L’articolo 10-quater del d.lgs. numero 74/2000 è riferibile anche alle compensazioni riguardanti crediti previdenziali. Tra la fattispecie di compensazione illecita di cui all’articolo 10-quater d.lgs. numero 74/2000 e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato esiste un rapporto di specialità, essendovi nella norma tributaria di parte speciale un elemento specializzante, che si individua nella natura dell’artificio consistente nella compensazione mediante crediti inesistenti o non dovuti e nella individuazione del soggetto passivo attraverso il rinvio recettizio ai soggetti creditori indicati nell’articolo 17 d.lgs. numero 241/1997.
Questi i principi statuiti dalla Cassazione penale, con la sentenza numero 7557/2016, depositata il 25 febbraio, in punto di indebita compensazione di ritenute previdenziali. Il campo di applicazione dell’articolo 10-quater La prima questione, invero non banale, sulla quale viene chiamata a pronunciarsi nel caso di specie la Cassazione, è l’esatta individuazione del campo di applicazione del dettato di cui all’articolo 10- quater d.lgs. numero 74/2000. Nel dettaglio, nel caso in esame all’imputato veniva contestata la violazione di detta norma avendo lo stesso operato, secondo la prospettazione accusatoria, una indebita compensazione di ritenute previdenziali. Come noto, il d.lgs. numero 74/2000 reca, come letteralmente recita la rubrica del medesimo atto normativo, una «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999 numero 205». Secondo il tenore normativo della rubrica, dunque, le fattispecie delittuose di tale testo dovrebbero riferirsi solo alle violazioni in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non anche a quelle relative al versamento delle ritenute previdenziali. Come evidente, a favore di detta impostazione militerebbero i fondamentali canoni penalistici di tassatività e determinatezza che devono presidiare la formulazione e l’interpretazione di ogni norma incriminatrice ed il correlato e conseguente divieto di applicazione analogica in malam partem . esteso anche alle ritenute previdenziali. Contro tale argomento che, prima facie , parrebbe precludere l’applicazione della fattispecie incriminatrice prevista dall’articolo 10- quater d.lgs. numero 74/2000 alla indebita compensazione di ritenute previdenziali, siccome estranee sia alle imposte dirette sui redditi che alla imposta sul valore aggiunto, la Cassazione valorizza, tuttavia, il dettato letterale dello stesso articolo 10- quater . Osserva, infatti, la Suprema Corte, con puntuale richiamo a propri conformi precedenti giurisprudenziali, che la lettera dell’articolo 10- quater identifica nel dettaglio, e dunque proprio in ossequio al principio di tassatività, le compensazioni che possono essere oggetto della stessa fattispecie incriminatrice, operando un rinvio recettizio al dettato dell’articolo 17 del d.lgs. numero 241 del 1997. Orbene, osservano gli Ermellini, proprio il testo dell’articolo 17 d.lgs. numero 241/1997, richiamato inequivocabilmente con rinvio «recettizio e conchiuso» dalla norma incriminatrice, consente la compensazione anche dei crediti relativi ai contributi previdenziali e si riferisce agli importi non versati con l’espressione «somme dovute», senza dunque, volutamente, fare riferimento al termine «imposte», proprio in conseguenza della tipologia ampia ed eterogenea dei crediti che possono essere oggetto di compensazione. E’ dunque proprio il rispetto dei principi di tassatività e determinatezza nella formulazione letterale dell’articolo 10- quater che consente l’applicazione della fattispecie incriminatrice anche alla indebita compensazione di ritenute previdenziale, a nulla rilevando l’apparente contraria formulazione della rubrica del testo normativo, che, come noto, peraltro non ha efficacia vincolante. Il rapporto con la truffa ai danni dello stato. L’ulteriore passaggio che impegna la Corte è l’actio finium regondorum tra il delitto di truffa ai danni dello Stato e la fattispecie di cui all’art 10- quater d.lgs. numero 74/2000. Sul punto, la Cassazione rileva che, come già acclarato in proprie precedenti pronunce, trattasi di un