In tema di liquidazione dei danni patrimoniali da invalidità permanente in favore del soggetto leso, il giudice non deve applicare lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa qualora utilizzi il criterio della capitalizzazione del danno patrimoniale futuro.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 11209/17 depositata il 9 maggio. Il caso. Un sinistro stradale era la causa di un contenzioso, nel quale erano stati coinvolti il responsabile dello stesso e le Generali Assicurazioni s.p.a., quale impresa designata per il risarcimento a carico del fondo di garanzia delle vittime della strada l’automobile del responsabile, infatti, all’epoca dell’incidente non era assicurata . In primo grado veniva riconosciuto un risarcimento al danneggiato di più di 500.000 €. Questo veniva però ridotto in appello con l’adeguamento della somma liquidata «al fatto che la vita lavorativa ha una durata più breve della vita fisica». Gli eredi del danneggiato ricorrevano in Cassazione, lamentando il mancato rispetto della giurisprudenza di legittimità in tema di criterio di capitalizzazione. L’interpretazione della Corte di Cassazione non è stata rispettata. Secondo la Corte di Cassazione il ricorso è fondato. Una volta accertata l’invalidità permanente, infatti, il giudice di merito ha utilizzato il summenzionato «criterio di capitalizzazione del danno patrimoniale futuro adottando correttamente i coefficienti di capitalizzazione della rendita fissati nelle tabelle di cui al r.d. numero 1403/1922». L’errore però vi è stato nell’essersi discostato dalla costante interpretazione del Giudice di legittimità, secondo cui «in tema di liquidazione dei danni patrimoniali da invalidità permanente in favore del soggetto leso non si deve applicare lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa». Il motivo è che un danno permanente o la morte del soggetto non possono essere liquidate in base ai coefficienti di capitalizzazione previsti nel summenzionato r.d., i quali non garantiscono un ristoro integrale del danno, «a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei tassi di interesse». Il ricorso viene pertanto accolto e la sentenza impugnata è cassata.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 gennaio – 9 maggio 2017, numero 11209 Presidente Vivaldi – Relatore Pellecchia Fatti di causa 1. La vicenda trae origine da un incidente stradale tra C.R. e M.R. . La dinamica del sinistro era stata correttamente ricostruita dai carabinieri intervenuti sul posto che avevano stabilito che quest’ultimo era responsabile della causazione del sinistro. Per tale motivo la C. convenne in giudizio oltre il conducente dell’auto M.R. , il proprietario della stessa M.C. la Axa Assicurazioni e in considerazione del fatto che la macchina risultava non coperta da assicurazione per il mancato pagamento della rata, le Generali Assicurazioni S.p.A., quale impresa designata per la Lombardia per il risarcimento a carico del fondo di garanzia delle vittime della strada, per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale di Voghera con la sentenza numero 325/2007 rigettò la domanda di risarcimento del danno nei confronti di Axa assicurazioni dando atto che al momento del sinistro l’assicurazione risultava sospesa. Dichiarò l’improcedibilità della domanda di risarcimento dei danni avanzata, con atto di intervento volontario, dal marito e dei figli dell’attrice. Condannò le Assicurazioni Generali spa, quale impresa designata dal fondo di garanzie per le vittime della strada e fatto salvo il regresso nei confronti dei responsabili del danno in via solidale con M.R. e C. , a pagare in favore della C. la somma di Euro 513.262,32. 2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza numero 233 del 24 gennaio 2001 solo in punto di quantum debeatur riducendo la somma liquidata a titolo di danno patrimoniale del 20% pari ad Euro 21.442,66 per adeguare il risarcimento del danno al fatto che la vita lavorativa ha una durata più breve della vita fisica. 3. Avverso tale decisione, B.D. , S. e C. , quali eredi di C.R. , propongono ricorso in Cassazione sulla base di 1 motivo. 3.1. Gli intimati non svolgono attività difensiva. Ragioni della decisione 4. Con l’unico motivo, i ricorrenti deducono in riferimento all’articolo 360 numero 3, c.p.c. violazione ed errata applicazione delle norme di diritto di cui al Regio Decreto 9 ottobre 1922 numero 1403 per contrasto con l’interpretazione della norma fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina . Lamentano che la Corte d’Appello di Milano in punto di liquidazione del danno patrimoniale subito dall’attrice in primo grado a seguito dell’accertata invalidità permanente, ha utilizzato il criterio di capitalizzazione del danno patrimoniale futuro adottando correttamente i coefficienti di capitalizzazione della rendita fissati nelle tabelle cui al R.D. numero 1403/1922 ma discostandosi dalla costante interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione secondo cui in tema di liquidazione dei danni patrimoniali da invalidità permanente in favore del soggetto leso non si deve applicare lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Il motivo è fondato e va accolto. È principio di questa Corte che in tema di liquidazione dei danni patrimoniali da invalidità permanente in favore del soggetto leso o da morte in favore dei superstiti, ove il giudice di merito utilizzi il criterio della capitalizzazione del danno patrimoniale futuro, adottando i coefficienti di capitalizzazione della rendita fissati nelle tabelle di cui al r.d. 9 ottobre 1922, numero 1403, egli deve adeguare detto risultato ai mutati valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle adottate, e cioè deve tenere conto dell’aumento della vita media e della diminuzione del tasso di interesse legale e, onde evitare una divergenza tra il risultato del calcolo tabellare ed una corretta e realistica capitalizzazione della rendita, prima ancora di personalizzare il criterio adottato al caso concreto, deve attualizzare lo stesso, o aggiornando il coefficiente di capitalizzazione tabellare o non riducendo più il coefficiente a causa dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa Cass. numero 20615/2015 Cass. numero 15738/2010 . Pertanto nel caso di specie ha errato la Corte d’Appello che ha ridotto il danno patrimoniale del 20% applicando lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Del resto il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con r.d. numero 1403 del 1922, i quali, a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e con esso il rispetto della regola di cui all’articolo 1223 c.c 5. Pertanto la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna M.R. e C. , in via solidale tra loro, le Assicurazioni Generali in qualità di impresa designata dal fondo di garanzia per le vittime della strada, in persona del legale rappresentante pro tempore, fatto salvo il regresso nei confronti dei responsabili del danno a pagare la ulteriore somma di Euro 21.442,66 a titolo di danno patrimoniale. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna M.R. e C. , in via solidale tra loro, le Assicurazioni Generali in qualità di impresa designata dal fondo di garanzia per le vittime della strada, in persona del legale rappresentante pro tempore, fatto salvo il regresso nei confronti dei responsabili del danno, a pagare la ulteriore somma di Euro 21.442,66 a titolo di danno patrimoniale. Condanna gli intimati alle spese del presente giudizio a favore della ricorrente che liquida in complessivi Euro 3.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.