I luoghi di lavoro, benché luoghi nei quali si svolgono atti della vita privata, di per sé non possono considerarsi “luoghi di privata dimora”, in quanto generalmente accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto.
La vicenda. La sentenza in commento numero 4744/18, depositata il 1° febbraio , nel dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato per manifesta infondatezza, ha avuto modo di effettuare una corretta applicazione dei principi espressi recentemente dalle Sezioni Unite secondo cui i luoghi di lavoro, benché siano certamente luoghi nei quali si svolgono atti della vita privata, di per sé non possono considerarsi “luoghi di privata dimora”, in quanto «i luoghi di lavoro generalmente sono accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto» Cass. Penumero , SS.UU. numero 31345/17 . Intercettazioni? Si è inoltre specificato che le videoriprese non costituiscono intercettazioni di comunicazioni, poiché le immagini in quanto tali non rappresentano comportamenti comunicativi, in senso proprio, poiché non “captano” la parola ciò potrebbe essere effettuato dalla registrazione vocale, che però è cosa diversa dalla semplice immagine, registrazione che oltretutto nel caso di specie era stata opportunamente pretermessa dal materiale probatorio utilizzato ai fini della condanna. Da qui si è concluso per la piena utilizzabilità di riprese video assai compromettenti per l’imputato, riprese utilizzate per corroborare la testimonianza della persona offesa, costituita parte civile, risultata pienamente attendibile dai giudici di merito. Alla luce di tali principi, la Corte ha avuto facile gioco di dichiarare inammissibile il ricorso presentato per manifesta infondatezza, nel presupposto che le lagnanze denunciate dal punto di vista motivazionale e dei presupposti argomentativi in realtà non corrispondevano alla realtà processuale. In conclusione. Come commento finale non vi è molto da aggiungere alla sentenza in questione, risultando i suoi principi condivisibili e ragionevoli oltre che sufficientemente chiari. Del resto, le riprese di atti delinquenziali di per sé costituiscono documenti e non anche intercettazioni, specie se la telecamera è da tempo installata e per fini non connessi allo specifico procedimento penale in corso. Sarebbe oltretutto alquanto strano lamentarsi di essere stati ripresi o, meglio, “sorpresi” sul luogo di lavoro a compiere cose diverse da quelle che si dovevano svolgere id est le mansioni lavorative solo perché si stava compiendo un reato. Dopo tutto, anche la difesa non procede senza ragione.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2017 – 1 febbraio 2018, numero 4744 Presidente Savani – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 6/12/2016, la Corte di appello di Bologna confermava la pronuncia emessa l’11/10/2012 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, con la quale M.S. era stato giudicato colpevole del delitto di cui agli articolo 81 cpv., 609-bis, 61, numero 11 cod. penumero , e condannato con rito abbreviato alla pena di nove mesi e dieci giorni di reclusione allo stesso era contestato di aver costretto una giovane donna a subire con violenza gli atti sessuali di cui alla rubrica, con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di relazioni di prestazione d’opera. 2. Propone ricorso per cassazione il M. , a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi inosservanza dell’articolo 191 cod. proc. penumero in riferimento alle registrazioni effettuate dalla parte civile all’interno del domicilio lavorativo dell’imputato violazione ed erronea applicazione degli articolo 14 Cost., 189 cod. proc. penumero . La Corte di appello avrebbe dichiarato interamente utilizzabili le riprese video/audio di cui in premessa, pur essendo state compiute in ambiente domiciliare e, quindi, tutelato ai sensi della normativa richiamata sul punto, peraltro, e nonostante una solo formale distinzione operata già dal primo Giudice, si sarebbe applicata la medesima disciplina alle riprese comunicative ed a quelle non comunicative, utilizzando ai fini della decisione tanto le immagini quanto il sonoro, nonostante il carattere privato e protetto del luogo in cui tali riprese erano avvenute. E con la precisazione, a tale ultimo riguardo, che il domicilio in esame costituirebbe, quanto al ricorrente, un luogo sì deputato allo svolgimento dell’attività professionale, ma con il requisito della stabilità, della non apertura al pubblico richiedente una apprezzabile permanenza ancorché contingente sì da risultare necessaria quella tutela che solo un provvedimento dell’autorità giudiziaria, nelle forme prescritte dal codice di rito, potrebbe superare. Del pari, non potrebbe trovare ingresso neppure l’istituto della prova atipica di cui all’articolo 189 cod. proc. penumero , pur richiamato nelle sentenze, non potendosi questa fondare su un’attività vietata dalla legge, come nel caso di specie carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla inutilizzabilità patologica delle stesse videoregistrazioni. La sentenza non avrebbe valutato che le immagini in questione rappresenterebbero soltanto spezzoni, artatamente selezionati e ricomposti dalla parte civile, come tali inidonei a far comprendere il contesto delle riprese utilizzate, si ribadisce, in forma video ed audio sul punto, la motivazione del provvedimento risulterebbe carente, sì da dover essere annullato carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riguardo alla condotta di reato, per come emerge dalle videoregistrazioni in esame. La Corte di merito avrebbe affermato che tali riprese costituirebbero elemento di conferma alle parole della parte civile, sebbene ciò non si ricaverebbe affatto dalle stesse immagini, che non avrebbero alcun connotato sessuale, né violento o minatorio a pag. 11 del gravame sono richiamati analiticamente i diversi video interessati dalla doglianza . Con piena illogicità della motivazione, quindi, ancora da annullare inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 192 cod. proc. penumero quanto all’attendibilità della parte civile vizio motivazionale. La sentenza avrebbe confermato la credibilità della ragazza con percorso argomentativo censurabile e, soprattutto, senza dar conto di elementi istruttori fondamentali evidenziati dalla difesa che sarebbero stati liquidati con una generica affermazione di irrilevanza orbene, tali non potrebbero esser considerati i profili attinenti 1 alla personalità della parte civile che artatamente aveva cercato di precostituirsi una prova , 2 alla circostanza che la stessa aveva presentato querela solo dopo esser stata licenziata per scarso rendimento lavorativo, 3 al contenuto di talune deposizioni, come quella della teste D.R. al tentativo suggestivo, da parte ancora della parte civile, di riferire il venir meno del rapporto lavorativo con il prevenuto di un’altra ragazza con circostanze comunque riferibili alla presente vicenda mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto alla sussistenza della condotta di reato. Di questa, invero, difetterebbero i profili strutturali, atteso che le riprese video/audio risulterebbero ben lontane dal rivestire gli elementi oggettivi e soggettivi di violenza sessuale . Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. Con riguardo alle prime due doglianze di carattere processuale, da trattare congiuntamente attesane la comune identità di ratio ed oggetto, osserva la Corte che la sentenza impugnata ha innanzitutto evidenziato che le videoriprese in esame erano state effettuate dalla parte civile all’interno degli uffici del ricorrente riprese, ancora, operate in orario lavorativo ed aventi ad oggetto, sia pur saltuariamente, anche persone diverse dall’imputato e dalla ragazza, sebbene comunque impiegate nei medesimi ambienti. Muovendo da questa premessa, la Corte di merito ha dunque affermato che tali registrazioni non erano avvenute all’interno di un domicilio, sì da non poter godere della speciale protezione di cui all’articolo 266, comma 2, cod. proc. penumero , più volte richiamato nel gravame. Ancora, ed in adesione a quanto già rilevato dal primo Giudice, il Collegio ha evidenziato che le immagini in esame avevano riguardato comportamenti certamente non comunicativi quali carezze, baci, abbracci gesti che di per sé non possono certamente essere considerati come finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero . La difesa ha contestato tale assunto, sostenendo che i locali in oggetto non avrebbero una destinazione esclusivamente lavorativa , ma dovrebbero esser considerati quale privata dimora del ricorrente, avendo per quest’ultimo il requisito della stabilità e della apprezzabile permanenza del pari, il gravame ha qualificato tali ambienti come domicilio riservato ove stavano e si muovevano solo soggetti titolati nella loro presenza unicamente per lo svolgimento di attività a servizio dell’imputato stesso . Quanto al profilo contenutistico , poi, si è contestato che tali videoriprese fossero state ritenute interamente utilizzabili , quindi anche per la parte audio, sebbene in senso difforme si fosse già espresso il primo Giudice, salvo poi contraddittoriamente motivare la sentenza anche utilizzando le parole evincibili dalle stesse immagini. 