario per le perdite derivanti dalla gestione patrimoniale. Il Tribunale di Roma, con sentenza numero 4004 del 19 febbraio 2014, accertata la condotta diligente della banca convenuta, respinge la richiesta di risarcimento pari a circa euro 90.000 avanzata da due risparmiatori, condannandoli al pagamento delle spese di lite. Con la gestione l’intermediario assume un’obbligazione di mezzi. Il Tribunale di Roma ben chiarisce che, mediante il contratto di gestione, il risparmiatore trasferisce all’intermediario il controllo del proprio patrimonio finanziario. Il cliente incarica cioè l’intermediario, che assume un’obbligazione di mezzi, ad adottare, entro margini di discrezionalità più o meno ampi, decisioni di investimento mediante operazioni in strumenti finanziari finalizzate alla valorizzazione del patrimonio gestito, i cui risultati positivi o negativi ricadono direttamente sul patrimonio del cliente stesso. Il contratto di gestione è valido anche senza la firma della banca per accettazione.Condividendo l’orientamento della Suprema Corte di Legittimità Cass. 4564/12 il Tribunale di Roma conferma che non occorre che la volontà negoziale sia manifestata dai contraenti contestualmente ed in un unico documento il contratto si deve ritenere perfezionato anche in presenza di sottoscrizioni contenute in documenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora si accerti che il secondo documento è inscindibilmente collegato al primo, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo. Integrano dunque il requisito della forma scritta richiesta dalla legge le comunicazioni sottoscritte dal funzionario della banca precedenti all’instaurazione del giudizio e riconducibili al contratto di gestione, rappresentando la manifestazione scritta della banca della volontà di darvi esecuzione. Impossibile impugnare le singole operazioni finanziarie oggetto di gestione patrimoniale. Osserva il Tribunale di Roma che non possono essere autonomamente impugnate dal cliente le singole operazioni di investimento/disinvestimento poste in essere nel’ambito del contratto di gestione di portafogli, non avendo queste autonomia contrattuale. Il contratto di gestione si ricollega al genus del contratto quadro. Irrilevante dunque l’immediato compimento o meno di singole operazioni di gestione non è l’atto esecutivo che qualifica il rapporto, né tantomeno occorrono atti di impulso dell’investitore per rendere attuali gli obblighi di gestione contrattualmente assunti dalla banca. Spetta al cliente provare l’esatta perdita economica sofferta, l’esistenza di una situazione di conflitto di interessi e di un danno riconducibile alla condotta inadempiente della banca. Ricorda, infine, il Tribunale di Roma che incombe al cliente dimostrare, in base a conferente allegazione a la perdita economica derivante dalla gestione ed il superamento della soglia rilevante per l’obbligo di comunicazione da parte dell’intermediario b l’esistenza di una operatività in conflitto di interessi della banca ed il detrimento della posizione contrattuale da essa derivante a tutto vantaggio dell’intermediario c l’esistenza di un danno e che questo sia riconducibile alla condotta inadempiente della banca.

Tribunale di Roma, sez. III Civile, sentenza 12 19 febbraio 2014, numero 4004 Giudice Scerrato Svolgimento del processo Con atto di citazione, ritualmente notificato alla convenuta Unicredit Spa già Bipop Carire Spa , gli attori S. G. e L. A., premesso di essere coniugi e pensionati, allegavano che a dicembre del 1999 e a gennaio del 2000 erano stati sollecitati dal direttore della filiale di Imperia di Bipop Carire ad effettuare investimenti in fondi comuni, amministrati direttamente dalla banca e presentati come sicuri che in data 20/12/99 si era provveduto a prelevare lire 100.000.000 dal proprio conto corrente, per far gestire la predetta somma dalla banca mediante la stipula di Contratto di Gestione di Portafogli di Investimento in Fondi Comuni, senza peraltro che fosse fornita copia del contratto o data alcuna informazione sulla rischiosità dell’investimento che in data 31/1/00, all’esito di ulteriore attività di sollecitazione, era stata prelevata dalla banca l’ulteriore somma di lire 500.000.000, per l’investimento in una gestione patrimoniale con sottoscrizione di altro contratto della medesima natura che anche in questo caso non era stata fornita copia del contratto né data alcuna informazione sui rischi dell’operazione che al momento del disinvestimento nel 2008 era stata loro restituita una somma ridotta di circa il 30%, con una perdita di 89.669,36 euro che la gestione, come appreso dall’esame della documentazione successivamente richiesta alla banca, era stata attuata in maniera incompatibile con le loro caratteristiche soggettive di prudenti risparmiatori ed erano emerse molte irregolarità a livello formale e sostanziale che inoltre la gestione non era stata oculata, avendo la banca operato scelte di investimento molto rischiose che i due contratti erano nulli per violazione della forma scritta imposta ad substantiam ex articolo 23 D.lgs 58/98 TUF, in quanto non risultavano sottoscritti anche dalla banca, come emergeva dalle copie peraltro incomplete dei contratti, loro trasmesse dalla convenuta a seguito di apposita richiesta che le operazioni di investimento e di disinvestimento cd switch erano avvenute senza specifico ordine da parte di essi attori che in ogni caso era evidente il grave inadempimento contrattuale da parte della banca per violazione della normativa primaria e secondaria prevista in materia di intermediazione finanziaria mancato assolvimento degli obblighi informativi a livello attivo e passivo, omessa consegna del documento sui rischi generali, omessa consegna dei prospetti informativi, situazione di conflitto di interessi che avevano pertanto diritto al risarcimento del danno patito sia a titolo di danno emergente che di lucro cessante. Tanto premesso, gli attori concludevano come in epigrafe riportato. Si costituiva in giudizio la convenuta Unicredit Spa, che concludeva come in epigrafe riportato. Previa eccezione di difetto di legittimazione passiva a seguito della cessione alla Pioneer Investment Management SGRpA del ramo di azienda comprendente anche il rapporto in contestazione, allegava che il rapporto collegato al primo contratto di gestione di portafogli si era estinto con una plusvalenza di circa 2.500,00 euro, trasferiti al secondo contratto di gestione che non vi era stata alcuna lamentata violazione della disciplina di riferimento e che, ad ogni buon conto, nel corso del rapporto vi erano stati dei disinvestimenti per 62.724,10 euro, per cui a tutto concedere la perdita subita non poteva essere superiore a 27.919,26 euro. A seguito di autorizzazione del Giudice, gli attori, alla luce delle deduzioni di parte convenuta, chiamavano in giudizio la Pioneer Investment Management SGRpA, indicata come cessionaria del ramo di azienda ‘Gestioni di portafogli di investimento Bipop Carire’. Si costituiva in giudizio la predetta società chiamata, la quale concludeva come in epigrafe riportato. La causa era istruita documentalmente, essendo stata ritenuta superflua ogni ulteriore attività istruttoria. All’udienza del 23/9/13 la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali 60 giorni e di eventuali repliche ulteriori 20 gg i termini ex articolo 