L'errata indicazione catastale non implica automatica risoluzione del contratto preliminare

L'irricevibilità delle reciproche richieste di risoluzione non implica automaticamente la risoluzione consensuale. La sentenza incorre in violazione di ultrapetizione allorquando pronunci la risoluzione consensuale del contratto che non aveva formato oggetto della domanda proposta dall'attore, il quale aveva chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento del convenuto, con la condanna dello stesso al pagamento del doppio della caparra.

Questo è quanto emerso dalla sentenza numero 23702 della Corte di Cassazione, depositata il 6 novembre 2014. Il caso. Promittente venditore e promittente acquirente stipulavano contratto preliminare di vendita immobiliare, finalizzato alla compravendita di un complesso immobiliare, con versamento in favore del primo di somme a titolo di caparra. Il contratto definitivo non veniva stipulato. Il promissario acquirente conveniva in giudizio il promissario venditore, affinché, fosse accertata e dichiarata la risoluzione del contratto per colpa del venditore con conseguente condanna alla restituzione delle somme nonché al risarcimento dei danni. L'attore chiariva che l'inadempimento doveva scaturire dall’irregolarità catastale dei cespiti. Il convenuto respingeva la domanda, rilevava l'inadempimento del promissario acquirente per non aver provveduto alla stipula del definitivo, quindi, chiedeva accertarsi il diritto a trattenere le somme incassate a titolo di risarcimento per l'inadempimento subito. Il tribunale respingeva la domanda attorea e chiariva che le difformità catastali da sole non giustificavano la risoluzione del contratto per inadempimento, che il termine previsto per la stipula del definitivo non era essenziale e che la stipula del definitivo non era avvenuta in ragione delle dichiarate difficoltà finanziarie del promissario acquirente. La Corte d'appello, entrando nel merito della vicenda, aveva osservato che nel momento in cui l'acquirente aveva dichiarato la sua indisponibilità finanziaria, l'immobile - giuridicamente e catastalmente - non poteva essere venduto. Inoltre, rilevava che il termine per la stipula del definitivo non era essenziale e che di fatto nessuna delle due parti poteva effettivamente considerarsi inadempiente. In ogni caso, osservava la Corte, dalle difese processuali emergeva la volontà delle parti di non stipulare il definitivo, quindi dichiarava risolto il contratto e condannava il promissario venditore alla restituzione delle somme originariamente incassate a titolo di caparra. Le parti hanno proposto ricorso per cassazione. Il reciproco inadempimento. La Corte d'appello, riportandosi ai fatti provati processualmente, ha chiarito che, contestualmente, il promittente venditore non poteva dichiararsi adempiente perché la condizione catastale del cespite doveva essere corretta ed aggiornata prima della vendita, che il promissario acquirente non possedeva le risorse finanziarie per concludere l'affare quindi, l'inadempimento risultava essere reciproco e non poteva essere imputato in modo esclusivo a nessuna delle parti. La S.C., sul punto, ha ritenuto la motivazione priva di vizi logico giuridici e dunque correttamente formata. Reciproco inadempimento e risoluzione consensuale. Rilevato il reciproco inadempimento e la condotta processuale, la Corte d'appello ne aveva desunto la risoluzione consensuale del contratto. Tale interpretazione non è condivisa dalla Corte di legittimità che eccepisce il vizio di ultrapetizione atteso che, quali che fossero le opposte posizioni processuali, non era stata espressa alcuna volontà di risolvere consensualmente il contratto. I giudici di legittimità hanno definitivamente chiarito che la corte territoriale avrebbe dovuto limitarsi a rilevare l'infondatezza delle avverse pretese e respingere le domande di risoluzione del contratto Cass. numero 4413/2014 . La Cassazione ha quindi rinviato la decisone ad altro giudice territoriale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 ottobre – 6 novembre 2014, numero 23702 Presidente Triola – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 30-10-2003 A.M. conveniva in giudizio C.P. , assumendo che con due contratti stipulati il 23-3-2002 quest'ultimo gli aveva promesso in vendita rispettivamente il complesso immobiliare sito in Carmagnola, via del Porto 71, e il complesso immobiliare sito in omissis , con versamento in entrambi i casi di una caparra confirmatoria di Euro 55.000,00. L'attore deduceva che non era stato possibile addivenire alla stipula dei contratti definitivi, rispettivamente prevista per il 30-9-2002 e il 30-11-2002, in quanto gli immobili in Carmagnola erano risultati catastalmente irregolari, ed uno degli appartamenti in Torino non risultava accatastato. Egli, pertanto, chiedeva pronunciarsi la risoluzione di entrambi i contratti preliminari per fatto e colpa del convenuto, il quale non aveva provveduto alla regolarizzazione degli immobili, con condanna del medesimo al pagamento del doppio della caparra ricevuta. Nel costituirsi, il convenuto contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che era stato l'A. a rendersi inadempiente e che, pertanto, egli era legittimato ad esercitare il recesso ed a trattenere la caparra. Con sentenza in data 4-4-2006 il Tribunale di Torino rigettava la domanda attrice. Il giudice osservava, quanto al contratto relativo all'immobile in Carmagnola, che il termine pattuito al 30-9-2002 per la