In tema di condominio negli edifici, l’applicabilità delle norme sulle distanze previste dal c.c. e dai regolamenti edilizi locali non è automatica ma discende da una valutazione complessiva dello stato dei luoghi, dalla quale, a sua volta, deriva la decisione sulla loro applicabilità.
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4741 depositata in cancelleria lo scorso 27 febbraio, è tornata ad occuparsi, sia pur a livello di obiter dictum, dell’applicabilità delle norme sulle distanze in materia di condominio negli edifici. Il risultato è stato quello che s’è accennato in principio ed è conforme ai precedenti in materia. Tutto nasce da una lite tra vicini sul mancato rispetto delle distanze. L’attore chiedeva la demolizione di un manufatto realizzato dal convenuto ed a suo dire edificato in spregio alla normativa codicistica nonché locale dettate in tema di distanze tra le costruzioni. Il convenuto si opponeva – per lui invece tutto era lecito – e la spuntava in primo grado. Il giudizio d’appello, proposto dall’originario attore, andava diversamente il manufatto realizzato non rispettava le distanze e doveva essere demolito nella parte contraria alle norme disciplinanti tale materia. Questi, in breve, gli esiti contrapposti che la causa ha avuto nei giudizi di merito e che l’hanno portata davanti ad i Giudici di Piazza Cavour. Il ricorso non può prendere in considerazione fatti nuovi rispetto all’oggetto dell’impugnazione. L’originario convenuto, nel giudizio di legittimità, ha lamentato, tra le altre cose, una violazione di legge in relazione all’applicabilità, nel suo caso, delle norme sulle distanze a suo dire una deliberazione assembleare e comunque le norme dettate in materia di condominio avrebbero dovuto portare all’inapplicabilità dell’articolo 873 c.c. che regolamenta le distanze tra fabbricati. La Cassazione ha considerato inammissibile la doglianza del ricorrente. Si badi, dicono gli Ermellini, non è che l’appunto del ricorrente fosse scorretto, semplicemente era da considerarsi non valutabile in quanto rappresentante una novità rispetto al contenuto della sentenza impugnata. Distanze e uso delle parti comuni. Nonostante ciò, la Seconda Sezione della Corte regolatrice ha ritenuto utile soffermarsi sull’applicabilità delle norme dettate in materia di distanze in ambito condominiale. L’articolo 1102 c.c. – riguardante la comunione in generale ma applicabile al condominio in virtù di quanto disposto dall’articolo 1139 c.c. – disciplina l’uso delle cose comuni consentendo a tutti i condomini l’uso più consono alle proprie esigenze, purché ciò non travalichi il pari diritto degli altri condomini, non sia lesivo del decoro dell’edificio e non rechi nocumento alla sicurezza e stabilità del condominio stesso. Come bilanciare questa norma, che entro certi limiti concede carta bianca ai condomini, con quelle sulle distanze es. articolo 873 e 907 c.c. ? Detta diversamente queste ultimi sono applicabili anche in materia condominiale? È di questo, sia pur incidentalmente, che si occupa la sentenza in esame. Si legge nella pronuncia – che sul punto ne riprende pedissequamente un’altra sempre della Cassazione, numero 6546/2010 – che “le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultima non sia in contrasto con le prime nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 c.c., deve ritenersi legittima l'opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale”. Chiaramente questa valutazione dev’essere fatta nei giudizi di merito ed è incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivata. Un esempio concreto in condominio è legittimo aprire porte e finestre sui muri comuni senza rispettare le norme sulle distanze previste generalmente per questo tipo di aperture cfr. in tal senso da ultimo Cass. 3 gennaio 2014 numero 53 .