190 e 281 quinquies c.p.comma sono scaduti il 12/12/13. Motivi della decisione La domanda attrice è infondata e va rigettata. Richiamato quanto esposto in precedenza, si concorda sull’applicabilità, alla luce del periodo dei fatti di causa, del D.lgs 58/98 TUF e del Regolamento Consob 11522/98. Parte attrice ha sollevato l’eccezione di nullità dei due contratti di gestione di portafogli del 1999 e del 2000 in relazione a vari profili, che vanno disattesi. Per quanto attiene alla questione, sicuramente la più importante e rilevante fra quelle poste all’attenzione del tribunale, dell’eccepita nullità dei due contratti per mancanza di forma scritta in violazione dell’articolo 23 TUF, appare utile precisare, in relazione alla natura dei due contratti, che la norma di riferimento è l’articolo 24 TUF, che si riferisce specificatamente ai contratti di gestione di portafogli e che deve essere considerata norma speciale rispetto a quella dell’articolo 23 TU, che in parte integra e specifica. Ad ogni buon conto non appare inutile richiamare, con riferimento al citato articolo 23 TUF, la distinzione fra il contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento cd contratto quadro e le singole successive operazioni, poste in essere in esecuzione di detto contratto, e le connesse problematiche in materia di vizi di forma. Al riguardo il suddetto contratto quadro, da qualificare come contratto di intermediazione finanziaria e da ricondurre alla figura del contratto di mandato cfr. Cass. 384/12 , dà origine ad un rapporto continuativo di prestazione di servizi di intermediazione e disciplina i diversi servizi alla cui prestazione l’intermediario si obbliga verso il cliente e proprio per questo è destinato ad assolvere alla funzione appunto di contratto quadro rispetto alle successive attività negoziali, in cui poi si estrinsecherà l’espletamento dei servizi di investimento ed accessori. Il predetto contratto, avente ad oggetto la prestazione dei servizi di investimento, regola il rapporto fra cliente ed intermediario, stabilendo i servizi forniti e le loro caratteristiche, la durata del rapporto e le modalità di rinnovo o di modifica del suo contenuto, le modalità con le quali il cliente impartisce ordini o istruzioni all’intermediario, la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione di rendiconto dell’attività svolta dall’intermediario, la costituzione della provvista a garanzia delle operazioni disposte e le altre condizioni per la prestazione del servizio. Le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente ed in adempimento del contratto quadro, quand’anche possano consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di intermediazione cfr. citata Cass. 384/12 in motivazione . Dunque, accanto al contratto quadro a monte, vi sono a valle successive operazioni o attività, in cui si estrinseca appunto l’espletamento dei servizi di investimento ed accessori in favore del cliente. Proprio per la sua importanza, dalle leggi succedutesi nel tempo cfr. L. 1/91, D.lgs 415/96, D.lgs 58/98, D.lgs 164/07 è sempre stata prescritta ad substantiam la forma scritta a pena di nullità cfr. Cass. 7283/13 si tratta di nullità relativa, in quanto è eccepibile solo dal cliente sul punto la giurisprudenza è pacifica cfr. Cass. 7283/13 . Viceversa questo obbligo di forma scritta non sussiste ex lege per i singoli ordini, essendo rimessa alla volontà delle parti, sulla base di quanto risulta dal contratto quadro, la forma degli ordini cfr. Cass. 28432/11 . Con specifico riferimento al contratto di gestione, questo obbligo di forma scritta ad substantiam è previsto dall’articolo 24, 1° comma, lett. a , TUF ogni ulteriore approfondimento, anche in ordine alla natura del contratto di gestione, da configurare anch’esso come un particolare contratto quadro, viene rimandato al momento dell’esame della domanda subordinata. Tornando al caso di specie, si rileva che parte attrice ha eccepito la nullità dei due contratti per carenza di forma scritta, in quanto mancava, sui moduli contrattuali, la firma della banca per accettazione è evidente, alla luce di quanto detto, che la forma scritta ad substantiam è espressamente imposta dall’articolo 24 TUF e che la sua mancanza comporterebbe la nullità dei contratti e delle operazioni finanziarie che hanno costituito esecuzione degli stessi. Aprendo una parentesi, si osserva quanto segue. In base alla confermata adesione all’orientamento, ormai consolidato, della Suprema Corte cfr. Cass. 4564/12, in motivazione , secondo il quale, ai fini della sussistenza del requisito della forma scritta nei contratti, non occorre che la volontà negoziale sia manifestata dai contraenti contestualmente e in un unico documento, si deve ritenere perfezionato il contratto, benché le sottoscrizioni siano contenute in documenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora, sulla base di una valutazione rimessa al giudice di merito, si accerti che il secondo documento è inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo. Dunque anche eventuali comunicazioni, sottoscritte da funzionario responsabile della banca ed inequivocabilmente riconducibili al contratto in questione, devono ritenersi idonee ad integrare il requisito della forma scritta richiesta dalla legge infatti le stesse rappresentano l’espressa accettazione della proposta contrattuale sottoscritta dal cliente, attraverso la manifestazione scritta della volontà della banca di darvi esecuzione, purché detta volontà sia intervenuta in epoca precedente all’introduzione del giudizio. La copia di contratto sottoscritta solo dal cliente deve pertanto essere qualificata quale mera proposta contrattuale, cui, in difetto di sottoscrizione da parte della banca, non fa seguito alcuna accettazione in forma scritta da parte della banca stessa, con la conseguenza che, in caso di domanda di nullità, alla mera proposta non può attribuirsi più alcuna efficacia, atteso che la domanda di nullità costituisce un’espressa manifestazione della volontà di revocare il proprio consenso al perfezionamento del vincolo negoziale. Viceversa detto discorso non vale più e si è in presenza di un valido contratto, nel caso in cui dalla documentazione prodotta dalle parti dovesse emerge il perfezionamento dell’accordo, attraverso l’accettazione per iscritto da parte della stessa banca della proposta formulata dal cliente, purché ciò come detto sia avvenuto prima della revoca manifestata da quest’ultimo con la richiesta di accertamento della nullità del contratto. In questi ultimi casi infatti la revoca del consenso da parte del cliente, a seguito della proposizione di domanda di nullità del contratto per mancanza di forma scritta, si manifesterebbe dopo che, attraverso la ricezione di documentazione attinente al rapporto e firmata dalla banca, deve ritenersi concluso il contratto, secondo i principi generali di cui all’articolo 1326 c.c Va quindi confermata adesione all’orientamento, oltre che della Cassazione, anche del Tribunale di Roma, Terza Sezione Civile, come risultante dalla sentenza numero 2284/11 del 25/1-4/2/1 pres. d.ssa Raganelli, estens. dott. Cardinali , collegio di cui faceva parte anche questo Giudice. Si dà atto, per mera completezza espositiva, che l’intestato Tribunale non segue l’orientamento indicato sulla riconducibilità della nullità di protezione cd nullità relativa