L’integrazione dei gravi indizi di colpevolezza del patto corruttivo tra coindagati

Il patto corruttivo viene individuato non solo con riferimento all’atto formale, ma anche a qualsiasi atto purché funzionale ad un procedimento giudiziario nel rispetto della ragione incriminatrice della norma, posta a tutela dell’esercizio imparziale della funzione, «in un rapporto di congruità con la posizione istituzionale del soggetto agente e di causalità con la retribuzione».

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza numero 30761/18 depositata il 6 luglio. Il caso. Il Tribunale di Napoli annullava l’ordinanza con cui il GIP aveva applicato all’indagato la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di residenza, limitatamente alla contestata partecipazione a fattispecie associativa che promossa e diretta da un giudice del Tribunale di Salerno era attiva e finalizzata al compimento di una serie di delitti contro la Pubblica Amministrazione mentre, lo stesso Tribunale di Napoli, confermava il provvedimento per ulteriori titoli di reato, come la partecipazione dell’indagato ai delitti di corruzione in atti giudiziari. Quest’ultimo ricorre in Cassazione denunciando, tramite il difensore di fiducia, una erronea enfatizzazione della vicenda illecita da parte dei Giudici del merito. La corruzione in atti giudiziari. Integra il reato di cui al’articolo 319-ter c.p.p., stante in tema di corruzione in atti giudiziari, la contaminazione del libero ed indipendente esercizio della funzione giurisdizionale, ossia del metodo con cui il giudice giunge alla decisione che potrebbe risultare compromessa da un inquinamento a monte. Nella fattispecie in esame, integra gli indizi di colpevolezza dell’accordo corruttivo, tra i due soggetti indagati, l’apprezzamento sulla violazione del dovere di astensione, ex articolo 51 c.p.c., da parte del giudice indagato nelle controversie civili introdotte dal principale imputato, vista l’esistenza tra i due di rapporti di amicizia che appaiono utili non solo per sostenere le ragioni della suddetta astensione, ma anche per compromettere la formazione della decisione giurisdizionale adottata. Per queste ragioni il ricorso risulta infondato ed è quindi rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 maggio – 6 luglio2018, numero 30761 Presidente Piccialli – Relatore Menichetti Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 28 dicembre 2017, il Tribunale di Napoli, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta nell’interesse di P.A. , indagato per i reati di cui agli articolo 110, 640-bis, 61 numero 2, 110, 476, 479, commi primo e secondo, 81, secondo comma, 319, 319-ter, 321 e 416 cod. penumero , ha annullato l’ordinanza con cui il G.i.p. del medesimo ufficio giudiziario aveva applicato al primo la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di residenza, limitatamente alla contestata partecipazione a fattispecie associativa che, promossa e diretta da Pa.Ma. , giudice del Tribunale civile di Salerno e componente della commissione tributaria provinciale di Salerno, era attiva in Salerno e finalizzata al compimento di una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione capo Q dell’imputazione provvisoria . Il Tribunale ha invece confermato il provvedimento genetico per gli ulteriori titoli di reato con i quali si contestava all’indagato la partecipazione, in concorso con altri, ai delitti di corruzione in atti giudiziari, truffa per il conseguimento di agevolazioni e finanziamenti pubblici e falso capi F, G ed H dell’imputazione . 2. Il P. , quale ideatore e consulente fiscale, aveva concorso con il far conseguire l’ammissione definitiva alle agevolazioni della regione Campania, alla E.R.E.MO., di cui era titolare di fatto, tra gli altri, Pa.Ma. , all’esito di procedura concorsuale finalizzata all’agevolazione delle nuove cooperative di produzione, per la realizzazione di una unità abitativa, posta su fondo di proprietà del Pa. , da utilizzare quale agriturismo, facendo figurare, con false fatture, la realizzazione di impianti, certificati a regola d’arte e mai eseguiti. Nell’apprezzato quadro cautelare, si è altresì attribuito all’indagato lo strumentale svolgimento di attività tradottesi nel simulato versamento, per assegni falsi, del capitale sociale della cooperativa, titoli