Cassa integrazione per gli operai, parole grosse tra i sindacalisti: «mascalzone» però è solo critica

Scenario della sfida verbale è un’assemblea in azienda. Lì, un sindacalista apostrofa in malo modo l’esponente di un’altra sigla, chiamandolo mascalzone e addebitando a lui la scelta dell’imprenditore di ricorrere alla cassa integrazione. All’interno di quel contesto, e considerato lo scambio di comunicati velenosi, non si può parlare di reputazione ‘ferita’.

Comunicati ‘velenosi’ tra i componenti della rappresentanza sindacale in azienda. A rendere il clima tesissimo è la decisione dell’imprenditore di ricorrere alla cassa integrazione. Così, l’assemblea dei lavoratori è la perfetta valvola di sfogo per tutto lo stress accumulato lì, difatti, un sindacalista viene apostrofato in malo modo, e definito, più volte, mascalzone . Non certo un complimento, è evidente eppure, non si può parlare di diffamazione. Così il sindacalista, munito di ‘lingua puntuta’, schiva completamente ogni contestazione. Cassazione, sent. n. 46424/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi Crisi. Come detto, i rapporti tra le diverse rappresentanze sindacali sono resi complicati anche, anzi soprattutto, dalla decisione del titolare della ditta di fare ricorso alla cassa integrazione, senza anticipare la parte economica . E proprio quest’ultimo passaggio viene addebitato letteralmente a un sindacalista, preso a male parole durante un’assemblea dei lavoratori e definito mascalzone . Anche questo episodio è testimonianza delle profonde tensioni che attraversano l’azienda, ripercuotendosi sui lavoratori prima e sui sindacalisti poi. Non a caso, peraltro, i due ‘protagonisti’ dello scontro, entrambi rappresentanti di sigle sindacali, si sono già scambiati alcuni durissimi comunicati. E proprio questo elemento viene valutato – sia dal Giudice di pace che dai giudici del Tribunale – come fondamentale in sostanza, l’epiteto mascalzone è figlio della tensione, e frutto di una provocazione, messa ‘nero su bianco’ con un comunicato. Parole possibili Nonostante le rimostranze del sindacalista apostrofato come mascalzone , viene confermata anche in terzo grado la tesi dello stato d’ira , cioè della reazione a una provocazione . E ciò vale, chiariscono i giudici della Cassazione, anche se la reazione non si concretizza nello stesso momento in cui è ricevuta l’offesa è irrilevante lo scorrere del tempo, soprattutto quando, come in questo caso, il ritardo nella reazione è dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze degli strumenti adoperati . Peraltro, approfondendo un ulteriore aspetto della vicenda, emerge, sempre secondo i giudici della Cassazione, che l’ aggressione verbale ai danni del sindacalista è valutabile come critica a una condotta sindacale – ossia l’aver favorito la scelta dell’imprenditore di ricorrere alla cassa integrazione –, critica che si riverbera sul sindacalista , per forza di cose. Di conseguenza, anche il contesto dell’episodio non può essere trascurato, perché per la critica sindacale è consentito un linguaggio più libero e incisivo, con espressioni forti e pungenti , come, appunto, l’epiteto mascalzone . Quadro chiarissimo, quindi, per i giudici della Cassazione, che ribadiscono il prevalere dei contenuti polemici e del diritto di critica , sancendo l’assoluzione definitiva per il sindacalista che ha apostrofato in malo modo un altro rappresentante sindacale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 settembre – 21 novembre 2013, n. 46424 Presidente Palla – Relatore Fumo Ritenuto di fatto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il tribunale dl Bergamo, In funzione di giudice di appello, ha confermato la sentenzi dei GdP di Treviglio con la quale C.C. fu assolta dai delitto di cui all'art. 595 cp commi I e II per avere, comunicando con più persone, offeso la reputazione di W.A., rappresentante sindacale Fiom-Cgil presso le fonderie officine P. Pileriga, in quanto, nel corso di un'assemblea sindacale lo definiva più volte mascalzone e dichiarava che, per sua colpa e della Fiom il titolare della ditta avrebbe fatto ricorso alla cassa integrazione, senza anticipare la parte economica . L'assoluzione, quanto alla prima parte della frase, è intervenuta per il concorso nella esimente ex art, 599 cp, per !a seconda, perché il ratto non costituisce reato. 2. Ricorre per cassazione il difensore della P e deduce a violazione di legge. A l comunicato di A., il C. aveva già reagito con altro comunicato, in cui figuravano frasi scurrili e offensive. L'epiteto 'mascalzone', quindi, pronunziato in assemblea convocata ad hoc costituisce allora ulteriore manifestazione di sentimenti ostili, che non ha legame alcuno con la presunta provocazione. Peraltro, oltre al nesso eziologico, manca anche il requisito della immediatezza, come elaborato dalla giurisprudenza b quanto al diritto di critica la cui sussistenza è stata ritenuta con riferimento alla seconda parte della frase , sii era fatto rilevare che manca dei tutto il requisito della continenza. Sul punto il tribunale non motiva affatto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e merita rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese dei grado. 2. Quanto alla sussistenza dello stato di ira come conseguenza di fatto ingiusto altrui, trattisi, ad evidenza, di valutazione di merito che, se adeguatamente giustificata, è inaggredibile in sede di legittimità. 2.1. Quanto alla sussistenza della ritenuta esimente ax art. 599 cp , la reazione non deve necessariamente essere attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l'offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatoria, a nulla rilevando chi sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa ASN 200732323-PV 236832 . 3. Per quel che riguarda la seconda censura, è certamente vero che manca, sul rilievo della assenza di continenza, specifica motivazione da parte del giudice di secondo grado, tuttavia la risposta deve ritenersi implicita sulla base della trama motivazionale dell'intera sentenza del tribunale. La censura de qua, infatti, era manifestamente infondata e immeritevole di considerazione. Nell’esercizio del diritto di critica, il requisito della continenza è superare solo in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale dei soggetto criticato. Peraltro, il contesto nel quale !a condotta sl colloca deve essere valutato, sia pure al limitati ai fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento dei soggetti passivo oggetto di critica ASN 20115060-RV 250174 . 3.1. Nel caso di specie, il C. ha espresso una critica a una condotta sindacale, che inevitabilmente si riverbera sul sindacalista, il quale dunque viene investito dalla critica non uti singulus, ma per la carica. D'altronde costituisce jus receptum il principio in base al quale, in tema di critica sindacale come in tema di critica politica , è consentito un linguaggio più libero e incisivo, con espressioni forti e pungenti. Tanto ciò è vera che questa Sezione ebbe a ritenere – appunto di polemica sindacale - che le espressioni intimidatorio” e appunto mascalzonata” riferite ad un preteso comportamento discriminatorio nei confronti di un lavoratore, perdessero, una volto contestualizzate e filtrate attraverso i moduli espressivi del linguaggio conflittuale , l'impatto diffamatorio oggettivo, rimanendo invece, sotto il profilo dei contenuti polemici cui davano espressione, all'interno del confini del diritto di critica ASN 2000007499-RV 216534 . Si tratta, come è agevole rilevare, dì precedente in termini . P.Q.M. rigetta il ricorso e condarin.ì il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.