nell’ambito della disciplina dell’annullamento per quanto attiene alla prospettata possibilità di convalida del contratto nullo. Al riguardo infatti non sembra che dalla natura relativa della nullità prevista dall’art 23 TUF, che può essere fatta valere solo dall’investitore, possa trarsi la conseguenza della convalidabilità del contratto nullo, in deroga a quanto previsto dall’articolo 1423 c.c La previsione della convalida, invero, non è contenuta nel citato articolo 23 TUF, né in alcuna delle norme di derivazione europea che hanno recepito le diverse ipotesi di nullità di protezione e la prospettata preclusione del diritto dell’investitore, che abbia tacitamente accettato gli effetti del contratto, dandovi spontanea esecuzione, di far valere la nullità del contratto privo della forma richiesta dalla legge si porrebbe in contrasto sia con la ratio della norma, che tale nullità sancisce, sia con il contenuto formale della norma stessa e delle norme in materia di nullità del codice civile. Non pare, infatti, possa dubitarsi che la finalità di protezione degli interessi del contraente considerato più debole, che la legge intende perseguire, sarebbe facilmente elusa e frustrata dalla possibilità di accettare irreversibilmente gli effetti del contratto nullo inoltre la definizione in termini di nullità della sanzione prevista dalla norma, in mancanza di espressa eccezione, comporta l’impossibilità stessa di rendere un contratto, di per sé improduttivo di effetti ab origine, idoneo ad acquistare efficacia in un momento successivo. Chiusa questa parentesi e tornando al caso di specie, si osserva che, contrariamente alla generica deduzione di parte attrice, che ha accomunato nel medesimo vizio formale entrambi i contratti, il secondo contratto di gestione di portafogli di investimento in fondi Comuni del 31/1/00 cfr. docomma 5 della convenuta risulta sottoscritto, oltre che da entrambi gli attori, anche dalla banca BIPOP CARIRE, Filiale di Imperia , per cui l’eccezione di nullità è chiaramente infondata in relazione a questo secondo contratto. Apparentemente diverso è il discorso per il primo contratto, quello del 10/12/99 firmato dal solo attore S. cfr. docomma 2 di parte convenuta , in quanto lo stesso effettivamente non risulta sottoscritto anche dalla banca, che invece aveva sottoscritto, come emerge dal modulo prodotto dalla stessa parte attrice ma anche dalla convenuta come suo docomma 4 , il documento informativo, che peraltro, non contenendo alcun espresso riferimento al peraltro contestuale contratto di gestione, non appare di per sé sufficiente a far ritenere concluso in forma scritta il predetto contratto di gestione. Dagli atti di causa risulta peraltro il modulo ‘richiesta di trasferimento quote’ cfr. docomma 6 di parte convenuta , datato 31/1/2000 e debitamente sottoscritto dall’attore e dalla banca, con cui il S., con specifico riferimento al contratto numero 308551 e quindi al primo contratto di gestione del 10/12/99, aveva richiesto il trasferimento delle quote quindi si può ritenere soddisfatto il richiamato requisito di forma scritta, attraverso l’accettazione per iscritto da parte della banca. Qualora, diversamente opinando, si volesse ritenere nullo il primo contratto di gestione e legittimato il solo attore S. a far valere detta nullità, osserva il Giudice che in data 1/2/00, come risulta dal docomma 6 prodotto dalla stessa parte attrice si tratta comunque di circostanza allegata dalla convenuta fin dalla sua costituzione e non contestata dall’attore l’intero importo a suo tempo investito, incrementato dal guadagno di 2.478,50 euro, è stato dall’attore trasferito dal precedente deposito numero 308551 in un nuovo deposito numero 466287 , quello cioè relativo al secondo contratto di gestione stipulato in data 31/1/00 dal S. unitamente alla coniuge L. A Il citato documento attoreo docomma 6 riporta i seguenti dati in euro salvo il capitale iniziale, indicato anche in lire , pur trattandosi di fatti di fine 1999 inizi 2000 dal saldo iniziale di lire 100.000.000 pari a 51.645,69 euro al 13/12/99 si passa a 54.124,19 euro al 31/12/99, con un incremento di 2.478,50 euro alla terza riga è riportato che “ al 01/02/2000 il saldo conferito nel successivo deposito ” nello stesso documento attoreo sub 6, risulta riportato di seguito il citato deposito numero 466287, che presenta un saldo al 31/1/00 di lire 500.000.000 pari a 258.228,40 euro , che al successivo 1/2/00 risulta aumentato a 337.306,15 euro. Pertanto, estinto il primo rapporto contrattuale, il relativo capitale, incrementato della somma guadagnata, è stato di fatto restituito all’attore, che ha ritenuto di investirlo in un nuovo rapporto, collegato al secondo contratto di gestione quindi, non potendo l’attore ottenere una seconda volta la restituzione di quanto a suo tempo investito sulla base di un contratto nullo, non ha interesse alla dichiarazione di nullità del predetto contratto di gestione. Del resto una situazione del genere si verifica, mutatis mutandis, nel caso di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito, conseguente alla dichiarazione di nullità del contratto articolo 1422 c.c. , che comporta la tralaticia affermazione della mancanza di interesse a far dichiarare la nullità del contratto stesso. Per quanto riguarda la questione della pretesa nullità dei contratti per violazione dell’articolo 30, 6° comma, TUF osserva il Giudice che il secondo contratto di gestione contiene apposita dichiarazione sulla informazione, ai sensi della citata normativa, in ordine alla sospensione degli effetti del contratto per sette giorni ed alla facoltà di recesso entro lo stesso termine, senza alcuna spesa né corrispettivo a carico dei clienti cfr. docomma 5 di parte convenuta . Per il primo contratto, a prescindere da ogni altra considerazione, valgono le superiori osservazioni sulla carenza di interesse. Nelle conclusioni attoree è stata richiesta, oltre alla dichiarazione di inesistenza e di inefficacia vizi non meglio individuati né individuabili -, anche la dichiarazione di annullabilità dei due contratti di gestione patrimoniale, senza peraltro meglio dedurre sugli eventuali vizi del volere errore e dolo in ipotesi da porre alla base della domanda stessa. Qualora si volesse ritenere ricollegabili detti vizi della volontà alla lamentata mancanza di informazioni, va ribadito che l’asserita violazione degli obblighi di informazione, da porre alla base della qui solo ipotizzata domanda di annullamento, potrebbe rilevare in termini di inadempimento contrattuale, ma non in termini di vizio del consenso cfr., in relazione alla precedente normativa, ma il principio è sempre valido, Cass. 18039/12 “In tema d'intermediazione finanziaria, le informazioni che devono essere preventivamente fornite dall'intermediario, a norma dell'articolo 6 della previgente legge 2 gennaio 1991, numero 1, non riguardano direttamente la natura e l'oggetto del contratto, ma gli elementi utili per valutare la convenienza dell'operazione e non sono quindi idonee ad integrare l'ipotesi di mancanza di consenso deve, pertanto, essere esclusa non solo la nullità del contratto per mancanza di uno dei requisiti fondamentali previsti dall'articolo 1325 cod. civ., qual è il consenso-accordo, ma anche la sua annullabilità per errore, come nel caso in cui l'investitore si dolga di aver acquistato