stipula del definitivo non era essenziale, viste le trattative successivamente intercorse tra le parti, e che il recesso del C. doveva essere posto in relazione all'inadempimento dell'A. , per la sua dichiarata mancata disponibilità finanziaria. Rilevava, inoltre, che, pur essendo state accertate delle irregolarità catastali, queste non potevano integrare a carico del promittente venditore un'inadempienza tale da giustificare la risoluzione del rapporto, perché il contratto prevedeva la possibilità di variazioni dell'identificazione catastale al momento del rogito, e perché fin dall'estate era stato affidato ad un professionista l'incarico di occuparsi della regolarizzazione degli immobili. Riguardo agli immobili in , il Tribunale accertava che il contratto definitivo non era stato stipulato a causa della mancanza di disponibilità finanziaria in capo all'A. , e rilevava che era rimasta priva di riscontri l'affermazione dell'attore circa l'esistenza di irregolarità catastali. L'attore proponeva appello avverso la predetta decisione. Con sentenza in data 5-9-2008 la Corte di Appello di Torino, in parziale accoglimento dell'appello e in parziale riforma della sentenza impugnata, accertata l'intervenuta risoluzione del contratto relativo all'immobile sito in omissis , condannava il C. alla restituzione della somma di Euro 55.000,00 versata a titolo di caparra, con gli interessi legali dalla domanda al saldo. La Corte territoriale, in particolare, pur dando atto che agli inizi di dicembre 2000 l'A. aveva ammesso di non aver reperito le disponibilità finanziarie necessarie, rilevava che a quell'epoca l'operazione non avrebbe potuto essere perfezionata, perché la regolarizzazione catastale necessaria per il rilascio della procura era ancora in corso, al pari della pratica per il frazionamento dell'area che, in contrasto con quanto promesso dal C. , non avrebbe potuto essere integralmente venduta, perché in parte vincolata a favore del Comune. Secondo il giudice del gravame, pertanto, il C. non poteva ritenersi perfettamente adempiente al momento in cui aveva assunto un atteggiamento di definitiva chiusura nei confronti della controparte. Di conseguenza, la Corte distrettuale riteneva infondate sia la domanda di risoluzione avanzata dall'attore, sia la pretesa dell'appellato di trattenere la caparra versata. Essa, tuttavia, preso atto dell'attuale volontà delle parti di ritenere sciolto il vincolo contrattuale, condannava il convenuto alla restituzione della caparra. Il giudice di appello, al contrario, riteneva infondato il motivo di impugnazione relativo agli immobili in . Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.P. , sulla base di tre motivi. A.M. non ha svolto attività difensive. In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'omessa o insufficiente motivazione in ordine all'affermata mancata conoscenza, da parte del promissario acquirente, di un vincolo, relativo all'immobile promesso in vendita, regolarmente trascritto. Deduce che la Corte di Appello non ha considerato che l'atto d'obbligo nei confronti del Comune, essendo stato trascritto nei pubblici registri immobiliari, era ben conoscibile dall'A. che quest'ultimo aveva ricevuto dal C. esplicito incarico di verificare lo stato catastale del bene e di provvedere alla sua regolarizzazione che lo stesso attore ha espressamente ammesso di essere venuto a conoscenza del vincolo, sia pure solo nel luglio del 2002. Il motivo è inammissibile, vertendo su circostanze irrilevanti ai fini della decisione. La Corte di Appello ha dato atto dell'esistenza di un vincolo gravante sull'immobile promesso in vendita e non portato a conoscenza dell'A. prima della stipulazione della scrittura privata in atti si trattava, più precisamente, di un obbligo di dismissione gratuita di una parte dell'area, da destinare a parcheggio pubblico, a favore del Comune di omissis obbligo che, come è stato evidenziato nella sentenza impugnata, comportava la necessità di procedere al frazionamento del terreno per dividere l'area del cortile da quella da dismettere. Sulla base di tale premessa e in considerazione del fatto che nel dicembre del 2002 allorché l'A. ammise di trovarsi in una situazione finanziaria diversa da quella che aveva presentato nel marzo del 2002 era ancora in corso - al pari della pratica di regolarizzazione catastale - la pratica per il frazionamento dell'area che in contrasto con quanto promesso dal C. , non avrebbe potuto essere integralmente venduta perché in parte vincolata a favore del Comune , il giudice del gravame ha ritenuto che nemmeno il convenuto poteva considerarsi pronto ad adempiere. Ciò posto, si osserva che l'eventuale avvenuta trascrizione i cui effetti operano nei rapporti con i terzi e non tra le parti contraenti non avrebbe potuto comunque esimere il promittente venditore dal dovere di portare a conoscenza del promissario acquirente, al più tardi al momento della stipulazione del contratto preliminare, l'esistenza dell'obbligo di dismissione di una parte dell'area promessa in vendita, assunto dal C. nei confronti del Comune. Le deduzioni svolte dal ricorrente circa la conoscibilità di tale obbligo da parte dell'A. e l'effettiva conoscenza da quest'ultimo acquisita in epoca successiva alla stipula della scrittura privata per cui è causa, pertanto, non appaiono idonee a privare di consistenza l'addebito mosso dalla Corte territoriale al convenuto, di aver taciuto l'esistenza di detto vincolo alla controparte prima di tale atto. 2 Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell'insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta inesistenza della inadempienza del promissario acquirente allo scadere del termine convenzionale per il pagamento del saldo del prezzo. Deduce che la Corte di Appello, nel fondare il proprio convincimento sull'affermata mancata conoscenza da parte dell'A. del vincolo convenuto dal promittente venditore nei confronti del Comune e sulla mancata regolarizzazione catastale da parte del C. entro lo stesso termine, non ha considerato che tale regolarizzazione, in base alla scrittura del 23-3-2002, era a carico dell'A. e che, conseguentemente, la mancata regolarizzazione costituiva un inadempimento dell'attore. Il motivo è inammissibile, prospettando una questione che dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso non risulta essere stata posta nei precedenti gradi del giudizio e che, pertanto, implicando la necessità di indagini di fatto volte ad accertare se effettivamente, in base agli accordi contrattuali, l'onere della regolarizzazione catastale gravasse a carico dell'A. , non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità. Come è noto, infatti, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito tra le più recenti v. 13-9-2007 numero 19164 Cass. 9-7-2013 numero 17041 . 3 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione dell'articolo 112 cpc. Deduce che la Corte di Appello non ha considerato che la sopravvenuta impossibilità del promittente acquirente a far fronte economicamente agli impegni contrattualmente assunti, confessata dallo stesso A. nella lettera inviata al C. il 9-12-2002, trovava sanzione nel disposto degli articolo 1186 e 1385 c.c., legittimando il recesso del promittente venditore. Sostiene, inoltre, che il giudice del gravame, nel dichiarare la risoluzione consensuale del contratto preliminare, che nessuna delle parti aveva richiesto, ha pronunciato oltre i limiti delle domande. 3a La prima censura è infondata. La Corte territoriale ha dato adeguato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che le difficoltà economiche in cui si era venuto a trovare nel dicembre del 2002 l'A. non valessero a legittimare il recesso del C. e la sua pretesa di trattenere la caparra versata. A tali conclusioni la sentenza impugnata è pervenuta sulla base di un percorso argomentativo privo di incongruenze logiche, con cui è stato spiegato che a quell'epoca nemmeno il convenuto sarebbe stato pronto ad adempiere, in quanto la regolarizzazione catastale necessaria per il rilascio della procura era ancora in corso, al pari della pratica per il frazionamento dell'area che, in contrasto con quanto promesso dal C. , non avrebbe potuto essere integralmente venduta, perché in parte vincolata a favore del Comune. Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati con il motivo in esame. Il giudice del gravame, infatti, a fronte dei reciproci inadempimenti addebitatisi dalle parti, ha correttamente proceduto ad una indagine comparativa del comportamento di entrambi i contraenti e, con apprezzamento di merito adeguatamente motivato, come tale insindacabile in sede di legittimità, ha accertato che nemmeno il C. poteva ritenersi perfettamente adempiente al momento in cui aveva assunto l'atteggiamento di definitiva chiusura nei confronti della controparte. 3b La seconda censura appare, invece, meritevole di accoglimento. La Corte di Appello, dopo aver dato atto della infondatezza sia della domanda di risoluzione per inadempimento proposta dall'attore che della pretesa dell'appellato di trattenere la caparra versata, ha dichiarato la risoluzione consensuale del contratto, con condanna del C. alla restituzione della caparra all'A. . Così statuendo, il giudice del gravame è incorso nel denunciato vizio di ultrapetizione, avendo pronunciato su una domanda che nessuna delle parti aveva proposto non l'attore, il quale aveva formulato la diversa per petitum e causa petendi domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e di restituzione del doppio della caparra versata né il convenuto, il quale aveva chiesto v. conclusioni di appello trascritte a pag. 2 della sentenza impugnata la conferma della sentenza di primo grado e il rigetto di ogni avversa pretesa. E invero, come è stato affermato da questa Corte, la volontà negoziale diretta allo scioglimento di un contratto per mutuo consenso non può essere desunta dal comportamento di chi, pur senza chiedere in via riconvenzionale l'adempimento del contratto o la sua risoluzione per colpa dell'attore, si opponga - come nel caso in esame - alla domanda di risoluzione per inadempimento proposta nei suoi confronti, dovendo in tal caso il giudice verificare se sussistano in concreto le condizioni dell'azione fatta valere dall'attore, e, se queste manchino, limitarsi a respingere la domanda di risoluzione del contratto Cass. 8-7-1983 numero 4600 . Incorre, pertanto, in ultrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda di risoluzione per inadempimento, pronunci la risoluzione consensuale Cass. 25-2-2014 numero 4493 . 4 Di conseguenza, in relazione al terzo motivo di ricorso, nei limiti sopra precisati, s'impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino, la quale deciderà attenendosi ai principi di diritto innanzi enunciato, e provvederà anche sulle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie per quanto di ragione il terzo motivo di ricorso rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino.