Responsabile il titolare di un ristorante per la caduta di una statua che colpisce un bambino

A inchiodare la ristoratrice è la precaria posizione del manufatto, alto circa un metro e settanta centimetri e pesante 60 chilogrammi. Ciò rende irrilevante la condotta imprudente del bambino, che aveva sollecitato la statua, arrampicandosi su di essa.

Dramma in un ristorante un bambino di neanche 4 anni, figlio di due clienti, si aggrappa e fa cadere una pesante statua in legno, che lo centra in pieno e lo uccide. L’imprudenza compiuta dalla giovanissima vittima non è sufficiente per escludere la responsabilità civile della titolare del locale, che, dopo il patteggiamento in sede penale, è condannata a risarcire i due genitori per il terribile lutto Cassazione, ordinanza numero 14422/21, sez. VI Civile - 3, depositata il 25 maggio . L’incidente si verifica, una sera d’estate del 2005, in un ristorante siciliano. Una statua di legno – alta circa un metro e settanta centimetri e pesante sessanta chilogrammi – finisce su un bambino – Paolo, nome di fantasia –, presente all’interno del locale assieme ai genitori che stavano cenando. Per il piccolo Paolo ogni soccorso si rivela inutile a causa dell’impatto e delle lesioni riportate, perde la vita, lasciando madre e padre straziati dal dolore. Per i due genitori non c’è null’altro da fare che citare in giudizio la titolare del ristorante , addebitando a lei – che ha già patteggiato in sede penale – la responsabilità per la morte del loro bambino. Per i giudici di merito è evidente la colpa della ristoratrice, condannata perciò a un corposo risarcimento in favore dei genitori di Paolo. In Cassazione, però, la titolare del locale prova a contestare le accuse a suo carico, sostenendo, in sintesi, che «il bambino aveva posto in essere una condotta imprevedibile , arrampicandosi sulla statua in legno o, comunque, sollecitandola e facendola cadere» Allo stesso tempo, però, la donna contesta anche il risarcimento riconosciuto ai due genitori di Paolo, ritenendo non provato il danno non patrimoniale richiamato sia in primo che in secondo grado. A queste obiezioni i giudici di terzo grado ribattono ritenendo provato «il rapporto di causalità tra il bene in custodia e l’evento dannoso». Su questo fronte, in particolare, viene richiamato un dettaglio ritenuto decisivo in appello «la statua presentava una propensione in avanti e una precaria collocazione, confermata dall’esistenza di piccoli vassoi in polistirolo per assestarne l’equilibrio», però «del tutto inadeguati per consistenza e dimensioni, in confronto alla significativa altezza e al rilevante peso del manufatto». Questi elementi sono decisivi, secondo i giudici, per ritenere acclarata la responsabilità della ristoratrice, pur a fronte della «condotta imprevedibile del minore che ha sollecitato la statua, arrampicandosi su di essa». Per quanto concerne il risarcimento , invece, dalla Cassazione ricordano che «la prova del danno può essere fornita anche con presunzioni semplici, riferita agli elementi fattuali dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio», e tale profilo è stato espressamente evidenziato in Appello, con riferimento al «notorio stravolgimento della vita familiare causato dalla perdita improvvisa di un figlio di meno di 4 anni» e ciò «sulla base dello stretto vincolo di parentela, dell’intangibilità della sfera degli affetti, dell’età della vittima e dei verosimili radicali cambiamenti dello stile di vita, conseguenti alla sofferenza interiore determinata dalla consapevolezza della perdita del rapporto parentale».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 12 gennaio – 25 maggio 2021, numero 14422 Presidente Amendola – Relatore Positano Rilevato che con atto di citazione del 13 marzo 2011, P.R. e T.R. evocavano in giudizio B.A. , davanti al Tribunale di Marsala, al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del figlio. Deducevano che, il giorno 31 luglio 2005, alle 22 40, mentre si trovavano con il figlio minore K. all’interno del locale Il ghiottone , di proprietà della convenuta, una statua di legno alta circa 1,7 mt e pesante 60 kg, era rovinata contro il piccolo K. il quale, a seguito di ciò, aveva perso la vita. In conseguenza dell’evento si era instaurato un procedimento penale a carico della B. , conclusosi con sentenza di patteggiamento del 31 maggio 2006 si costituiva B.A. nel giudizio civile di danni contestando la dinamica e il Tribunale di Marsala, con sentenza del 14 marzo 2014, accoglieva la domanda, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni e delle spese di lite avverso tale decisione B.A. proponeva appello con atto di citazione notificato il 23 maggio 2014 e si costituivano P.R. e T.R. chiedendo il rigetto del gravame la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 31 dicembre 2018, rigettava l’impugnazione, provvedendo sulle spese processuali avverso tale decisione B.A. propone ricorso per cassazione affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso P.R. e T.R. . Considerato che con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nnumero 4 e 5, la violazione dell’articolo 2051 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la statua avrebbe avuto piena efficienza causale nella determinazione dell’evento delittuoso, oltre che contraddittorietà della motivazione, violazione dell’articolo 2697 c.c. erronea interpretazione dei mezzi di prova ed erronea graduazione della responsabilità nel verificarsi dell’evento in violazione degli articolo 2048 e 1226 c.c. Secondo la ricorrente non ricorrerebbe alcun collegamento eziologico tra l’evento mortale e il bene in custodia. Incombeva sul danneggiato la prova del rapporto eziologico con il manufatto e le risultanze processuali avrebbero dimostrato che il piccolo K. aveva posto in essere una condotta imprevedibile, arrampicandosi o, comunque, sollecitando la statua in legno e facendola cadere con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 4, dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 1226 c.c., l’erroneità della decisione nella parte in cui ha ricompreso, nella voce del danno non patrimoniale, anche una serie di pregiudizi non richiesti con l’originario atto di citazione. Gravava sul danneggiato l’onere di dimostrare gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. Nel caso di specie, agli attori sarebbe stato riconosciuto un consistente risarcimento nonostante la mancata allegazione di elementi di prova tesi a dimostrare la effettività della lesione riportata nella sua consistenza il ricorso è destituito di fondamento. Il primo motivo non si confronta con la decisione impugnata, perché pur prendendo le mosse dal principio secondo cui incombe sul danneggiato la prova del rapporto di causalità tra il bene in custodia e l’evento dannoso, non considera che la Corte ha evidenziato che la statua presentava una propensione in avanti e una precaria collocazione, confermata dall’esistenza di piccoli vassoi in polistirolo per assestarne l’equilibrio , evidentemente del tutto inadeguati per consistenza e dimensioni, in confronto alla significativa altezza e al rilevante peso del manufatto. Tali elementi dimostrano implicitamente, secondo il giudice di appello, l’efficienza causale della res al contrario, gli ulteriori elementi fattuali ribaditi dalla ricorrente condotta imprevedibile del minore che avrebbe sollecitato la statua, arrampicandosi sulla stessa , sono stati espressamente presi in esame ed esclusi dal giudice di merito, con valutazione non sindacabile in questa sede e neppure specificamente contestata il secondo motivo è infondato. A prescindere dall’assoluta genericità della censura, non ricorre l’ipotesi di omessa pronunzia, adombrata con tale motivo, poiché, sulla base della giurisprudenza richiamata dalla ricorrente Cass. Sezioni Unite numero 26972 del 2008 la prova del danno può essere fornita anche con presunzioni semplici, riferita agli elementi fattuali dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. E tale profilo è stato espressamente evidenziato dalla Corte, con riferimento allà/ notorio stravolgimento della vita familiare causato dalla perdita improvvisa di un figlio di meno di quattro anni e ciò sulla base dello stretto vincolo di parentela, dell’intangibilità della sfera degli affetti, dell’età della vittima e dei verosimili radicali cambiamenti dello stile di vita, conseguenti alla sofferenza interiore determinata dalla consapevolezza della perdita del rapporto parentale la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex articolo 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo cfr. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 3767 del 15/02/2018 e da ultimo, Cass. Sez. 3, numero 25843 del 13/11/2020 ne consegue che il ricorso deve essere rigettato le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis Cass., sez. unumero , 20/02/2020, numero 4315 , evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame v. Cass. 13 maggio 2014, numero 10306 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 7800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1–bis, se dovuto.