non un titolo diverso, o con caratteristiche diverse, da un altro, ma un titolo privo del positivo andamento sperato, così prospettando una valutazione che rimane confinata nel campo dei motivi” . In conclusione tutti i profili di pretesa irregolarità o vizi formali non portano all’accoglimento della domanda attorea. Viceversa tutti gli altri profili di lamentata irregolarità nella condotta della banca mancata consegna di un esemplare del contratto, mancata consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, violazione degli obblighi informativi, non adeguatezza dell’operazione , con conseguente pretesa violazione degli articolo 21 TUF e 28 e 29 del Regolamento Consob numero 11522/98, attengono a profili di inadempimento contrattuale. Sul punto è sufficiente richiamare il condiviso insegnamento della Cassazione cfr. Cass. SU 26724/07 , che, riprendendo la nota distinzione fra regole di validità e regole di comportamento e richiamando l’orientamento espresso da Cass. 19024/05, ha sostanzialmente rilevato che la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative postula che siffatta violazione attiene ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, come del resto si desume dal dato testuale dell’articolo 1418, 1° comma, c.comma che si riferisce al contratto e non a comportamenti antecedenti o successivi delle parti “Il contratto è nullo quando è contrario a norma imperativa” , con la conseguenza che l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto ovvero nella sua esecuzione non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista dalla legge, così come prescritto dall’articolo 1418, 3° comma, c.c Anche la violazione di regole di comportamento può quindi in ipotesi portare all’invalidità del contratto, ma questo avviene solo nei casi espressamente stabiliti dalla legge. Sussiste, invero, nella legislazione in tema di intermediazione la distinzione tra norme di validità e norme di comportamento il D.lgs 58/98 disciplina analiticamente i casi di nullità del contratto di intermediazione mobiliare come nullità relative, che non possono essere fatte valere dalla banca, né sono rilevabili d’ufficio dal giudice, ma solamente dal cliente articolo 23, 3° comma, articolo 24 u.c., articolo 30, 7° comma pertanto, ritenere che la violazione degli obblighi di informazione e di diligente e trasparente condotta integri una nullità assoluta, in quanto tale articolo 1421 c.c. rilevabile d’ufficio dal giudice, significherebbe introdurre, da parte dell’interprete, una ben più grave ipotesi di nullità non prevista dal legislatore e persino contraria alla ratio della normativa a protezione dei consumatori, come quella in esame, nonché in ipotesi agli interessi del cliente stesso. La questione connessa alla violazione degli obblighi di comportamento, stabiliti dalla normativa primaria e secondaria a carico degli intermediari finanziari, deve pertanto essere ormai risolta, alla luce di condivisa ed ormai costante giurisprudenza di legittimità e di merito anche del Tribunale di Roma, unicamente in termini di responsabilità precontrattuale ovvero di inadempimento contrattuale, che se grave può portare alla risoluzione, e non più di nullità o di annullamento. Fatta questa premessa di inquadramento dogmatico e passando all’esame della domanda subordinata di accertamento dell’inadempimento e di risarcimento del danno, vanno approfonditi i profili tipici del contratto di gestione, come quelli per cui è causa. Per inciso si evidenzia che le seguenti osservazioni valgono -come discorso di carattere generale per entrambi i contratti di gestione, ma nello specifico si potrà esaminare solo il secondo contratto nei termini del dedotto inadempimento, in quanto come detto il primo contratto deve ritenersi, per stessa ammissione di parte attrice, risolto fin dagli inizi del 2000 e comunque il relativo rapporto non era stato negativo per l’attore, avendo invero costui conseguito una rilevante plusvalenza cfr. citato docomma 6 di parte attrice . Come è noto, il Regolamento Consob numero 11522/98 è stato sostituito dal Regolamento numero 16190/07 del 29/10/07, pubblicato sulla GU 255 del 2/11/07, mentre il D.lgs 58/98 TUF è stato in più parti modificato dal D.lgs 164/07 con decorrenza 1/11/07 quindi i due contratti di gestione vanno disciplinati, in relazione al momento della loro stipulazione, con riferimento alla disciplina primaria e secondaria anteriore alle ricordate modifiche. E’ ben vero si potrebbe obiettare che dal citato prospetto riepilogativo, prodotto come docomma 6 di parte attrice Gestione di portafogli di investimento in fondi comuni , si fa riferimento anche ad aggiornamenti trimestrali nel corso del 2008 fino al totale disinvestimento a fine dicembre 2008 inizi 2009, con conseguente ipotizzabile effettuazione di operazioni anche nel vigore della nuova legge, ma in citazione nessuna deduzione è stata svolta a proposito dell’adeguamento o meno del contratto alla nuovo normativa ovvero a nuove operazioni svolte nella vigenza della nuova legge, essendosi invero limitata la contestazione alla stipula dei due contratti e alle operazioni di disinvestimento/investimento poste in essere dalla banca nel periodo fra aprile giugno 2000 e gennaio-marzo 2003 cfr. citazione a pag. 3 . La gestione del portafogli era richiamata dall’articolo 1, 5° comma, lett. d , D.lgs 58/98 gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi la modifica di detto articolo, a seguito del D.lgs 164/07, non è stata sostanziale la gestione individuale del portafogli è attualmente riportata sempre alla lett. d dell’articolo 1, 5° comma gestione di portafogli . I predetti due contratti ben possono quindi essere ricondotti nell’ambito dei contratti di gestione individuale ex articolo 24 D.lgs 58/98 TUF. Il contratto di gestione individuale di portafogli di investimento è quindi un contratto nominato, caratterizzato dalla funzione gestoria, regolato espressamente dalle norme primarie e secondarie TUF e relativo regolamento di attuazione e solo in via residuale, in mancanza di disposizioni di settore, dalle norme sul mandato professionale. In relazione a tale tipo di contratto, va evidenziato che tra le parti si instaura un rapporto fiduciario in virtù del quale il risparmiatore trasferisce il controllo del proprio patrimonio finanziario all’intermediario, affinché questi lo gestisca nell’esclusivo interesse del risparmiatore stesso. Si tratta di un contratto a titolo oneroso, in cui il cliente incarica l’intermediario, che assume un’obbligazione di mezzi, di adottare, entro margini di discrezionalità più o meno ampi, decisioni di investimento mediante operazioni in strumenti finanziari finalizzate alla valorizzazione del patrimonio gestito, i cui risultati positivi o negativi ricadono direttamente sul patrimonio del cliente stesso. E’ opportuno innanzitutto ricordare che come detto l’articolo 23 del TUF si occupa in generale dei contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori, dettando regole specifiche sulla loro forma, sull’inammissibilità della determinazione del contenuto mediante rinvio agli usi, sull’allocazione dell’onere della prova nel giudizio di risarcimento dei danni cagionati nello svolgimento dei servizi, sul dovere di consegnare all’investitore copia del contratto. Altri articoli del Testo Unico e segnatamente l’articolo 24 gestione di