Lite a ‘quattro ruote’ tra assessore e cittadino, che viene convocato in Comune: politico condannato

Confermata l’ipotesi di tentata concussione, perpetrata dall’esponente della giunta nei confronti del cittadino. Quest’ultimo è stato addirittura convocato negli uffici comunali, alla presenza del Comandante dei Vigili urbani, e sottoposto ad una richiesta di denaro per ‘chiudere’ senza problemi la vicenda.

Scena da Italia piccola piccola, da commedia di quart’ordine banale litigio, per ragioni di circolazione stradale, tra due uomini, ma uno dei due è un assessore comunale che subito minaccia ritorsioni nei confronti del semplice cittadino, sfruttando, evidentemente, la propria carica istituzionale. A corredo arriva prima la convocazione forzata negli uffici comunali per il cittadino, e poi addirittura la richiesta, nei suoi confronti, di un ‘obolo’ – originariamente 4mila euro, ridotti successivamente a 700 euro – per ‘chiudere’ la vicenda. Inevitabile la condanna dell’esponente dell’amministrazione comunale per il reato di tentata concussione Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza numero 20024/14, depositata oggi . Posizione di forza. Linea di pensiero chiarissima, quella adottata dai giudici di primo e di secondo grado assolutamente inequivocabile la condotta tenuta dall’esponente della giunta di un piccolissimo Comune del Nord Italia. Cristallina la ricostruzione della vicenda l’assessore, «a seguito di un litigio» con un uomo per «ragioni di circolazione stradale», gli ha «prospettato la possibilità di presentare querela» e «di esercitare ritorsioni» grazie alla propria «carica istituzionale». Significativa, a questo proposito, la «convocazione» del cittadino negli «uffici comunali», per giunta alla presenza del «Comandante della Polizia locale». Altrettanto rilevante, poi, il fatto che l’assessore abbia chiesto all’uomo «una somma di denaro» per «non tenere tale condotta negativa» nei suoi confronti. Tale versamento non si è concretizzato solo perché il cittadino ha chiesto e ottenuto «l’intervento dei Carabinieri», i quali «al momento del pagamento» hanno provveduto «all’arresto in flagranza» dell’assessore comunale. Ebbene, tali valutazioni vengono condivise e ‘sigillate’ dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ritengono risibile la tesi difensiva secondo cui «non vi era stata alcuna condotta tesa ad ingenerare timore» nel cittadino, anche perché con la semplice carica di assessore non si è «in grado di influire negativamente». Su questo punto, però, è bene tener presente, ribattono i giudici, che il nodo gordiano non è lo «specifico ruolo istituzionale», bensì la «capacità di ingenerare timore» nel cittadino, alla luce della posizione di forza. E tale capacità non è assolutamente in discussione esemplare, a questo proposito, il fatto che l’assessore era riuscito ad ottenere «la presenza del Comandante dei Vigili urbani» in occasione della convocazione forzata del cittadino.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 febbraio – 14 maggio 2014, numero 20024 Presidente Garribba – Relatore Di Stefano Motivi della decisione Con sentenza dei 5 febbraio 2013 la Corte di Appello di Milano confermava la condanna disposta dal Tribunale di Como il 26 gennaio 2010 nei confronti di F.G. per il reato di tentata concussione. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il ricorrente, assessore per il tempo libero della Giunta Comunale di Alserio, a seguito di un litigio con tale F.G. per ragioni di circolazione stradale, aveva prospettato a quest'ultimo la possibilità di presentare querela nei suoi confronti nonché di esercitare ritorsioni in ragione della sua carica istituzionale, condizione ribadita mediante la convocazione del F. presso gli uffici comunali, anche in presenza del comandante della polizia locale. E, per non tenere tale condotta negativa nei confronti del F., chiedeva una somma di denaro che inizialmente quantificava in euro 4000 e, poi, riduceva ad euro 700. La consegna era fissata per il giorno 28 ottobre 2009 ma non era effettuata per l'intervento dei carabinieri, nel frattempo avvisati dalla persona offesa, che al momento dei pagamento procedevano all'arresto in flagranza di F. La Corte, rilevato che i motivi di appello riproponevano le tesi difensive sulle quali già si era pronunziato il primo giudice, riteneva di condividere la decisione di primo grado valutava comunque gli argomenti difensivi dando atto che gli stessi erano apertamente smentiti dagli elementi acquisiti. Confermava anche che, in base alle prove raccolte, la condotta tesa a porre la vittima in stato di soggezione era basata sulla condizione di forza rappresentata dal suo ruolo. Avverso tale sentenza propone ricorso F.G. con atto a firma del difensore rilevando che erroneamente è stata pronunciata condanna in quanto gli elementi accertati dimostravano l'infondatezza delle accuse, in particolare quanto alla condotta del F. che, dopo aver rischiato di investire il ricorrente che per questa ragione cadeva a terra, lo insultava anche in ragione della sua qualità di assessore. Inoltre, non vi era stata alcuna condotta tesa ad ingenerare timore per la qualifica nel F. che, in quanto assessore al tempo libero, non era in grado di influire negativamente il F. si era liberamente determinato a risarcire il danno per evitare le conseguenze di un procedimento penale. Il ricorso è inammissibile. Tutti gli argomenti posti dalla difesa tendono a chiedere la ripetizione del giudizio di merito, con apprezzamento delle prove raccolte, attività non consentita in questa sede. L'unica deduzione di un possibile errore logico è rappresentata dalla affermazione che lo specifico ruolo istituzionale non consentiva al F. di tenere, e quindi di minacciare, condotte in danno della persona offesa. Sul punto, però, la sentenza impugnata ha dato convincente risposta non è in questione lo specifico ruolo, bensì la capacità di F. di ingenerare timore per il ruolo istituzionale svolto nel contesto del Comune. Tale ruolo aveva consentito anche di avere la presenza dei comandante del vigili urbani alla convocazione della vittima per rafforzare il metus. Valutate le ragioni della inammissibilità la pena pecuniaria va liquidata nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.