4. Orbene, le censure difensive non possono trovare accoglimento. Sotto un primo profilo, deve qui ribadirsi unitamente alla Corte di merito il costante e condiviso indirizzo a mente del quale costituiscono prove atipiche ai sensi dell’articolo 189 cod. proc. penumero , con conseguente inapplicabilità della disciplina sulle intercettazioni, le videoriprese di comportamenti non aventi contenuto comunicativo effettuate in luogo lavorativo non rientrante nella nozione di domicilio privato , dovendosi intendere, invece, per comportamenti comunicativi, solo quelli finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero mediante la parola, i gesti, le espressioni fisiognomiche o altri atteggiamenti idonei a manifestarlo tra le altre, Sez. 6, numero 52595 del 4/11/2016, F., Rv. 268936 Sez. 5, numero 11419 del 17/11/2015, Davanzo, Rv. 266373 in tal senso, anche la fondamentale Sez. U, numero 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234270, e giurisprudenza successiva, in forza della quale le riprese video di comportamenti non comunicativi non possono essere eseguite all’interno del domicilio , in quanto lesive dell’articolo 14 Cost. Ne consegue che è vietata la loro acquisizione ed utilizzazione anche in sede cautelare, e, in quanto prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall’articolo 189 cod. proc. penumero esattamente il principio riconosciuto dal G.i.p. con la prima sentenza, e ribadito dal Collegio di merito con la decisione qui in esame, con argomento dunque non censurabile da questa Corte. Quanto precede, peraltro, con la rilevante precisazione che la stessa difesa non ha contestato il carattere non comunicativo delle immagini in oggetto, che risulta pertanto pacifico la doglianza, infatti, concerne solo l’utilizzo delle parti espressamente comunicative di questo materiale ossia l’audio , che però occorre evidenziare sono state opportunamente pretermesse già dal primo Giudice pag. 6, per questo motivo nella parte narrativa non si è neppure riassunto il contenuto delle conversazioni videofilmate , salvo poi esser recuperate pag. 7 , sia pur con la precisazione che trattavasi di registrazioni del tutto secondarie nell’economia della decisione . 5. In questo contesto, peraltro, non può trovare adesione neppure la tesi per la quale i locali di cui trattasi dovrebbero esser considerati come privata dimora, come domicilio riservato , quindi inviolabile in assenza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria giova qui rilevare, infatti, che le Sezioni unite di questa Corte, con recentissima e condivisa pronuncia numero 31345 del 23/3/2017, D’Amico, Rv. 270076 , hanno affermato ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’articolo 624-bis cod. penumero Furto in abitazione , ma con valenza di carattere generale che i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Più in particolare, il Supremo Collegio ha rilevato che È indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata. Ma ciò non è sufficiente per affermare che tali luoghi rientrino nella nozione di privata dimora I luoghi di lavoro, generalmente, sono accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto ad essi è quindi estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla intrusione altrui. Si pensi agli esercizi commerciali o agli studi professionali o agli stabilimenti industriali accessibili a un numero indeterminato di persone, che possono pertanto prendere contatto e non solo visivo con il luogo senza alcun filtro o controllo. L’attività privata svolta in detti luoghi avviene a contatto con un numero indeterminato di altri soggetti e, talvolta, in rapporto con gli stessi. Con riferimento ad essi è, pertanto, fuor di luogo parlare di riservatezza o di necessità di tutela della sfera privata dell’individuo Potrà, quindi, essere riconosciuto il carattere di privata dimora ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento . Orbene, nessun elemento istruttorio ricavabile dalla sentenza impugnata o dal gravame, estremamente generico sul punto luogo della stabilità , della apprezzabile permanenza consente di affermare che gli uffici nei quali il ricorrente svolgeva la propria attività costituissero anche luoghi nei quali non occasionalmente lo stesso consumava atti della propria vita privata, nei termini indicati. 