portafogli [di investimento] , l’articolo 25 negoziazione di strumenti finanziari e l’articolo 30 offerta fuori sede disciplinano dettagliatamente alcuni servizi. Alla disciplina generale dei contratti con gli investitori era pure dedicato l’articolo 30 del regolamento Consob 11522/98, che imponeva un contenuto minimo obbligatorio di tali contratti, con riferimento all’oggetto, alla durata, alle modalità di esecuzione del rapporto. Il contratto di gestione patrimoniale di portafogli si colloca nella categoria generale dei contratti relativi ai servizi di investimento ciò è confermato dalla stessa circostanza che l’articolo 1, 5° comma, lett. d colloca va tra i servizi di investimento anche la gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi -, ma ha una tipicità distinta dalle altre fattispecie, di cui alla previsione dell’articolo 23 TUF si tratta infatti di un contratto nominato e tipico, caratterizzato da una separazione patrimoniale funzionale alla gestione redditizia di determinati ‘valori’, in relazione al quale si è cercato di individuare nella disciplina di settore primaria e secondaria un giusto compromesso fra il riconoscimento di un ampio potere di gestione da parte dell’intermediario ed il contestuale riconoscimento di un potere di controllo in capo all’investitore. Il contratto di gestione appartiene al genus dei contratti d’intermediazione finanziaria, avente ad oggetto il compimento di successivi investimenti, che attengono alla fase esecutiva del contratto, mentre a monte il rapporto deve risultare disciplinato da apposito contratto, che si ricollega come detto al genus dei contratti quadro. Nell’ambito di detto contratto diventa del tutto irrilevante l’immediato compimento o meno di singole operazioni di gestione non è l’atto esecutivo che qualifica il rapporto, né è necessario attendere il compimento del primo atto esecutivo per affermare l’esistenza di un rapporto obbligatorio munito di obblighi positivi di prestazione, né tanto meno occorrono atti di impulso dell’investitore per rendere attuali gli obblighi di gestione contrattualmente assunti dalla banca. Si deve poi ricordare che non possono essere autonomamente impugnate le singole operazioni di investimento/disinvestimento, poste in essere nell’ambito del contratto di gestione di portafogli, atteso che la Suprema Corte ha ribadito che i singoli contratti di acquisto/vendita, in cui si articola la gestione, non hanno una propria autonomia contrattuale. La gestione, così come prevista dalla disciplina primaria e secondaria, è per sua natura discrezionale nella gestione del patrimonio affidato dal cliente alla banca, anche se la legge tende a ridurre e limitare tale discrezionalità, per evitare abusi, come si desume dall’articolo 24, 1° comma, lettera b , TUF, ove è previsto che “ . il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere ” quindi la discrezionalità e la conseguente individualità dell’attività di gestione cfr. articolo 1, 5° comma, lett. d TUF “ gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi” ben possono attenuarsi nei casi in cui sia contrattualmente previsto che l’intermediario debba conformarsi ad una determinata politica d’investimento, coerente con la scelta di una determinata linea di gestione più dinamica ovvero più conservatrice . A tale riguardo va ricordato che si deve procedere, anche in questo tipo di contratti, alla ‘profilatura’ del cliente, al fine di individuarne le caratteristiche soggettive obiettivi, capacità finanziaria, conoscenze degli strumenti finanziari, propensione al rischio, ecc. , utili per poi conformare le scelte di investimento e di disinvestimento quindi la scelta della politica di investimento, anche in questo ambito, è strettamente connessa e funzionale alla successiva valutazione di adeguatezza per tipologia, oggetto, frequenza, dimensione delle varie operazioni, al fine di meglio tutelare gli interessi del cliente, e di conseguenza anche la discrezionalità dell’intermediario, che costituisce il tratto saliente del contratto di gestione, viene inevitabilmente a ridursi, dovendo le scelte dell’intermediario essere coerenti con le caratteristiche soggettive del cliente e con le caratteristiche oggettive dei titoli di volta in volta acquistati o venduti. È di tutta evidenza che, al pari degli altri servizi di investimento, nel caso in cui l’intermediario non dovesse rispettare i suddetti limiti si avrebbe una sua responsabilità contrattuale, fonte di eventuale obbligo risarcitorio in caso di danni. È poi espressamente previsto che quando il patrimonio affidato dovesse perdere, in una determinata percentuale, il suo originario valore complessivo, che può anche essere stato predeterminato all’atto della stipulazione, viene in rilievo la diligenza del gestore, tenuto ad avvisare prontamente il cliente. Quanto sin qui detto sulla riconducibilità del contratto di gestione di portafogli di investimento ad un tipo contrattuale rientrante nella categoria più generale dei contratti di investimento e la lettura sistematica del regolamento Consob 11522/98, portano a ritenere sicuramente applicabili, anche all’ipotesi di gestione, le norme regolamentari di cui agli articolo 26 e seg. del Regolamento Consob 11522/98. Il capo I del titolo I, in cui tali norme sono contenute, è infatti relativo alle disposizioni di carattere generale, per lo più contenenti obblighi informativi, relative a tutti i servizi di investimento ed accessori, compresa quindi l’ipotesi della gestione. Del resto numerose norme di quelle in esame contengono richiami espressi alla gestione si veda l’articolo 28, 2° comma, Regolamento sull’obbligo di fornire informazione adeguata sulla natura dell’affare, operazione o servizio, necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento prima di prestare il servizio di gestione, ed ancora l’articolo 28, 4° comma, Reg., che pone a carico dell’intermediario un obbligo di pronta informazione dell’investitore in caso di perdite del patrimonio affidato nell’ambito di una gestione pari o superiori al 30%. Il capo II del titolo I del Regolamento in esame disciplina, nelle relative sezioni in cui è suddiviso, i singoli servizi e la sezione IV è dedicata alla Gestione di portafogli. Ulteriore conferma dell’applicabilità alla fattispecie della gestione di portafogli della normativa generale di cui al Capo I si ricava anche dalla circostanza che l’articolo 37, disciplinando i contratti di gestione con gli investitori, prevede un contenuto contrattuale obbligatorio in aggiunta a quanto stabilito in generale dall’articolo 30 del Regolamento stesso. Tanto doverosamente ribadito e passando all’esame della domanda subordinata di accertamento del preteso grave inadempimento della banca e di conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni, ritiene il Giudice che la domanda attorea, contrassegnata da generici richiami alla violazione di buona parte delle norme in materia di obblighi di comportamento degli intermediari finanziari, appare altrettanto caratterizzata dalla carenza di adeguata allegazione circa gli specifici elementi di fatto, su cui si fondano detti richiami normativi, e circa le conseguenze negative che tali circostanze avrebbero comportato in ordine allo svolgimento del rapporto. Gli attori hanno allegato che il preteso, ma dalla banca contestato, danno patrimoniale, era derivato da