concorso apparente di norme, in quanto la fattispecie penale tributaria si pone in rapporto di specialità rispetto alla norma contenuta nella parte speciale del codice penale. Osservano, infatti, gli Ermellini che nella norma tributaria del d.lgs. numero 74/2000 vi è un primo elemento specializzante, da individuarsi nella particolare natura dell’artificio utilizzato che deve consistere nella compensazione mediante crediti inesistenti o non dovuti. Ulteriore elemento specializzante sempre presente nella norma tributaria è la individuazione del soggetto passivo della truffa, che l’articolo 10- quater individua attraverso il rinvio recettizio ai soggetti creditori indicati nell’articolo 17 d.lgs. numero 241/1997. Nessun dubbio, dunque, che trattasi di concorso apparente di norme, ponendosi la norma tributaria in rapporto di specialità rispetto alla più ampia figura della truffa ai danni dello Stato. L’esito del ricorso. Secondo gli Ermellini, i giudici di merito hanno, pertanto, correttamente ricondotto il caso di specie, avente ad oggetto una indebita compensazione di ritenute previdenziali, alla fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 10- quater d.lgs. numero 74/2000, ed altrettanto correttamente hanno disposto il sequestro preventivo diretto di somme rinvenute nella disponibilità della società, rappresentando le stesse il profitto del reato commesso dal legale rappresentante dell’ente, soggetto nel cui interesse è stato commesso il reato e, dunque, non estraneo al delitto stesso. L’estensione del concetto di profitto. Si rileva come, anche con la pronuncia in commento, prenda sempre maggiore consistenza una interpretazione ampia di profitto del reato tributario, dovendosi ricomprendere nello stesso, come esplicitamente ricorda anche la sentenza della Sezione III, non solo i beni appresi per effetto immediato e diretto dell’illecito, ma altresì ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, della attività criminosa. La conseguenza è la assoggettabilità di tutti tali beni, non al sequestro per equivalente il ricorso al quale, come noto, è limitato nei confronti delle persone giuridiche alle ipotesi di reati tributari commessi dall’organo dotato del potere gestorio , bensì al sequestro preventivo immediato e diretto finalizzato alla confisca, che opera in tutta la sua ampiezza anche nei confronti della persona giuridica nel cui interesse è stato compiuto il reato tributario dal legale rappresentante dell’ente.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 – 25 febbraio 2016, numero 7557 Presidente Amoresano – Relatore Mocci Ritenuto in fatto 1. II 30 marzo 2015, ìl GIP presso il Tribunale di Roma disponeva il sequestro preventivo in via diretta dei saldi attivi nella disponibilità, fra le altre, della società Okcom s.p.a. e per equivalente nei confronti, fra gli altri, di M.F., suo legale rappresentante, in relazione al reato di cui all'articolo 10 quater D.Lvo 74/2000. 2. II Tribunale di Roma, con ordinanza del 10 giugno 2015, confermava il decreto impugnato nella parte riguardante il F Il giudice del riesame affermava, per ciò che qui interessa, come, sulla scorta delle verifiche effettuate dall'Agenzia delle entrate, numerose società compresa la Okcom avessero omesso nel periodo 2009/2013 il versamento delle somme dovute a titolo di contributi previdenziali, compensando i debiti INPS dell'azienda debitrice associandoli, nei modelli F24 presentati da altri contribuenti, a crediti d'imposta risultati inesistenti. La buona fede avrebbe dovuto escludersi, essendo inverosimile che la Okcom avesse ricevuto il prezzo delle cessioni di crediti per centinaia di migliaia di euro da parte della Eurocall s.r.l. fra l'altro, senza neppure chiedere le reversali bancarie , anziché provvedere personalmente all'incombenza fiscale, anche al fine di evitare il controllo dei conteggi dei rapporti dare-avere con la stessa Eurocall, più volte utilizzatrice di fatture per operazioni inesistenti e della quale era socia la s.r.l. Almak, una società definita cartiera nell'informativa dell'Agenzia delle entrate del 7 agosto 2013. 