6. Tutto quanto precede, peraltro, a giudizio della Corte merita di esser letto anche sotto un’ottica differente, ma non di minor spessore, che ben emerge da entrambe le sentenze di merito e che il gravame non considera affatto ovvero, la pressoché completa irrilevanza probatoria delle videoriprese in oggetto, più volte ribadita in sede di merito poco più che sconclusionate per il G.i.p. e, peraltro, ampiamente sostenuta anche nel ricorso La condotta riportata nelle videoregistrazioni è ben lontana dal rivestire gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di violenza sessuale . In altri termini, le doglianze qui in esame non considerano che il materiale de quo è stato impiegato dai Giudici del merito quale mero elemento di conferma alle parole della persona offesa, ritenute già ex se ampiamente sufficienti a fondare un giudizio di penale responsabilità e non bisognevoli di tali riscontri quand’anche espunte dal tessuto probatorio, quindi, le citate videoriprese in nulla potrebbero incidere sulla portata logico-argomentativa della sentenza, che resisterebbe nella sua interezza e risulterebbe ancora immeritevole di ogni censura. Quel che, pertanto, priva di ogni rilievo anche la seconda doglianza, con la quale si deduce che la Corte di merito non avrebbe motivato con riguardo al carattere montato/selezionato/ricomposto delle immagini, come rimaneggiate dalla parte civile trattasi, infatti, di un profilo meramente asserito, del tutto astratto ed ipotetico e, comunque, irrilevante quanto alla prova del commesso reato. Quel che, di seguito, impedisce di valutare anche le considerazioni di cui al terzo motivo, con le quali enfatizzando oltremodo la veste assegnata dalla Corte di merito a queste immagini, quasi come strumento indefettibile di conferma alle parole della parte civile il ricorrente analizza il contenuto di numerosi video, ciascuno numerato, per poi concludere, comunque, che i relativi comportamenti sono privi di alcuna valenza sessuale orbene, si tratta all’evidenza di una doglianza inammissibile in questa sede, atteso che, attraverso la stessa, il gravame tende ad ottenere una nuova e diversa valutazione dello stesso materiale istruttorio già esaminato dai Giudici del merito. Quel che, pacificamente, non è consentito alla Corte di legittimità al riguardo, infatti, occorre ribadire che il controllo di questo Giudice sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, Sez. 6, numero 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 3, numero 12110 del 19/3/2009, Campanella, numero 12110, Rv. 243247 . 7. Il sostanziale giudizio di irrilevanza probatoria che il Collegio di appello ha assegnato alle videoriprese si misura poi in via speculare con il rigoroso e congruo giudizio di piena attendibilità che la stessa Corte, come già il primo Giudice, ha compiuto con riguardo alla persona offesa, redigendo anche sul punto una motivazione del tutto adeguata in particolare, le sentenze in esame da leggere congiuntamente, attesa la cd. doppia conforme hanno valorizzato i caratteri propri delle parole della ragazza, qualificate come logiche, coerenti, costanti, oltre che non inficiate da sentimenti di astio od animosità. Ancora, si è evidenziata l’assenza di qualsivoglia elemento inutilmente ad colorandum o volto ad enfatizzare gli aspetti più significativi della vicenda, che ben la querelante avrebbe potuto inventare, qualora mossa soltanto da un intento calunnioso la giovane, infatti, ha riferito soltanto di un bacio violentemente rubato, oltre che di condotte lascive quali abbracci ed altri baci non graditi e non voluti . Del pari, già il primo Giudice aveva sottolineato l’assenza di benefici che la giovane avrebbe potuto trarre da un atteggiamento non veritiero, dovendosi bilanciare il vantaggio economico rilevabile dalla costituzione di parte civile, del tutto potenziale, con la sgradita pubblicità che una vicenda del genere avrebbe di certo arrecato alla giovane. 8. Orbene, con tali argomenti le sentenze hanno fatto buon governo del principio, costantemente affermato in questa sede, in forza del quale le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, sì che non operano le regole dettate dall’articolo 192, commi 3 e 4, cod. proc. penumero , che richiedono la presenza di riscontri esterni che confermino l’attendibilità delle parole medesime tutto ciò, però, impone la verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, numero 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 successivamente, tra le altre, Sez. 2, numero 43278 del 24/9/2015, Manzini, Rv. 265104 . Questo principio, che trova applicazione sia in sede di merito che in quella cautelare tra le altre, Sez. 5, numero 5609 del 20/12/2013, dep. 4/2/2013, Puente Suarez, Rv. 258870 Sez. 5, numero 27774 del 26/4/2010, M., Rv. 247883 , non costituisce affatto l’affermazione di una presunzione di credibilità della persona offesa, ma, anzi, impone al Giudice di merito un severo e rigoroso vaglio della sua deposizione, da tradurre adeguatamente in motivazione, reso necessario alla luce dell’interesse di cui la stessa è naturalmente portatrice, specie se costituita parte civile, ed al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità delle sue parole Sez. 3, numero 40849 del 18/7/2012, Rv. 253688 Sez. 1, numero 29372 del 24/6/2010, Stefanini, Rv. 248016 . Vaglio di certo compiuto dai Collegi di merito, come da considerazioni che precedono. 9. Non solo. La sentenza gravata, contrariamente all’assunto difensivo, ha poi preso in esame anche le doglianze mosse alla prima decisione, sia con riguardo all’asserita possibilità che la persona offesa aveva di rivolgersi a terzi per evitare ulteriori condotte invasive ritenuta in sé irrilevante e, comunque, tale da non privare di alcuna logicità la scelta di sporgere poi querela , sia in relazione alla configurazione giuridica delle condotte, che congruamente sono state collocate nell’alveo dell’articolo 609-bis, ultimo comma, cod. penumero , ricorrendone i presupposti. Con riguardo, in particolare, a quest’ultimo profilo, la Corte di appello ha sottolineato che come da attendibili dichiarazioni della parte civile la stessa era stata baciata violentemente sulle labbra, quindi presa per il viso con forza , infine fatta oggetto di tentativi sempre ad opera del ricorrente di toccarla e nuovamente baciarla tutto ciò, pur a fronte di una espressa volontà contraria da parte della ragazza, peraltro già in precedenza evidenziata e seguita da un breve periodo libero da attenzioni morbose. Quel che, con motivazione congrua e non censurabile, è stato quindi qualificato come violenza sessuale. 10. In senso contrario, peraltro, non possono valere neppure le considerazioni di cui alla quarta doglianza, con le quali ancora in termini fattuali, quindi non ammissibili si introducono in questa sede plurime considerazioni di puro merito riportate analiticamente alla pag. 14 che questa Corte non può esaminare in ordine ad alcune delle quali, peraltro, il Collegio di appello si è già espresso ad esempio, circa il comportamento della ragazza in esito agli abusi , relegando le altre nella sfera dell’irrilevanza probatoria, qui da confermare attesi i caratteri ipotetici e generici con i quali le stesse deduzioni sono state rappresentate nel gravame a l’azione riferita alla ragazza di preparazione del terreno idonea alla presentazione della denuncia b la testimonianza D.R. , che si sarebbe limitata a non confermare la disperazione che avrebbe caratterizzato la vita lavorativa della parte civile nell’agenzia del ricorrente. Deposizione, peraltro, già esaminata congruamente dal primo Giudice, che peraltro aveva ricevuto confidenze sull’accaduto proprio dalla ragazza c l’ abile tentativo della stessa di creare una suggestione circa il licenziamento di un’altra collega . 11. In senso contrario alla configurabilità della condotta in rubrica, infine, non possono neppure apprezzarsi le deduzioni di cui alla quinta censura, con la quale, nuovamente, si tende a sminuire la portata probatoria delle videoriprese più volte menzionate, senza valutare che la sentenza di appello ha confermato la responsabilità del M. in forza delle decisive parole della persona offesa, ed alla luce dei caratteri di attendibilità che la presente doglianza solo in modo generico tenta di confutare. 11. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. penumero , l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. Segue la condanna alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in 3.500,00 Euro, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida in complessivi 3.500,00 Euro, oltre spese generali e IVA e CPA come per legge.