La sanzione deve essere adeguata alla gravità dell’inadempimento

Il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e della adeguatezza della sanzione.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24586/2013, depositata il 31 ottobre scorso. Il caso. Un lavoratore veniva licenziato dall’Azienda Milanese Servizi Ambientali, in quanto aveva inviato ad una serie di soggetti, estranei al rapporto di lavoro, una comunicazione relativa alla situazione di un presunto conflitto di interessi in cui si sarebbe trovato un responsabile della stessa società. La condotta del lavoratore è impropria, ma non può giustificare la sanzione espulsiva. Il lavoratore, però, si rivolge all’autorità giudiziaria, ritenendo illegittimo il licenziamento, perché l’invio della segnalazione non conteneva – a suo dire –alcun valore denigratorio e, in ogni caso, la sanzione espulsiva appariva sproporzionata ed incongrua rispetto alla condotta addebitatagli. A pensarla alla stessa maniera sono sia i giudici di merito che quelli di Cassazione a cui ha presentato ricorso la società. Manca l’accertamento della malafede. Seppur lo strumento della denuncia del presunto conflitto di interessi sia da ritenersi improprio e non corretto, il licenziamento è comunque sproporzionato. La Cassazione, infatti, ribadisce che, in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e della adeguatezza della sanzione. Apprezzamenti correttamente portati a termine dai giudici di merito. Per questo, il ricorso viene rigettato in toto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 settembre – 31 ottobre 2013, n. 24586 Presidente Vidiri – Relatore De Renzis Svolgimento del processo Con ricorso, depositato il 23.05.2008, T.D. esponeva - che con lettera dell'11.08.2008, a seguito di contestazioni disciplinari comunicategli in data 14.12.2007, la datrice di lavoro AMSA Azienda Milanese Servizi Ambientali S.p.A. gli aveva intimato il licenziamento, ove gli veniva addebitato di avere inviato ad una serie di soggetti - tutti estranei al rapporto di lavoro - una comunicazione relativa alla situazione di un presunto conflitto di interessi in cui si sarebbe trovato D.F.D. , responsabile Prevenzione e Protezione della stessa AMSA - che il licenziamento era illegittimo, perché l'invio di segnalazione a soggetti estranei all'azienda non conteneva in sé alcun valore denigratorio e in ogni caso la sanzione espulsiva appariva sproporzionata ed incongrua rispetto alla condotta addebitatagli Ciò premesso, il T. chiedeva l'accertamento della nullità o illegittimità del licenziamento, con tutte le conseguenze di legge. La società costituendosi contestava le avverse deduzioni e chiedeva il rigetto del ricorso. 3 All'esito dell'istruzione, acquisita varia documentazione, il Tribunale di Milano con sentenza n. 148 del 2009 accoglieva il ricorso, dichiarando l'illegittimità del licenziamento ed ordinando la reintegrazione del Tombini nel posto di lavoro e la corresponsione del risarcimento del danno Tale decisione, a seguito di appello proposto dalla AMSA, è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 698 del 2010. osservando che la segnalazione del T. nei confronti del dipendente D.F. non era del tutto ingiustificata o comunque non era dettata da intento denigratorio, anche se la sua diffusione ad organi pubblici, in parte collegati alla società datrice di lavoro e formalmente estranei ad AMSA, era avvenuta senza il previo o almeno contemporaneo coinvolgimento dei competenti organi interni della società e quindi appariva non corretta. L'iniziativa del lavoratore, ad avviso della Corte, avrebbe potuto essere sanzionata con una più appropriata misura di carattere conservativo e non espulsivo. La AMSA ricorre per cassazione con due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 CPC. Il T. resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta vizio di motivazione su un fatto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale concluso, dopo avere correttamente affermato che lo strumento di denuncia del presunto conflitto di interessi utilizzato dal T. era da ritenersi quanto meno improprio e non corretto , che, non essendoci un obbligo di preventivo ricorso al Comitato Etico, la diversa scelta del dipendente non si sarebbe prestata ad una esclusiva lettura in chiave denigratoria. Precisava al riguardo che il T. al fine di garantire il riserbo ben avrebbe potuto scegliere il sistema di denunzia endoaziendale con il ricorso al Comitato etico o segnalando i fatti ai propri superiori e non investire i soggetti esterni alla società. Con il secondo motivo la ricorrente deduce ulteriore vizio di motivazione su un fatto decisivo della controversia, per avere la Corte ambrosiana valutato, in sede di gravità del comportamento e di proporzionalità della sanzione premesso il carattere quanto meno improprio e non corretto dello strumento utilizzato dal T. , la contestata natura estranea dei soggetti terzi altri rispetto al Comune di Milano cui lo stesso T. aveva inviato la segnalazione del conflitto di interessi. 3. Questa Corte ha ripetutamente affermato che le censure riguardanti la motivazione devono riguardare l'obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l'interpretazione accolta, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte cfr Cass. 8 aprile 2008 n. 1023 Cass. 12 novembre 2007 n. 23484 . Ed è giurisprudenza consolidata che in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento del lavoratore e della adeguatezza della sanzione, di tal che tutte le questioni di merito, ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità Cass. 7 aprile 2011 n. 7948 Cass. 25 maggio 2012 n. 8293 . La sentenza, per essere adeguatamente motivata, si sottrae a tutte le censure che contro di essa sono state avanzate. Ed invero nell'affermare che lo strumento della denunzia del conflitto di interessi utilizzato dal T. era da ritenersi quanto meno improprio e non corretto e nel concludere che - non essendoci un obbligo di preventivo ricorso al Comitato etico - la diversa scelta del dipendente di ricorrere non si prestava ad una esclusiva lettura in chiave denigratoria, ha seguito un iter argomentativo logico e ha fatto corretta applicazione di fatti di causa per quanto attiene alla sanzione espulsiva inflitta, che non risultava proporzionale alla condotta tenuta dal T. . Né sotto altro versante può addursi che il T. avrebbe dovuto ricorrere al Comitato etico, atteso che la condotta del lavoratore, seppure impropria, non può di per sé giustificare la sanzione espulsiva, non essendo stato accertato, come ha puntualizzato il giudice di appello, l'elemento della malafede a carico dello stesso. 3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.