3. Ha proposto ricorso per cassazione il F., denunciando tre complessi motivi, fra loro articolati, attinenti l'erronea applicazione della norma penale sostanziale [articolo 606 lett. b c.p.p.] e l'assenza di motivazione [articolo 606 lett. e c.p.p.], la mancata valutazione di tutto il materiale probatorio [articolo 606 lett. e c.p.p.], la carente valutazione in ordine al periculum in mora [articolo 606 lett. e c.p.p.]. Considerato in diritto 1.1. Assume, in primo luogo, il ricorrente, che la contestazione a lui mossa riguarderebbe la vicenda di un datore di lavoro che avrebbe adempiuto alle obbligazioni verso l'INPS tramite altra persona giuridica, la quale sarebbe stata, a sua volta, debitrice dell'impresa dell'indagato Okcom , giacché cessionaria ed acquirente di determinati crediti e beni già appartenenti alla stessa Okcom. La regolarità formale dei pagamenti - dimostrata da altrettante quietanze telematiche - avrebbe indotto il F. a non dubitare della correttezza e legalità del proprio interlocutore commerciale, tanto più che nel software di verifica dell'INPS tali versamenti previdenziali sarebbero risultati tempestivamente effettuati. Atteso che il reato contestato avrebbe presupposto un comportamento attivo dell'agente, costituito dall'indebita compensazione con crediti non spettanti o inesistenti, nella specie nessuno avrebbe riferito all'indagato che quei crediti non potevano essere oggetto di cessione. In altri termini, l'elemento soggettivo avrebbe dovuto presupporre l'intenzionalità dell'indagato di aver dapprima appreso e poi operato consapevolmente in forza di crediti non spettanti o inesistenti, senza che questo fosse stato dimostrato. 1.2. Deduce, in secondo luogo, il ricorrente la carenza di motivazione in ordine alla realtà dell'operazione commerciale realizzata il Tribunale avrebbe fondato il suo assunto su un presupposto indimostrato, ossia che la Okcom si sarebbe resa responsabile anche in altre circostanze di emissione di fatture per operazioni inesistenti . E ciò, nonostante la Procura della Repubblica di Roma stia indagando anche in ordine alla denuncia\querela che vedrebbe il F. come parte lesa. Insomma, l'ordinanza impugnata non avrebbe esaminato in modo approfondito e con espresso riguardo verso tutti gli elementi idonei a delineare l'effettivo svolgimento dei fatti. 1.3. II terzo rilievo sottolinea come il GIP avesse disposto la cautela senza esprimere ragioni giuridicamente valide e logiche. Il Tribunale non avrebbe dato alcuna ulteriore giustificazione sul punto, non pervenendo ad una corretta declaratoria di annullamento. In definitiva, l'obbligo non adempiuto sarebbe stato quello di motivare sia con riguardo alle ragioni del periculum in mora, sia con riguardo alle ragioni inerenti il sequestro diretto, secondo i criteri ed i caratteri dell'attualità e della concretezza, con riguardo al pericolo connaturato alla libera disponibilità del bene. 2. Il ricorso deve essere respinto. 2.1. II primo motivo ripropone una censura già prospettata in sede di riesame e dal Tribunale di Roma correttamente respinta, sulla considerazione, generale e valida per l'intero sistema illecito adottato in concreto, che la compilazione dei modelli F24 richiede la conoscenza della matricola INPS assegnata all'azienda debitrice e l'importo da compensare , dati che solo le società beneficiarie avrebbero potuto fornire alle cartiere . Con particolare riguardo alla linea difensiva della Okcom, l'ordinanza impugnata fornisce una motivazione, circa l'inverosimiglianza della tesi da essa sostenuta, che è astrattamente logica e congrua e dunque non è sindacabile in questa sede. Infatti, come ha chiarito il giudice del riesame, anche a voler qualificare il fatto contestato come estraneo alla fattispecie di cui all'articolo 10 quater D.Lvo numero 74/2000 - secondo la prospettazione dei Procuratore Generale - si tratterebbe di una ipotesi sicuramente assimilabile a quella astrattamente preveduta dall'articolo 640 comma 2° numero 1 c.p. La questione che si pone in proposito riguarda il rapporto tra il delitto di truffa e quello contemplato dall'articolo 10 quater citato. Si tratta di argomento che la giurisprudenza di questa Corte ha già affrontato, giungendo a conclusioni che il Collegio condivide e dalle quali non intende discostarsi. In una precedente decisione Sez. 2, numero 35968 del 20/5/2009, Cecconi, Rv. 245586 si è ritenuta la sussistenza dei concorso apparente di norme rilevando, in primo luogo, come il D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 10-quater,sia riferibile anche alle compensazioni riguardanti crediti previdenziali. E' stato in proposito affermato che il titolo della legge, riferito ai reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non è vincolante per l'interprete, richiamando l'attenzione sul riferimento, contenuto nell'articolo, al D.Lgs. numero 241 del 1997, articolo 17, il quale indica, tra i debiti e crediti suscettibili di compensazione, anche quelli relativi a contributi previdenziali e si riferisce agli importi non versati indicandoli come somme dovute , espressione volutamente priva di riferimenti al titolo del debito proprio in ragione del fatto della diversa tipologia di crediti e debiti oggetto di compensazione. Secondo la suddetta decisione, una diversa lettura della disposizione ne renderebbe ardua la concreta applicazione nel caso in cui venga portato in compensazione un credito fittizio incidente su partite debitorie fiscali e non fiscali, in quanto la compensazione viene effettuata sulla somma delle posizioni debitorie dei contribuente, senza distinzione tra debito fiscale e debiti di diversa natura. La richiamata sentenza rileva, inoltre, l'esistenza di un rapporto di specialità tra la truffa e la compensazione illecita, individuando l'elemento specializzante nella esatta individuazione della natura dell'artificio, consistente nella compensazione mediante crediti inesistenti o non dovuti e del soggetto passivo, effettuata attraverso il rinvio, definito recettizio e conchiuso , ai soggetti creditori indicati nel D.Lgs. numero 241 del 1997, articolo 17. Ad identiche conclusioni è pervenuta una successiva pronuncia Sez. 2, numero 22191 del 4/4/2014, Libertone, Rv. 259578 la quale, richiamando gli argomenti sviluppati nella precedente decisione, ha anche rilevato che il riconosciuto rapporto di specialità tra le due fattispecie esaminate si pone in linea con la decisione delle Sezioni Unite Sez. U, numero 1235 del 28/10/2010 dep. 2011 , Giordano, Rv. 248865 , che ha ritenuto configurabile un tale rapporto tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, articolo 2 ed 8 ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato articolo 640 c.p., comma 2, numero 1 , in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale, quale l'ottenimento di pubbliche erogazioni . Date tali premesse, deve rilevarsi che la qualificazione giuridica dei fatto effettuata nell'impugnata decisione appare corretta ed in linea con l'orientamento di questa Sezione cfr., da ultimo, Sez. 3, Sentenza numero 5177 del 2015, Travaglini . 3.2. Il secondo motivo si traduce in una critica alla valutazione delle prove da parte del Tribunale. Il ricorrente accenna ad un'accusa indimostrata nei confronti della Okcom si è resa responsabile anche in altre circostanze di emissione di fatture per operazioni inesistenti , che in realtà l'ordinanza ha tratto dall'informativa dell'Agenzia delle Entrate e che, in ogni caso, costituisce un ulteriore argomento a prova della mala fede, oltre agli altri specificamente enunciati mancata richiesta delle certificazioni bancarie e rapporto della Eurocell con la società cartiera Almak . Anche in tal caso, la lettura della motivazione induce questa Corte a ritenere dei tutto assolto l'obbligo di congruenza logico giuridica delle argomentazioni offerte a supporto della decisione. 3.3. II terzo motivo, infine, trascura di considerare che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo reputarsi l'ente una persona estranea al detto reato [Sez. 3, numero 6205 del 29/10/2014 dep. 11/02/2015 Rv. 262770]. In altri termini, nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attività criminosa l'attualità e la concretezza del pericolo sono insite nell'utilizzo dei denaro corrispondente alle somme sottratte all'Erario. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.