poi oggetto di denuncia di smarrimento, materialmente ed ideologicamente falsa, e tanto al fine di procurare a sé o ad altri l’ingiusto profitto consistente nell’erogazione del finanziamento a fondo perduto. Ha trovato altresì conferma la partecipazione di P. , in veste di corruttore, al reato di cui all’articolo 319-ter cod. penumero , con Pa.Ma. che, pur trovandosi nelle condizioni previste dalla legge, non si asteneva nei giudizi civili introdotti dal primo che favoriva negli esiti, ricevendo quale utilità la rinuncia ai compensi maturati dal professionista per l’attività svolta in favore della E.R.E.MO. e lo svolgimento gratuito di attività professionali. 2. Ricorre in cassazione avverso l’indicato provvedimento il difensore di fiducia del P. con due motivi di annullamento. 2.1. Il tribunale del riesame sarebbe incorso nella violazione dell’articolo 273 cod. proc. penumero ed in mancanza ed illogicità della motivazione là dove aveva ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di truffa aggravata, ex articolo 640-bis cod. penumero e di falso ex articolo 476 e 479 cod. penumero , per una erronea enfatizzazione della vicenda della falsa denuncia di smarrimento degli assegni emessi a copertura del capitale della cooperativa poi ammessa al beneficio del finanziamento. L’indagato, ricoverato per l’asportazione chirurgica di una formazione tumorale, sarebbe rimasto estraneo alla mail del 14 luglio 2009 con cui il coindagato Pa. manifestava la volontà di presentare una denuncia di smarrimento con data antecedente di sei mesi degli indicati titoli. Quanto alla corruzione in atti giudiziari, lo schema illecito ipotizzato dal tribunale partenopeo, che avrebbe visto i due indagati in posizione di reciproca messa a disposizione, garantendo l’uno, ovverosia Pa. , l’agevolazione nei giudizi introdotti dal P. e l’altro, ovvero il commercialista, prestazioni gratuite professionali, sarebbe stato in conflitto con la inclinazione del Pa. ad esercitare, in genere e con disinvoltura, la propria funzione, aduso, quale egli era stato ritenuto, a ricercare rapporti di amicizia con vari personaggi per conseguire visibilità politica. In ogni caso poiché Pa. aveva agito con il dolo di favorire P. , nella condotta assunta dal primo si sarebbe dovuto leggere la diversa figura dell’abuso di ufficio articolo 323 cod. penumero in difetto di gravità indiziaria sulla corrispettività della prestazione processuale in una cornice di pregresse e consolidate frequentazioni amichevoli. 2.2. L’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto integrati i requisiti di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione di cui all’articolo 274 cod. proc. penumero senza considerare, valorizzando la sola gravità del fatto, che il P. non si occupava da tempo di finanziamenti pubblici che egli era stato ritenuto estraneo alla fattispecie associativa che il giudice Pa. era stato trasferito presso altro ufficio giudiziario e che erano stati applicati nei suoi confronti gli arresti domiciliari. I giudici del riesame motivando sul pericolo di inquinamento probatorio, profilo neppure individuato nell’ordinanza genetica, ne avrebbero ritenuto concretezza ed attualità senza apprezzare che l’indagato non aveva posto in essere alcuna condotta diretta ad inficiare l’esito delle indagini una volta venuto a conoscenza di queste ultime. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato e come tale va rigettato. 1.1. Il tribunale del riesame definisce efficacemente l’episodio della mail del 14 luglio 2009 e, nella centralità dal medesimo assolta nella contestata condotta fraudolenta, il pieno coinvolgimento di P. . Vengono infatti valorizzati, in modo concludente, i pregressi contatti tra i coindagati e quindi lo scambio delle mail in data 11 e 13 marzo 2009 con cui P. e Pa. mettono a punto i contenuti della missiva, in cui si sarebbe rappresentato lo smarrimento degli assegni diretto a dar conto del versamento del capitale sociale della cooperativa e che verrà poi prodotta alla regione Campania per soddisfare la richiesta, ad istruzione della pratica, degli originali dei titoli, nella segnalata indispensabilità da parte dell’amministrazione dell’effettivo versamento del capitale sociale sul conto corrente della cooperativa al fine di ottenere il finanziamento. Per i segnalati pregressi rapporti restano evidenziati i diversi momenti che condurranno alla mail del 14 luglio contenente la bozza della denuncia di smarrimento degli assegni, sottolineandosi dai giudici del riesame, a conforto del formulato giudizio sui gravi indizi di colpevolezza, l’espressa indicazione contenuta nel documento trasmesso in via elettronica dal Pa. , della necessità della retrodatazione della denuncia per modalità significativamente corrispondenti a quelle poi attuate. 