Accusato, arrestato e additato come violentatore, e poi assolto: ripagare anche i problemi di salute della moglie

Non è sufficiente il quantum liquidato come ‘equo indennizzo’, fissato originariamente a 151mila euro e poi ampliato di altri 15mila euro. Necessario tenere conto anche delle patologie lamentate dall’uomo e dalla moglie, e della perdita del lavoro di bracciante agricolo, a seguito degli oltre due anni trascorsi tra carcere e ‘domiciliari’.

Onta difficile da lavare, moralmente e psicologicamente, perché infamante è l’accusa di aver abusato sessualmente di una donna, e perché l’assoluzione, arrivata a chiusura del procedimento penale, non può, comunque, cancellare gli anni vissuti come ‘violentatore’ – nei pensieri delle persone comuni – e caratterizzati dal carcere prima e dagli arresti domiciliari poi. Assolutamente legittimo, quindi, il riconoscimento dell’equo indennizzo a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che, però, dovrà allargare maggiormente i ‘cordoni della borsa’, ‘pesando’ non solo i periodi di ingiusta detenzione” ma anche le ripercussioni fisiche, psichiche, lavorative e d’immagine subite dall’uomo e da sua moglie Cass., sent. n. 6999/2014, Sezione Terza Penale, depositata oggi . Violentatore, anzi no Richiesta ‘ monstre ’, quella presentata da un uomo e fondata sulla ingiusta detenzione – oltre un anno di carcere e oltre un anno agli arresti domiciliari – subita a causa dell’accusa, rivelatasi infondata, di violenza sessuale obiettivo dichiarato è ottenere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze la somma di 500mila euro ! Ma quella soglia non viene neanche sfiorata all’uomo viene liquidata la somma complessiva di 151mila euro , poi ampliata – su input della Cassazione, intervenuta sulla vicenda già una prima volta – di altri 15mila euro . Tale somma aggiuntiva, secondo i giudici di merito, ripaga l’uomo per il danno di immagine provocato dalla ingiusta detenzione . Mentre, invece, viene esclusa la possibilità di provvedere, pecuniariamente, per le conseguenze , lamentate dall’uomo, di natura familiare, personale ed economica provocate dalla ingiusta detenzione , e concretizzatesi nelle gravi ripercussioni sul piano della salute – anche della moglie –, nella perdita del lavoro e nella larga eco di stampa che aveva avuto il suo arresto . Salute, famiglia e lavoro. Rabbiosa, come logico che sia, la reazione dell’uomo, il quale sceglie di affrontare ancora una volta i giudici della Cassazione, ribadendo la propria pretesa alla liquidazione di somme aggiuntive – rispetto ai 151mila euro fissati in prima battuta – per le ‘ferite’ provocate, a livello familiare, personale ed economico , dal lungo periodo trascorso come detenuto, prima in carcere e poi a casa. Ebbene, per i giudici del ‘Palazzaccio’, vi sono tutti i presupposti per ritenere legittima la domanda dell’uomo, e per ‘sanzionare’ la scelta dei giudici di merito di non concedere somme aggiuntive perché non provato, in modo certo, il nesso di causalità tra i lamentati danni e la carcerazione subita . Evidente l’errore di fondo compiuto dalla Corte territoriale non vi è necessità , chiariscono i giudici della Cassazione, della prova certa del rapporto di causalità tra i danni di salute , lamentati dall’uomo, e la carcerazione . È più che sufficiente, viene spiegato, in relazione alla patologia lamentata, di natura neurologica e psichica , che tali problemi siano dimostrati, e collocati successivamente alla carcerazione , e che vi sia una qualificata probabilità della connessione con gli effetti negativi , per l’uomo e per la moglie, derivati dalla ingiusta carcerazione . E, aggiungono in chiusura i giudici, tale ottica, cioè quella della qualificata probabilità , va applicata anche per verificare la connessione tra la cessazione del rapporto di lavoro di bracciante agricolo dell’uomo e la carcerazione, subita per oltre ventisette mesi Ciò conduce a ritenere plausibili le richieste dell’uomo su questo punto, perciò, dovranno nuovamente pronunciarsi i giudici di merito, ridefinendo e ampliando il quantum dell’ indennizzo .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 gennaio – 13 febbraio 2014, n. 6999 Presidente Fiale – Relatore Gentile Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Messina, con ordinanza emessa il 18/05/2011 - provvedendo a seguito di sentenza di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione, in data 09/07/2010, sulla richiesta di equo indennizzo, ex artt. 314, 315 cod. proc. pen., presentata da N.A. per l'ingiusta detenzione subita in carcere dal 05/11/2003 al 17/12/2004 e nella forma degli arresti domiciliari sino al 22/03/2006 - condannava, ad integrazione della precedente ordinanza del 07/10/2009, il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento dell'ulteriore somma di € 15.000,00 confermava nel resto. 