inadempimento contrattuale della banca ed in particolare dalla mancanza di informazioni attive e passive e dalla scelta gestionale errata, da parte della banca, di effettuare investimenti altamente speculativi, indirizzando la gestione verso comparti ad alto rischio, non coerenti con il profilo soggettivo degli attori. Da parte sua la banca convenuta cfr. comparsa di risposta ha contestato che la gestione fosse stata improntata ad un elevato rischio che la gestione doveva essere esaminata nel suo complesso e non con riferimento alle singole operazioni asseritamente rischiose richiamate in citazione che le scelte di investimento erano state comunque adeguate e che non sussisteva alcun obbligo contrattuale di informazione, non essendo stato superato il limite percentuale di perdita, che avrebbe reso obbligatoria la comunicazione ai clienti. Al riguardo, come discorso di inquadramento dogmatico della responsabilità degli intermediari, si deve evidenziare, anche a riprova del fatto che la condotta degli intermediari finanziari deve essere valutata in relazione al contratto quadro con il cliente, che gli obblighi di comportamento, imposti all’intermediario dalla normativa primaria e secondaria e finalizzati al rispetto della clausola generale consistente nel dovere per l’intermediario di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente, “ si collocano in parte nella fase che precede la stipulazione del contratto di intermediazione finanziaria ed in altra parte nella fase esecutiva di esso ” cfr. Cass. SU 26724/07 in motivazione e che la loro violazione comporta, sempre secondo la citata sentenza, nel primo caso “ una responsabilità di tipo precontrattuale, da cui ovviamente discende l’obbligo per l’intermediario di risarcire gli eventuali danni. Non osta a ciò l’avvenuta stipulazione del contratto. ”, mentre nel caso di “ violazione dei doveri dell’intermediario riguardanti la fase successiva alla stipulazione del contratto d’intermediazione si ha un vero e proprio inadempimento o un non esatto adempimento contrattuale giacché questi doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti. Ne consegue che l’eventuale loro violazione, oltre a generare eventuali obblighi risarcitori può condurre anche alla risoluzione del contratto di intermediazione in corso ”. Punto di partenza, anche per i contratti di gestione di portafogli di investimento alla luce di quanto detto, è l’articolo 21 del D.lgs 58/98 T.U.F. , che, nel testo vigente all’epoca dell’investimento in esame gennaio 2000 e per quanto qui di interesse in relazione alla domanda attrice, prevedeva che “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono a comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati b acquisire le informazioni necessarie dei clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati c organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento .”. In attuazione delle succitate norme di legge di cui all’articolo 21, lettere a e b del T.U.F., il Regolamento Consob numero 11522/98 all’epoca vigente prevedeva a carico dei soggetti abilitati, prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, l’obbligo di “ a chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore” e di “ b consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’allegato 3” articolo 28, 1° comma si tratta evidentemente di obblighi, tanto di acquisire informazioni utili per adeguare la successiva fase operativa quanto di consegna del documento informativo sui rischi, che, in base alla ricostruzione operata da Cass. SSUU 26724/07, attengono alla fase precedente alla stipulazione del contratto quadro. Attengono invece alla fase successiva alla stipulazione del contratto quadro e quindi alla sua corretta esecuzione gli obblighi informativi, che erano previsti dal 2° comma del citato articolo 28 del Regolamento Consob 11522/98 e che erano finalizzati a porre il cliente sempre in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole nuove operazioni di investimento e di disinvestimento nonché di conoscere ogni fatto utile a decidere consapevolmente “Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” . Analoghi obblighi di informazione, attinenti alla fase esecutiva, erano previsti dall’articolo 34 del Regolamento Consob 11522/98, in base al quale “nell’esecuzione dell’incarico gli intermediari autorizzati comunicano a ciascun investitore le circostanze a essi note relative alle caratteristiche dell’operazione”, cui si ricollega anche l’obbligo di segnalare l’eventuale non adeguatezza dell’operazione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 29 del citato Regolamento, dovendo invero gli intermediari autorizzati astenersi “ dall’effettuare con o per conto del cliente operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione” 1° comma , salva l’ipotesi della richiesta del cliente, fatta per iscritto, di dare comunque esecuzione all’ordine, una volta avuta la piena conoscenza e consapevolezza non solo del rischio, ma anche dell’inadeguatezza dell’operazione. Se è dunque vero che, a tal fine, “gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati” articolo 29, 2° comma, citato Regolamento , è anche vero che la non adeguatezza della specifica operazione doveva e deve essere comunque segnalata dagli intermediari, i quali sono tenuti a fornire all’investitore chiare informazioni anche delle “ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” e solo come detto “qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ” articolo 29, 3° comma anche in questi ultimi casi o meglio a maggior ragione proprio in questi casi di ritenuta e segnalata non adeguatezza dell’operazione è necessario che vi sia una idonea, cioè chiara e trasparente, informazione da parte degli intermediari per consentire al cliente di avere una piena conoscenza e consapevolezza della rischiosità dell’operazione finanziaria. In tale contesto è del tutto condivisibile che “ l’obbligo dell’intermediario di tenersi informato sulla situazione del cliente, in quanto funzionale al dovere di curarne diligentemente e professionalmente gli interessi, permanga attuale durante l’intera fase esecutiva del rapporto e si rinnovi ogni qual volta la natura e l’entità della singola operazione lo richieda ” cfr. predetta Cass. SSUU 26724/07, nelle motivazioni . Va però ribadito che nel caso di servizio di gestione l’informazione attiva e passiva, sicuramente da acquisire e da fornire prima della stipula del contratto di gestione e quindi prima dell’inizio della gestione stessa cfr. articolo 28, 1° e 2° comma del Regolamento Consob 11522/98 , non riguarda ogni singola operazione che l’intermediario, sia pure sempre in coerenza con la politica d’investimento delineata e concordata alla luce della caratteristiche soggettive del cliente, compie in funzione della ricordata gestione del patrimonio del cliente l’obbligo di informazione diventa invece attuale, qualora si dovesse superare un certo livello di perdita. Al riguardo infatti l’articolo 28, 4° comma del Regolamento Consob 11522/98 prevede che “ g li intermediari autorizzati informano prontamente e per iscritto l’investitore ove il patrimonio affidato nell’ambito di una gestione si sia ridotto per effetto di perdite, effettive o potenziali, in misura pari o superiore al 30% del controvalore totale del patrimonio a disposizione alla data di inizio di