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 novembre 2013 – 27 febbraio 2014, numero 4741 Presidente Oddo – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. Con atto di citazione notificato il 17.3.92 i coniugi D.A.P. e G.R. hanno convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Teramo, V.F. , deducendo che la stessa ha realizzato un manufatto illegittimo per violazione delle norme urbanistiche e sismiche, nonché delle distanze legali dal loro appartamento, con irregolare aperture di vedute e pregiudizi per la sicurezza del loro immobile ed hanno chiesto la eliminazione degli abusi edilizi ed il risarcimento dei danni. La convenuta, costituendosi, ha contestato il fondamento della domanda. Il Tribunale, disposta ed eseguita consulenza tecnica, con sentenza del 6.3.04 ha respinto la domanda. 2. L'appello proposto dai soccombenti veniva accolto dalla locale Corte territoriale. Rilevava la Corte che gli appellanti avevano denunciato a l'omesso rilievo di violazione delle distanze legali, sia per l'ubicazione del manufatto, che per l'apertura di vedute 2 il mancato accertamento dell'esistenza di danni per la contiguità del detto manufatto con le finestre del loro appartamento e per la diminuzione di valore del proprio immobile e che il consulente di primo grado aveva accertato che il manufatto era stato realizzato in difformità rispetto alla concessione edilizia, con violazione dell'articolo 5/9 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G., per violazione della distanza minima dei confini di m.5,00. Rilevava al riguardo che “la detta violazione si è concretizzata per il fatto che, contrariamente a quanto previsto nel progetto licenziato, il manufatto, anziché essere realizzato completamente interrato, è stato edificato parzialmente fuori terra con una altezza variante tra cm. 150 e cm. 75. E la struttura fuori terra, oltreché irregolare dal punto di vista urbanistico, viola l'articolo 873 C.C. e le norme edilizie ad esso collegata, perché eretta a distanza inferiore a m.5”. Rilevava ancora la Corte territoriale che “il detto accertamento,- non contestato, legittima la domanda di riduzione in pristino con eliminazione della parte del manufatto, edificato fuori terra” con conseguente accoglimento della domanda e “con conseguente superamento delle ulteriori doglianze, attinenti alla apertura di una finestra ed alla possibilità d'affaccio dal coperto della struttura, venendo queste automaticamente eliminate con il completo interramento del manufatto”. La Corte, infine, accoglieva “l'istanza risarcitoria, perché la costruzione abusiva, pur non avendo arrecato pregiudizi statici all'immobile degli attori appellanti, ne ha certamente per molti anni pregiudicato la godibilità e la valutazione economica. Infatti la erezione della struttura a poca distanza dai balconi dell'abitazione dei predetti ha certamente compromesso la sicurezza degli stessi, per la possibilità di facile accesso di terzi, la godibilità dell'immobile e la conseguente valutazione economica dello stesso”, liquidando il danno in via equitativa nella misura richiesta di Euro 2.500,00, non essendo “esattamente dimostrabile nel suo ammontare”. 3. Impugna tale decisione la ricorrente che formula quattro motivi. Resistono con controricorso gli intimati. La ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1.1 motivi del ricorso. 1.1 - Col primo motivo di ricorso si deduce “Error in iudicando violazione dell’articolo 360 numero 5 c.p.c. per omessa motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia”. Afferma la ricorrente che “La Corte ha totalmente ignorato la deliberazione condominiale con cui si consentiva la realizzazione da parte della V. di un manufatto localizzato su area condominiale ma in uso esclusivo della stessa e, per l'effetto, ha trascurato l'esame della rilevanza giuridica del provvedimento autorizzativo”. L'articolo 6, 2^ comma del regolamento di condominio doc. numero 5 dei documenti allegati al fascicolo di 1^ grado così dispone I condomini, che sono proprietari di aree scoperte o che hanno in uso esclusivo le aree scoperte, dovranno destinare a giardino le predette aree e non potranno trasformarle, in modo assoluto, in orto e non potranno costruirvi manufatti di qualsiasi genere . L'unanimità dei consensi espressi rende “l'opera autorizzata del tutto legittima a mente del combinato disposto degli articolo 1120 e 1136 c.c.”. La Corte di appello, “non tenendo in considerazione alcuna la deliberazione condominiale su cui aveva fatto leva sia la V. che il Giudice di primo grado, non ha considerato che l'opera realizzata dalla stessa V. , in quanto autorizzata dall'assemblea con voto unanime di tutti i condomini, era da ritenersi legittima”. 1.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce “Error in iudicando violazione e falsa applicazione dell'articolo 873 c.c. e dell'articolo 5.9 delle N.T.A. del PRG del Comune di Teramo violazione dell'articolo 360 numero 3 c.c.”