Consultandum, ci siamo (o quasi)

Il verdetto è servito, e con contenuti che autorizzano un facile pronostico di immediata risonanza mediatica. Fa d’uopo, tuttavia, attendere la lettura della motivazione.

Parola del Presidente. L’agognato verdetto della Corte Costituzionale sul c.d. Italicum è arrivato, ma l’attesa non è finita. Lo ha detto subito, e senza alcun’esitazione, il Presidente del Collegio Paolo Grossi, ammonendo già ieri sull’indefettibilità di dare la lettura della motivazione, indipendentemente dalla decisione promessa per questa mattina, poi slittata al pomeriggio, al termine di una lunga camera di consiglio. Nessuna politicizzazione. La lettura del dispositivo rectius del comunicato dell’Ufficio stampa della Corte sollecita alcune brevi annotazioni tecniche, senza cedere a facili seduzioni di politicizzazione della sentenza. Del resto, un dato si deve ritenere fuori discussione i giuristi chiamati a vagliare la legittimità costituzionale del c.d. Italicum lo hanno fatto con vigile attenzione al pericolo di strumentalizzazioni ideologiche, naturalmente secondo i limiti e le modalità delle ordinanze di rimessione e le connotazioni tipiche del procedimento dinnanzi alla Consulta. Lo si è visto, con immediatezza, nelle parole rivolte agli avvocati comparsi in udienza, sollecitati ad evitare digressioni nel metodo come nel merito e a prediligere il metro della concinnitas . Le correzioni indicate dalla Consulta. In questo contesto, i tredici Giudici della Corte costituzionale hanno accolto solo due delle questioni sollevate quella relativa al turno di ballottaggio, tacciato di incostituzionalità per le conseguenti aporie sistematiche, in termini di disuguaglianza tra Camera e Senato, e quella relativa alla discrezionalità del capolista nella scelta del collegio di elezione. In conseguenza di ciò, il sistema riveniente dalle censure è un nuovo sistema con premio di maggioranza conferito alla lista o coalizione che raggiunga almeno il 40% dei voti al primo ed unico turno . Più dettagliati gli effetti della seconda illegittimità riscontrata dalla Corte, relativamente alla necessità di non consegnare al capolista eletto in più collegi la scelta del collegio dove insediarsi in applicazione dell’articolo 85 d.P.R numero 361/1957, recante il Testo Unico delle Leggi Elettorali, «Il deputato eletto in più circoscrizioni deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione quale circoscrizione prescelga. Mancando l'opzione, si procede al sorteggio». Nessuna delega al Parlamento. Tra i delusi si potranno di certo annoverare coloro i quali attendevano che la Consulta desse la parola al legislatore, guidandolo con saggi consigli nella riscrittura della legge elettorale. Questo non è accaduto, perché «la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione». Occorre nondimeno precisare che la lettura della sentenza potrà riservare preziose glosse al legislatore che ne volesse trarre beneficio. Il vacuum. Facile pronostico è l’impasse che molti commentatori rileveranno nel silenzio della Corte su altre questioni sottoposte al suo sindacato. In verità, il giurista meno acerbo sa bene che assai spesso il senso di vuoto che si avverte in un provvedimento, sia esso legislativo o giurisdizionale, può avere grande rilievo, finanche un significato opposto. Non sempre, però, la scelta di non dire deriva dal merito di una questione, perché talvolta deriva semplicemente dal metodo. Così, l’appello alla lettura della motivazione, che ha aperto l’attesa di questa storica sentenza, finisce per concludere questa lunga giornata, con la pace negli animi o quasi .

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