1.2. È infondato anche l’ulteriore profilo con cui si fa valere l’erroneità della qualificazione data nell’impugnata ordinanza alla condotta ascritta all’indagato, nella parte in cui se ne ritiene il carattere sinallagmatico, integrativo del reato di corruzione in atti giudiziari articolo 319-ter cod. penumero , nel rapporto con all’attività giurisdizionale del Pa. , giudice del tribunale di Salerno. Con motivazione ineccepibile il tribunale di Napoli porta a sostegno della ritenuta qualificazione, per il sottolineato scambio tra prestazioni professionali, da una parte, ed esercizio della funzione giurisdizionale, dall’altra, l’accezione lata da attribuirsi in materia di corruzione ex articolo 319-ter cod. penumero all’atto dell’ufficio oggetto del patto corruttivo. Quest’ultimo resta invero correttamente individuato per richiamo non solo all’atto formale, ma anche a qualsiasi atto purché funzionale ad un procedimento giudiziario nel rispetto della ratio incriminatrice della norma, volta a tutelare l’esercizio imparziale della funzione, in un rapporto di congruità con la posizione istituzionale del soggetto agente e di causalità con la retribuzione Sez. 6, numero 44971 del 09/11/2005, Caristo, Rv. 233505 Id., Sez. U, numero 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246582 . In materia di corruzione in atti giudiziari integra il reato di cui all’articolo 319-ter cod. proc. penumero la contaminazione del libero ed indipendente esercizio della funzione giurisdizionale e quindi il metodo con cui si giunge alla decisione che potrebbe risultare compromessa pur nella sua formale correttezza, da un inquinamento a monte Sez. 6, numero 24349 del 27/01/2012, Falci, in motivazione . Ad integrazione dei gravi indizi di colpevolezza dell’accordo corruttivo entra quindi l’apprezzamento sulla violazione del dovere di astensione di cui all’articolo 51 cod. proc. civ. da parte del giudice Pa. nelle controversie civili introdotte da P. , nella ritenuta coesistenza tra i due indagati di rapporti personali e di amicizia che valgono non solo a sostenere le ragioni dell’astensione, secondo le norme del codice di rito civile, ma a compromettere, anche, la formazione stessa della decisione giurisdizionale adottata. La deduzione difensiva, pure contenuta in ricorso, sulla individuazione nella contestata fattispecie di una violazione del dovere di astensione sintomatica del reato di abuso di ufficio di cui all’articolo 323 cod. penumero non si confronta con la più articolata valutazione operata nell’impugnata ordinanza, in cui le ragioni dell’astensione entrano a comporre l’accordo corruttivo. Essa si segnala, comunque, per la sua genericità non emergendo in ricorso il necessario interesse dell’indagato a conseguire, per la dedotta qualificazione, una concreta utilità nella fase cautelare Sez. 6, numero 10941 del 15/02/2017, Leocata, Rv. 269783 . 2. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato. Il tribunale del riesame di Napoli con motivazione che non si espone a censura in sede di legittimità per i profili della violazione di legge e della mancanza o illogicità, compendia in modo congruo il materiale probatorio ad integrazione dei requisiti della concretezza ed attualità del pericolo di recidiva specifica del reato, valorizzando, con la datata risalenza dei rapporti personali e fiduciari tra professionista e giudice, la rilevante capacità delinquenziale dimostrata dal primo nella contestata condotta nel pure evidenziato manifestarsi della stessa in ulteriori segnalate vicende di frode, senza che si accompagni allo svolto e censurato iter logico una tanto impropria quanto illegittima identificazione della condotta criminosa con l’attività professionale in genere svolta dall’indagato. Ogni ulteriore censura resta assorbita. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.