. La Corte di Appello erronemente ha ritenuto che “il manufatto, oltre a risultare difforme dalla concessione edilizia, si pone in contrasto con la disposizione regolamentare, integrativa del regime codicistico, prevedente la distanza minima dai confini di m 5,00”. Si tratta di violazione amministrativa che nessun rilievo ha nel rapporto tra privati. Inoltre, osserva la ricorrente che “l'irregolarità dal punto di vista urbanistico non sussiste dal momento che la V. si è avvalsa de Ha facoltà concessa dall'articolo 12 L. 47/85 provvedendo al pagamento della prescritta sanzione pecuniaria come risulta dalla documentazione prodotta doc. numero 9 del fascicolo di 1^ grado . V. , la costruzione è stata ritenuta compatibile con la normativa sismica giusta certificato rilasciato in tal senso dal servilo del Genio Civile di Teramo”. E, inoltre, secondo la ricorrente, non configurabile “la prospettata violazione dettati. 873 e. e. ove si consideri che il regime normativo tracciato dal codice non prevede distante dai confini”. L'autorizzazione accordata dai condomini tutti “risulta espressa nei seguenti termini l'assemblea, all'unanimità, autorizza in deroga a quanto stabilito dall'articolo 6 del regolamento di condominio la Sig.ra V.F. a realizzare il vano sull'area che la stessa ha in uso esclusivo. Detto vano, adiacente l'attuale cucina avrà una superficie coperta di circa mq. 15 e dovrà essere realizzata a perfetta regola d'arte in maniera tale da non creare danni alle strutture condominiali”. I limiti posti all'attività edilizia della V. erano “circoscritti, da un lato, alla corretta esecuzione dell'opera e, dall'altro, al mancato pregiudizio all'edificio condominiale”. Stante l'intervenuto provvedimento di sanatoria, la costruzione autorizzata non era vincolata al rispetto di altri parametri e, in particolare, all'osservanza della distanza dal confine stradale. “Il condominio D.A. non poteva, infatti, censurare l'opera realizzata dalla V. per violazione della distanza minima dai confini di m. 5,00 dal momento che egli stesso aveva consentito la costruzione del manufatto a distanza inferiore a quella prescritta dalla normativa regolamentare integrativa del Codice Civile”. Viene formulato il seguente quesito “Dica il Supremo Collegio se la distanza prescritta per la costruzione dal confine dalla norma regolamentare NTA del PRG possa essere fatta valere anche a seguito di una autorizzazione accordata dal condominio alla realizzarne di un manufatto a distanza non regolamentare”. 1.3 — Col terzo motivo di ricorso si deduce “Error in iudicando violazione e falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c. violazione dell'articolo 360 numero 3 c.c. violazione ed erronea applicazione dell'articolo 1226 cod. civ.”. La Corte di Appello ha errato nell'accogliere l'istanza risarcitoria avanzata dai coniugi D.A. sulla considerazione che l'intervento edilizio realizzato dalla V. abbia procurato agli stessi un danno patrimoniale che, non essendo dimostrabile nel suo ammontare, poteva essere liquidato in via equitativa. Rileva la ricorrente che “L’esercizio del potere di liquidazione del danno in via equitativa trova causa giustificativa nell'impossibilità per la parte di fornire la prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare. È indispensabile, tuttavia, che la parte fornisca dimostrazione dell'esistenza ontologica del danno ancorché non sia in grado di determinarne il quantum”. Nella specie non era stata fornita alcuna prova al riguardo. Viene formulato il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di Cassazione se in difetto di prova sul danno ritratto dalla realizzazione di una costruzione abusiva sia esercitabile la valutazione equitativa dello stesso ai sensi dell'articolo 2226 c.c.”. 1.4 — Col quarto motivo di ricorso si deduce “Error in iudicando in judicando violazione dell'articolo 360 numero 5 c.p.c annullabilità della sentenza per motivazione contraddittoria violazione e falsa applicazione dell'articolo 1226 c.c.”