2. N.A. proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen. 2.1. In particolare il ricorrente esponeva che la Corte di Appello di Messina - in violazione del principio di diritto enunciato nella sentenza di rinvio della Corte di Cassazione del 9/07/2010 - non aveva liquidato gli ulteriori danni patrimoniali e non, conseguenti alla ingiusta carcerazione subita ed attinenti alle malattie del ricorrente e della moglie connesse alla carcerazione alla cessazione del rapporto di lavoro di bracciante agricolo svolto da N.A. cessazione determinata sempre dalla ingiusta carcerazione subita. Tanto dedotto il ricorrente chiedeva l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di cui in motivazione. 1.1. N.A., con istanza depositata il 06/04/2007, chiedeva, ai sensi degli artt. 314, 315 cod. proc. pen., la liquidazione della somma di € 500.000,00 a titolo di equo indennizzo per la riparazione per l'ingiusta detenzione - subita in carcere dal 05/11/2003 al 17/12/2004 e nella forma degli arresti domiciliari fino al 23/03/2006 - il tutto nell'abito del procedimento penale nel quale lo stesso era stato raggiunto da custodia in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Barcellona P.G. in ordine al reato di cui all'art. 609 bis cod. pen. N.A., successivamente, veniva assolto da detto reato con sentenza dei Tribunale di Barcellona P.G. del 22/03/2006, irrevocabile il 26/09/2006. 1.2. La Corte di Appello di Messina con ordinanza del 07/10/2009, liquidava a N.A. la somma complessiva di € 151.000,00. 1.3. La Corte di Cassazione - a seguito di ricorso di N.A. - con sentenza in data 09/07/2010 annullava l'ordinanza del 07/10/2009, in relazione al punto attinente alla mancata liquidazione delle somme aggiuntive per le ulteriori conseguenze di natura familiare, personale ed economica che il ricorrente imputava alla ingiusta detenzione subita. Dette conseguenze erano state individuate dal ricorrente nelle gravi ripercussioni sul piano della salute, anche della moglie, nella perdita di lavoro, nella larga eco di stampa che aveva avuto il suo arresto. 1.4. La Corte di Appello di Messina, con successiva ordinanza emessa il 18/05/2011, liquidava la ulteriore somma di € 15.000,00 per danno di immagine subita dall'A. per la ingiusta detenzione respingeva la richiesta di liquidazione di altre somme quanto ai danni di salute propria e della moglie, nonché ai danni determinati dalla cessazione del rapporto di lavoro. 1.5. N.A. proponeva l'attuale ricorso per Cassazione avverso la predetta ordinanza del 18/05/2011. 2. Tanto premesso sui termini essenziali della vicenda in esame, si rileva che la Corte Territoriale non ha concesso le somme aggiuntive per gli ulteriori danni sull'assunto che non era stato provato in modo certo il nesso di causalità tra i lamentati danni e la carcerazione subita. Trattasi di statuizione illegittima. 2.1. Invero - tenuto conto della natura indennitaria e non risarcitoria dei danni conseguenti alla ingiusta detenzione - non necessita, ai fini della relativa liquidazione, la prova certa del rapporto di causalità tra di danni di salute lamentati dal ricorrente per sé e la propria moglie e la carcerazione subita. È sufficiente - in relazione alla patologia lamentata di natura neurologica e psichica - l'allegazione della sussistenza delle stesse in seguito alla carcerazione subita e della qualificata probabilità della connessione delle stesse con gli effetti negativi derivanti in capo a N.A. ed alla moglie dalla ingiusta carcerazione subita dall'A. 2.2. Parimenti la cessazione del rapporto di lavoro di bracciante agricolo va valutato con il predetto parametro della qualificata probabilità in relazione alla carcerazione subita per oltre 27 mesi. Trattasi, pertanto, di motivazione apparente quella argomentata dalla Corte Territoriale perché non idonea ad individuare l'iter logico/giuridico seguito dal Tribunale per pervenire alla decisione impugnata in ordine ai predetti punti. 3. Va annullata, quindi, l'ordinanza della Corte di Appello di Messina, in data 18/05/2011, limitatamente alla statuizione attinente alla mancata liquidazione di somme ulteriori nei termini sopra descritti. P.Q.M. La Corte annulla l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Messina, alla quale rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.