Con l’articolo 22-ter dl CCNL 16 maggio 1995 per il Comparto Ministeri sono stati posti in carico dell’Amministrazione precisi oneri, subordinando la legittimità del provvedimento di dispensa dal servizio alla previa verifica della impossibilità di utilizzare il dipendente in altre mansioni compatibili con lo stato di salute, in ipotesi anche inferiori rispetto a quelle corrispondenti alla categoria di inquadramento.
Così si è espressa la sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 14113/16, depositata l’11 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Lecce respingeva l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Taranto che aveva rigettato la domanda diretta ad ottenere l’annullamento del provvedimento di risoluzione del rapporto per inabilità adottato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e la condanna del convenuto a reintegrare il ricorrente in mansioni compatibili con lo stato di salute. La Corte riteneva l’appello infondato perché l’Amministrazione aveva dedotto di non poter ricollocare il dipendente in mansioni compatibili con lo stato di salute e tale affermazione non era stata contestata dall’appellante, il quale aveva anche omesso di indicare la diversa posizione lavorativa che il Ministero avrebbe potuto assegnargli. Ricorre l’appellante avverso tale sentenza in Cassazione, sulla base di due motivi. Carenza di presupposti e illogicità della motivazione. Innanzitutto, denuncia ex articolo 360, numero 3, c.p.c. «violazione e falsa applicazione combinato disposto dell’articolo 2, comma 12, l. numero 335/95, dell’articolo 7 d.m. numero 187/97 e dell’articolo 21 CCNL dei dipendenti del Comparto Ministeri». Egli rileva che il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro era stato adottato dal Direttore Generale sul presupposto dell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Ma tale presupposto non sussisteva, poiché la stessa Commissione Medica Ospedaliera aveva accertato solo la non idoneità a svolgere le mansioni di assistente amministrativo e aveva escluso che esistessero le condizioni richieste dal richiamato articolo 2 cit Inoltre, il ricorrente eccepisce la «nullità della sentenza per violazione degli articolo 111 Cost. e 132, numero 4, c.p.c. circa la motivazione della sentenza ex articolo 360, numero 4, c.p.c.». Sostiene l’illogicità manifesta e l’irriducibile contraddittorietà della sentenza impugnata in quanto essa, pur avendo preso atto della insussistenza della totale ed assoluta inabilità, non ha dichiarato la illegittimità della risoluzione, bensì ha posto a carico del ricorrente l’onere di indicare quali diverse posizioni lavorative egli avrebbe potuto ricoprire, onere non compatibile con le ragioni per cui il recesso era stato intimato. La previa verifica dell’impossibilità di utilizzare il dipendente in altre mansioni. I motivi sono fondati. Con il provvedimento di risoluzione del rapporto, il Ministero aveva posto come presupposto la «assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa», sicché nel giudizio di merito doveva essere solo accertato se sussistesse o meno la affermata inabilità assoluta. Si aggiunge, peraltro, che l’articolo 22-ter dl CCNL 16 maggio 1995 per il Comparto Ministeri, prevede che «l’Amministrazione non potrà procedere alla dispensa dal servizio per inidoneità fisica o psichica prima di aver esperito ogni utile tentativo, compatibilmente con le strutture organizzative dei vari settori e con le disponibilità organiche dell’Amministrazione, per recuperarlo al servizio attivo, in mansioni diverse, purché compatibili con le attitudini personali ed i titoli posseduti, appartenenti alla stessa qualifica o, in caso di mancanza di posti, previo consenso dell’interessato, alla qualifica inferiore. []». Dunque, sono stati posti in carico dell’Amministrazione precisi oneri, subordinando la legittimità del provvedimento di dispensa dal servizio alla previa verifica della impossibilità di utilizzare il dipendente in altre mansioni compatibili con lo stato di salute, in ipotesi anche inferiori rispetto a quelle corrispondenti alla categoria di inquadramento. Infatti, tali oneri sono posti a carico dell’Amministrazione, non rendendo condivisibile la lettura prospettata dal Ministero, secondo cui l’onere di attivarsi per ottenere una diversa assegnazione sussisterebbe in capo al dipendente.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 maggio – 11 luglio 2016, numero 14113 Presidente Macioce – Relatore Paolantonio Svolgimento del processo 1 - La Corte di Appello di Lecce ha respinto l'appello di V.D.C. avverso la sentenza del Tribunale di Taranto che aveva rigettato la domanda diretta ad ottenere l'annullamento del provvedimento dì risoluzione del rapporto per inabilità, adottato il 14 dicembre 2004 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e la condanna del convenuto a reintegrare il ricorrente in mansioni compatibili con lo stato di salute. Il D.C. aveva anche domandato il risarcimento del danno ed in subordine il pagamento della pensione che gli sarebbe spettata alla data di maturazione dell'età pensionabile . 2 - La Corte territoriale ha ritenuto l'appello infondato perché l'Amministrazione convenuta aveva dedotto di non poter ricollocare il dipendente in mansioni compatibili con lo stato di salute e detta affermazione non era stata contestata dall'appellante, il quale aveva anche omesso di indicare la diversa posizione lavorativa che il Ministero avrebbe potuto assegnargli. 3 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.D.C. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha resistito con tempestivo controricorso. Motivi della decisione 1 - Con il primo motivo V.D.C. denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione combinato disposto dell'articolo 2, comma 12, della L. 8.8.1995 numero 335, dell'articolo 7 del d.m. 8.5.1997 numero 187 e dell'art, 21 del CCNL dei dipendenti del Comparto Ministeri . Rileva, in sintesi, che il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro allegato al ricorso quale parte integrante dello stesso , era stato adottato dal Direttore Generale ai sensi dell'articolo 2, comma 12 della legge numero 335 del 1995 e dell'articolo 7 del d.m. 8.5.1997 numero 187, e, quindi, sul presupposto della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Detto presupposto non sussisteva nella fattispecie, poiché la stessa Commissione Medica Ospedaliera aveva accertato solo la non idoneità a svolgere le mansioni di assistente amministrativo ed aveva escluso che sussistessero le condizioni richieste dal richiamato articolo 2 della legge numero 335/1995. La Amministrazione, quindi, facendo leva sulla asserita impossibilità dì ricollocare il dipendente in altre mansioni, aveva posto a fondamento della risoluzione un presupposto diverso da quello indicato nel provvedimento. 1.1. - Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli articolo 111 cost. e 132 numero 4 c.p.c., circa la motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 360 numero 4 c.p.c. . Richiama il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 8053 del 7.4.2014 per sostenere che la decisione impugnata è viziata da illogicità manifesta ed irriducibile contraddittorietà in quanto, pur avendo preso atto della insussistenza della totale ed assoluta inabilità, non ha dichiarato la illegittimità della risoluzione, bensì ha posto a carico del ricorrente l'onere di indicare in quali diverse posizioni di lavoro egli poteva essere riutilizzato, onere non compatibile con le ragioni per le quali il recesso era stato intimato. 2 - I motivi, che in quanto connessi possono essere congiuntamente trattati, sono fondati. Con il provvedimento del 14 dicembre 2004, il cui contenuto è stato integralmente trascritto nel ricorso, il Ministero ha disposto la risoluzione del rapporto ai sensi del combinato disposto dell'articolo 2 comma 12 della legge 8 agosto 1995 numero 335 e dell'articolo 7 del D.M. 8 maggio 1997 numero 187 . Entrambe le disposizioni richiamate fanno riferimento alla assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa , sicché nel giudizio di merito doveva essere solo accertato se sussistesse o meno la affermata inabilità assoluta, che non può essere confusa con la inidoneità a svolgere le sole mansioni proprie della qualifica rivestita. L'onere di contestazione e di allegazione gravante sul ricorrente restava e resta limitato dal contenuto del provvedimento di risoluzione che, come si è detto, è stato fondato sulla oggettiva impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, non già sulla impossibilità di ricollocare il dipendente in altra posizione. 2.1 - Si deve, poi, aggiungere che l'articolo 22 ter del CCNL 16.5.1995 per il Comparto Ministeri, come integrato dall'articolo 4 del CCNL 22.10.1997, prevede che l'Amministrazione non potrà procedere alla dispensa dal servizio per inidoneità fisica o psichica prima di aver esperito ogni utile tentativo, compatibilmente con le strutture organizzative dei vari settori e con le disponibilità organiche dell'Amministrazione, per recuperarlo al servizio attivo, in mansioni diverse, purché compatibili con le attitudini personali ed i titoli posseduti, appartenenti alla stessa qualifica o, in caso di mancanza di posti, previo consenso dell'interessato, alla qualifica inferiore. L'eventuale ricollocazione del dipendente riconosciuto permanentemente non idoneo alle mansioni proprie del profilo rivestito, previo corso di riqualificazione, in altro profilo professionale appartenente alla medesima qualifica funzionale, o anche a qualifica inferiore, è regolata da appositi criteri stabiliti dall'Amministrazione d'intesa con le organizzazioni sindacali. La domanda di reinquadramento di cui ai commi precedenti può essere presentata dal dipendente dichiarato inidoneo dai competenti organi, entro trenta giorni dalla data di notifica del giudizio di inidoneità . Le parti collettive, quindi, hanno posto a carico dell'Amministrazione precisi oneri, subordinando la legittimità dei provvedimento di dispensa dal servizio alla previa verifica della impossibilità di utilizzare il dipendente in altre mansioni compatibili con lo stato di salute, in ipotesi anche inferiori rispetto a quelle corrispondenti alla categoria di inquadramento. Non è condivisibile la esegesi della norma contrattuale prospettata dal Ministero, secondo cui il terzo comma dell'articolo 22 ter porrebbe a carico del dipendente l'onere di attivarsi, una volta avuta notizia del giudizio medico di inidoneità, per ottenere dalla Amministrazione l'assegnazione a diversa posizione lavorativa. La disciplina contrattuale, infatti, va letta nella sua interezza, valorizzando il tenore delle espressioni letterali utilizzate ed interpretando le diverse clausole le une per mezzo delle altre. Ciò premesso osserva la Corte che, mentre il primo comma si esprime in termini di assoluta doverosità quanto ai comportamenti richiesti alla Pubblica Amministrazione non potrà procedere alla dispensa dal servizio prima di avere esperito ogni utile tentativo , il terzo comma prevede una mera possibilità che la richiesta possa anche provenire direttamente dal lavoratore interessato la domanda di reinquadramento può essere presentata , sicché la assenza della iniziativa da parte del dipendente non più idoneo alla mansione non esonera il datore di lavoro pubblico dal percorrere tutte le strade alternative previste nello stesso contratto prima di adottare il provvedimento di dispensa. E' utile osservare anche ai riguardo che secondo la Corte Costituzionale sussiste un principio generale, nell'ordinamento del pubblico impiego, in forza del quale il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima di essere dispensato, deve essere posto nelle condizioni di continuare a prestare servizio nell'assolvimento di compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneità fisica. Soltanto nel caso in cui non sia possibile tale utilizzazione, o per ragioni di carattere oggettivo o per scelta dell'interessato, ne e' disposto il collocamento a riposo d'autorità Corte Cost. 3 agosto 2005 numero 322 . 3 - La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra indicati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione.