Via libera della CEDU all’accesso dei detenuti ad Internet per frequentare corsi

Negare l’accesso ad Internet ad un detenuto che voglia curare la propria istruzione, anche in vista di un suo reinserimento sociale, è un’interferenza arbitraria, non necessaria in una società democratica ed in netto contrasto con l’articolo 10 Cedu. Rispetto ad altri analoghi casi già esaminati, nella fattispecie analizzata la censura statale riguardava non già la possibilità di reperire e scambiare informazioni online, bensì il mezzo per accedervi.

È quanto deciso dalla CEDU nel caso Jankovskis comma Lituania ricomma 21575/08 del 17 gennaio 2017. Il caso. Un detenuto chiese alle autorità penitenziarie di accedere al sito istituzionale del locale Ministero dell’istruzione, come suggerito dallo stesso, per avere informazioni sull’iscrizione e sulla frequenza di corsi universitari in giurisprudenza. L’accesso gli fu negato e tale divieto fu confermato dalle Corti interne che respinsero tutti i suoi ricorsi. I giudici rilevarono che il divieto di accedere ad Internet non era espressamente previsto dalla legge, ma ricavabile dal divieto per i detenuti «di scambiare comunicazioni radio-telefoniche» e di detenere i relativi mezzi di comunicazione cellulari, etc. . L’autorizzazione sarebbe stata perciò un abuso di potere ed avrebbe inficiato la lotta alla criminalità, oltre a causare problemi di sicurezza interna i secondini non potevano infatti garantire un adeguato controllo delle attività online dei detenuti. Quadro normativo internazionale. Nell’analogo caso Kalda comma Estonia del 19 gennaio 2016 sono state indicate le norme internazionali sull’esecuzione della pena e la rimozione delle barriere Regole adottate dal Consiglio dei ministri del COE nel 2006 e nel 2003 e sulle libertà di comunicazione e di acceso ad Internet Raccomandazione 6/14 e relazione del Consiglio dei diritti umani del 16/5/11 A/HRC/17/27 , considerate diritti fondamentali è possibile, perciò, limitare l’accesso alla rete solo per fini legittimi, non ravvisabili, però, in entrambe le fattispecie. Inoltre il CTP nel suo rapporto del 13 aprile 1992 ha notato che un soddisfacente programma di attività sport, istruzione, lavoro etc. è cruciale per il benessere dei detenuti sia condannati in via definitiva che in custodia cautelare. Non dovrebbero, infatti, essere lasciati languire in cella, ma dedicare almeno 8 ore al dì a queste attività. Nessuna censura per il carcerato che vuole istruirsi. La CEDU rileva come il pubblico, vista la crescente rilevanza sociale di Internet, riconosciuto dal COE e dalle organizzazioni internazionali come un servizio pubblico ed uno strumento per il godimento di diritti fondamentali recentemente è sorto un filone di diritto relativo alle libertà del web in continua evoluzione , abbia diritto ad accedere ad informazioni di pubblico dominio. L’articolo 10, però, non prevede alcun obbligo generale per i detenuti di accedere ad Internet od a particolari siti. Nella fattispecie il punto focale, come detto, non è il divieto di accedere ad informazioni di pubblico dominio, quanto piuttosto la censura del mezzo di accesso alle stesse. L’unico modo per ottenere informazioni in continua evoluzione sui programmi, sugli sbocchi occupazionali e per poter frequentare i corsi era accedere alla rete ed al sito istituzionale del Ministero dell’Istruzione. La richiesta, quindi, era nel suo interesse ad avere un’educazione ed una formazione professionale che ha una grande rilevanza anche per la sua riabilitazione e per il suo futuro reinserimento sociale e soddisfaceva le menzionate condizioni per il benessere del carcerato Mironovas e altri comma Lituania dell’8 dicembre 2015 . La volontà del ricorrente di conseguire la laurea è chiara e, dunque, è irrilevante il fatto che agli abbia superato alcuni corsi di inglese ed informatica organizzati da una scuola di formazione professionale in carcere non gli doveva essere tolta la possibilità di laurearsi. Non sono dunque pertinenti le giustificazioni addotte sull’incremento di costi gravanti sullo Stato in caso di accesso dei detenuti ad internet. L’accesso ad Internet è un diritto. Come detto, lo Stato può limitare tale diritto solo in pochi tassativi casi Delfi AS v. Estonia [GC] del 16 giugno 2015 e le moderne politiche statali ed internazionali sono volte a superare il «divario digitale», tanto che vi sono specifici programmi dell’UE per concedere fondi strutturali per conseguire tale fine. La CEDU rileva inoltre come il divieto non avesse alcuna base legale, in quanto la legge limitava lo scambio di corrispondenza e di comunicazioni telefoniche, sì che violava la certezza del diritto, tanto più che non c’era giurisprudenza sul punto e sulle richieste di accesso a siti istituzionali per fini educativi. Le autorità penitenziarie ed i giudici interni non sono stati in grado di giustificare adeguatamente e concretamente queste restrizioni, non avendo nemmeno preso in considerazione un accesso limitato visto che il sito era istituzionale e perciò c’era uno scarso rischio per la sicurezza non erano giustificate, quindi, da alcun fine legittimo e necessario in una società democratica.

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