. La Corte di Appello si è determinata all'applicazione dell'istituto di cui all'articolo 1226 c.c. ritenendo che il danno fosse certo nella sua esistenza ontologica ma non dimostrabile nel suo ammontare. Al riguardo, osserva la ricorrente che il danno “nella ricostruzione logica della Corte scaturisce da tre distinti fattori ed esattamente dalla perdita di sicurezza dei signori D.A. per la possibilità di facile accesso di terzi all'immobile, per la diminuzione di godibilità di quest'ultimo e per la perdita di valore economico dello stesso”. Tali affermazioni, secondo la ricorrente, sono state smentire dal CTU che “ha accertato che la copertura del locale risulta essere impraticabile non avendo accesso né dall'appartamento della V. né dalla strada adiacente di guisa che le condizioni di sicurezza sono rimaste immutate con la costruzione del locale”. Quanto poi “alla godibilità dell'immobile non è rinvenibile nel caso concreto una diminuzione di aria o di luce o comunque una diminuita godibilità del bene” altezza della costruzione “di appena settantacinque centimetri nel lato più vicino ai signori D.A. sicché non ne risulta pregiudicato in alcun modo né il godimento del loro bene né la visuale libera”. In relazione, infine, alla perdita di valore dell'immobile, era necessario fornire la prova della “concretezza del danno e dunque dimostrare la flessione patrimoniale subita dall'immobile per effetto della condotta della V. ”. Viene formulato il seguente quesito “Dica la Corte Suprema di Cassazione se la costruzione realizzata dalla V. , tenuto conto delle sue caratteristiche quali indicate dal C.T.U., possa giustificare, in difetto di prova da parte dei Sigg. D.A. , la liquidazione equitativa del danno”. 2. Il ricorso è infondato e va rigettato. 2.1 — Il primo motivo appare inammissibile. Si denuncia l'omessa motivazione ex articolo articolo 360, 1^ comma, numero 5 cod. proc. civ. sul punto decisivo della deliberazione autorizzativa condominiale che consentiva la realizzazione del manufatto localizzato su area condominiale. Si tratta di questione nuova, che non appare trattata dalla sentenza impugnata. Di qui l'inammissibilità. In tale situazione, la ricorrente avrebbe dovuto previamente censurare, ex articoli 112 e 360 numero 4 c.p.c., l'omessa pronuncia su uno specifico preteso motivo di impugnazione ed, a tal fine, per l'autosufficienza del ricorso, avrebbe anche dovuto riprodurre nell'atto la pertinente ragione svolta con l'impugnazione. 2.2 Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Si denuncia la violazione dell'articolo 873 cod. civ. e 5.9 delle numero ta. del P.R.G Si assume la legittimità dell'opera perché 1 autorizzata dal condominio e dallo stesso condomino D.A. 2 condonata 3 rispettosa della normativa sismica 4 l'articolo 873 cod. civ. non disciplina le distanze dal confine ma quelle tra fabbricati. Il motivo propone correttamente la questione relativa al rispetto delle distanze all'interno di un condominio, in relazione al condiviso principio di diritto, affermato da questa Corte anche di recente con la sentenza numero 6546 del 18/03/2010, secondo la quale “Le norme sulle distante sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultima non sia in contrasto con le prime nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulle distante che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 cod. civ., deve ritenersi legittima l'opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale”. Peraltro il motivo, così come proposto, non supera il rilievo dell'apparente novità delle questioni sia quanto all'esistenza di una delibera autorizzativa di cui il motivo precedente e sia quanto all'esplicito consenso dato dagli originali attori alla realizzazione dell'opera. Occorre osservare ulteriormente che, in base alla concessione, la costruzione avrebbe dovuto essere realizzata completamente interrata e vi è da supporre che la delibera condominiale fosse in tal senso. Il motivo, quindi, è carente di specificità quanto al contenuto della delibera richiamata, risultando poi manifestamente infondata la questione relativa all'interpretazione dell'articolo 873 c.c 2.3 Il terzo e il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente e sono infondati. Si deduce violazione degli articolo 1126 e 2043 cod. civ. sulla esistenza e prova del danno, nonché vizio di motivazione sulla determinazione dell'entità del danno. Occorre osservare che nel caso di violazione delle norme sulle distanze il danno è in re ipsa e la sua liquidazione equitativa è giustificata dall'impossibilità della sua precisa determinazione. Quanto alla determinazione della sua entità, la liquidazione non appare illogica, in relazione alle circostanze poste a suo fondamento, tenuto conto degli anni decorsi dalla realizzazione del manufatto anteriormente al 1992 e dell'anno della sentenza di appello che ha riconosciuto il diritto 2007 . 3. Le spese seguono la soccombenza. P.T.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 3.500,00 tremilacinquecento Euro per compensi e 200,00 duecento Euro per spese, oltre accessori di legge.