ciascun anno, ovvero, se successiva, a quella di inizio del rapporto, tenuto conto di eventuali conferimenti o prelievi. Analoga informativa dovrà essere effettuata in occasione di ogni ulteriore riduzione pari o superiore al 10% di tale controvalore”. Tornando al caso di specie e portando a sintesi le superiori osservazioni, si osserva, tenuto conto della documentazione in atti, che la banca aveva proceduto, in relazione al contratto di gestione del gennaio 2000 l’unico da prendere in esame, in quanto in ipotesi causa di perdita patrimoniale , alla profilatura dei clienti e a porre in essere, anche in relazione alle operazioni contestate in citazione, una gestione adeguata ai profili soggettivi dei clienti stessi. In particolare, ritiene il Giudice che gli attori erano stati adeguatamente oggetto di ‘profilatura’ e che nel suo insieme la gestione non era risultata inadeguata in relazione alle singole operazioni poste in essere. Dall’esame del contratto di gestione di portafogli di investimento in Fondi comuni del 31/1/00, in cui si richiama espressamente il citato articolo 24 TUF, gli odierni attori avevano conferito alla banca l’incarico di “ . convertire il nostro patrimonio in un portafoglio di investimento gestito mediante operazioni aventi ad oggetto quote o azioni di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari . di diritto italiano o comunque emesse in stati appartenenti all’OCSE ”. Risulta inoltre che dell’originario portafoglio da gestire di lire 500.000.000 era stato previsto l’investimento di lire 100.000.000 in ‘Obiettivo protezione’ a basso grado di rischio di lire 235.000.000 in ‘Obiettivo Reddito’ a gradi di rischio bilanciato di lire 140.000.000 in ‘Obiettivo Crescita’ a grado di rischio medio/alto e di lire 25.000.000 in “Obiettivo Sviluppo” ad alto grado di rischio . Dalla composizione dell’investimento iniziale si può ritenere, stante la destinazione di soli lire 25.000.000 pari allo 0,05% del totale ad un fondo speculativo ad alto rischio e di lire 140.000.000 pari al 28% del totale ad un fondo a rischio medio/alto, che l’investimento dovesse essere su posizioni prevalentemente conservative e tranquille, coerenti con la decisione degli attori di non voler rilasciare informazioni sulla propria esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari e sulla loro situazione finanziaria. A quest’ultimo riguardo va ricordato che, in base alla pacifica giurisprudenza del Tribunale, il mancato rilascio di informazioni da parte dei clienti, quanto meno prima della ricordata riforma del TUF del 2007, non impediva all’intermediario di prestare ugualmente il servizio e di eseguire la prestazione, ma l’intermediario era tenuto ugualmente, se non maggiormente, all’attenta cura degli interessi del cliente e ad osservare l’ordinario criterio di diligenza nel valutare l’adeguatezza dell’operazione, dovendosi invero presumere, in difetto di contrarie informazioni non rese dal cliente, che costui fosse un risparmiatore ed un investitore non speculatore. Gli attori in citazione hanno allegato che negli anni 2000-2003 erano stati eseguiti disinvestimenti da fondi a minor rischio e contestuali investimenti in fondi a maggior rischio in particolare nel trimestre aprile-giugno 2000 questo passaggio aveva riguardato 13.262,77 euro nel trimestre luglio-settembre 2000 il passaggio aveva riguardato 28.921,58 euro nel trimestre gennaio-marzo 2001, 41.316,55 euro erano stati disinvestiti nella linea Obiettivo Crescita ed investiti nella linea Obiettivo Sviluppo per 10.329,14 euro nel trimestre ottobre-dicembre 2001 25.822,84 erano stati disinvestiti dalla linea Obiettivo Reddito e passati alla linea Obiettivo Valore nel trimestre gennaio-marzo 2003 erano stati disinvestiti 7.023,78 euro dalla linea di gestione Obiettivo Sviluppo e trasferiti nella linea Evoluzione Crescita Sviluppo. Peraltro, ricordato che il giudizio di inadeguatezza p.es. per concentrazione deve essere operato in una valutazione globale in rapporto percentuale con le altre componenti, si osserva che l’andamento della gestione in occasione delle ricordate operazioni di trasferimento del denaro, quale risulta dal docomma 6 di parte attrice, presenta un trend in linea con quello registrato negli altri trimestri. Inoltre parte convenuta ha anche allegato che vi erano state operazioni di segno opposto, ossia di passaggio a linee a minor rischio, non solo non prese in considerazione da parte attrice, ma neanche contestate. Non varrebbe neanche la contestazione di parte attrice sull’omessa informazione in ordine all’andamento dei singoli investimenti infatti non risulta provato dagli attori, in base a conferente allegazione, quale fosse la soglia rilevante se quella generale del 30% ovvero altra specificamente concordata per l’obbligo di comunicazione né hanno allegato e provato che fosse stata effettivamente superata detta soglia di perdita, che imponeva l’immediata comunicazione della perdita stessa, perdita peraltro non estranea al mercato dei titoli finanziari infatti è evidente che l’attività di gestione non consente alcuna garanzia di mantenere invariato il valore del patrimonio affidato in gestione ed espone l’investitore al rischio di perdite che, solo se superiori ad un certo livello percentuale, obbligano l’intermediario alla immediata comunicazione al cliente. Priva di consistenza è la doglianza degli attori in ordine alla allegata mancata consegna del Documento sui rischi in generale degli investimenti, come emerge alla luce del docomma 7 di parte convenuta, debitamente sottoscritto per ricevuta dagli odierni attori le firme non disconosciute, il chiaro contenuto confessorio della dichiarazione in parola ed il principio di auto responsabilità, gravante su chi appone la propria firma su atti scritti, rendono chiaramente infondata ogni deduzione di parte attrice anche in ordine alla pretesa mancata prova da parte della banca del “ contenuto del documento che si asserisce fornito” cfr. memoria ex articolo 183/6 numero 2 c.p.comma di parte attrice . Al riguardo, va rilevato che parte attrice, che in citazione aveva negato di aver ricevuto il documento sui rischi in generale, nella citata memoria 183/6 numero 2 c.p.comma e non invece nella prima difesa utile, dopo la produzione del documento da parte della banca con la comparsa di risposta -, ha eccepito che non vi sarebbe stata prova del contenuto del documento in questione, ma è di tutta evidenza, a parte la tardività della doglianza, che sarebbe stato onere degli attori dimostrare che il documento ricevuto, come da firme non contestate per ricevuta, si riferisse a tutt’altro e che non avesse alcun riferimento alla materia degli investimenti in strumenti finanziari nulla risulta anche solo allegato, per cui la doglianza non merita positiva considerazione. Per quanto attiene alla questione del preteso conflitto di interessi della banca, va ribadito che la mancata esplicitazione della situazione di conflitto potenziale o reale non può essere ricondotta nell’ambito della nullità, ma deve essere configurata come ipotesi di inadempimento contrattuale, in termini di violazione dell’obbligo di condotta trasparente, alla luce della ricordata giurisprudenza di legittimità. Anche la questione del conflitto di interessi, in relazione all’obbligo di condotta trasparente, non consente di individuare alcuna censura nella condotta dell’intermediario, che possa risultare rilevante ai fini del richiesto risarcimento. Invero, ricordato che non sono di per sé vietate le operazioni in conflitto di interessi e che è necessario provare, in base a conferente allegazione, che da questa situazione è derivato un detrimento per la posizione contrattuale del cliente a tutto vantaggio della banca, si osserva che l’esistenza del conflitto era stata segnalata nel contratto di gestione del gennaio 2000, ove si era dato atto dell’esistenza di detti confitti con i gestori dei fondi, appartenenti al gruppo Carire. In conclusione non emergono profili di inadempimento contrattuale da parte della banca convenuta. Le superiori osservazioni in ordine alla mancanza di profili di inadempimento contrattuale in capo alla banca convenuta rendono non necessario procedere all’esame degli ulteriori profili esistenza del danno patrimoniale ed esistenza del nesso di causalità fra inadempimento e preteso danno lamentato. Sul punto, per mera completezza, va ricordato che, nulla avendo modificato l’articolo 23, 6° comma, TUF rispetto alle regole generali, è sempre il preteso danneggiato a dover allegare e provare l’esistenza di un danno e la riconducibilità del danno alla condotta inadempiente del preteso danneggiante. Il citato articolo 23, 6° comma, TUF “Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta” , se è vero che prevede un’inversione dell’onere della prova, limitatamente ai giudizi di risarcimento dei danni, ponendo a carico dell’intermediario l’onere di dimostrare di aver agito con la specifica diligenza richiesta, non modifica le regole generali sull’onere di allegazione e di prova di ogni altro elemento fattuale della fattispecie risarcitoria infatti, anche in questi casi, incombe pur sempre sul cliente, una volta allegato l’inadempimento dell’intermediario rispetto agli obblighi ex D.lgs 58/98 e Regolamento Consob, l’onere di dimostrare il nesso causale fra la pretesa condotta inadempiente di costui ed il danno patrimoniale sofferto Cass. 3773/09 . Pertanto, anche qualora nel caso di specie si volesse per mera ipotesi individuare un quale inadempimento della banca agli obblighi di informazione attiva e passiva articolo 21, lett. a e b, D.lgs 58/98 e articolo 28 e 29 Regolamento Consob 11522/98 e di condotta diligente, difetta la prova, in base a conferente allegazione, del possibile nesso fra detto preteso inadempimento ed il preteso danno patrimoniale. Al riguardo, si osserva, come discorso di carattere generale, che la violazione dei più volte richiamati obblighi di comportamento potrebbe assumere rilievo nella misura in cui, come inadempimento contrattuale, abbia prodotto un danno è evidente che qualsiasi inadempimento contrattuale può essere fonte di obbligo risarcitorio, se ed in quanto si prova di aver sofferto un danno e la riconducibilità dello stesso al fatto del debitore inadempiente cfr. Cass. 5960/05 . Si ribadisce poi cfr. Cass. SU 26972/08 che il danno non può ritenersi sussistente in re ipsa, così da coincidere con l’evento, che è infatti un elemento del fatto produttivo del danno, ma che, ai sensi degli articolo 1223 e 2056 c.comma tanto nella responsabilità contrattuale quanto in quella extracontrattuale , deve trattarsi pur sempre di un danno-conseguenza quindi, previa conferente allegazione, il danneggiato è tenuto a provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, di aver subito un’effettiva lesione di un bene della vita. Nel caso di specie non risulta provato in quale modo sia individuabile un danno di 89.669,36 euro, pari alla differenza matematica fra quanto investito e quanto poi ottenuto nel 2008 in sede di totale disinvestimento. Al riguardo, a prescindere da ogni altra considerazione giuridica e rimanendo solo in ambito puramente matematico, la convenuta ha allegato, richiamando i rendiconti della GPF numero 4666287 cfr. docomma 10 convenuta , che nel corso del rapporto gli attori avevano effettuato alcuni disinvestimenti per complessivi 62.724,10 euro 22.724,10 euro nel febbraio-marzo 2000 10.000,00 euro nel gennaio-marzo 2007 e 30.000,00 euro nel luglio-settembre 2007 che pertanto, a fronte di un conferimento complessivo di 309.874,00 euro corrispondenti a lire 600.000.000 e ad un disinvestimento di 62.724,10 euro nonché all’incasso di 219.330,64 euro all’atto del disinvestimento totale cfr. docomma 6 di parte attrice , l’eventuale perdita era, a livello matematico di soli 27.919,26 euro. Premesso che gli attori non hanno contestato in alcun modo il disinvestimento di complessivi 62.724,10 euro e che loro stessi hanno ammesso la riscossione di 219.330,64 euro in sede di disinvestimento totale, è evidente che, da un punto di vista meramente matematico, la perdita sarebbe effettivamente, al massimo, di soli 27.919,26 euro va peraltro ribadito che non vi è prova, in base a conferente allegazione, del nesso causale fra il contestato ma non emerso inadempimento contrattuale della banca e la perdita patrimoniale asseritamente subita e pretesamente da risarcire. Alcun tipo di ausilio potrebbe trarsi dal giudizio equitativo infatti l’equità soccorre quando è difficile o impossibile l’esatta monetizzazione del danno, ma presuppone pur sempre la prova, in base a conferente allegazione, degli elementi costitutivi del danno stesso, oltre che dell’altrui responsabilità cfr. Cass. 10607/10 Cass. 13288/07 Cass. 16992/05 Cass. 13761/04 Cass.16202/02 Cass. 682/01 . Alla luce delle risultanze di causa, la domanda attrice va rigettata. Risulta assorbita ogni altra questione, anche relativa alle contrastanti eccezioni di difetto di legittimazione passiva sollevate dalla banca convenuta e dalla società chiamata dagli attori. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, vanno poste in solido a carico degli attori per la soccombenza. Si dà atto che, in difetto di norma transitoria, per la liquidazione delle spese deve essere applicato il Decreto Ministero Giustizia 20/7/12 numero 140, entrato in vigore 23/8/12, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24/1/12 numero 1, convertito con modificazioni dalla legge 24/3/12 numero 27 infatti, a norma dell’articolo 41 del citato decreto ministeriale, le disposizioni ivi contenute devono essere applicate quando la liquidazione venga operata dal giudice in epoca successiva all’entrata in vigore del medesimo decreto. Nel caso che qui ci occupa, l’attività dei professionisti, pur se iniziata prima, si è esaurita dopo l’entrata in vigore del predetto decreto ed oltre il periodo di ultrattività del vecchio sistema tabellare l’udienza di p.comma si è tenuta il 23/9/13 e i termini ex articolo 281 quinquies e 190 c.p.comma sono scaduti il 12/12/13 e pertanto, come si desume da Cass. SU 17405/12, deve essere applicato integralmente il nuovo regime. Si è proceduto alla somma degli importi ridotti al 50% indicati nel quarto scaglione, tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dai difensori, senza fase istruttoria 2.750,00 euro . P.Q.M. rigetta la domanda attrice nei confronti della convenuta Unicredit Spa e della chiamata Pioneer Investment Management SGRpA condanna in solido gli attori S. G. e L. A. al pagamento, in favore della banca convenuta e della terza chiamata, delle spese di lite che liquida, per ciascuna, in 2.750,00 euro per compensi professionali, oltre Cp ed Iva come per legge.