Finto esportatore abituale: truffa o frode fiscale?

Solo se c’è l’ottenimento di pubbliche erogazioni rimborso dell’imposta , la condotta fraudolenta diretta all’evasione non ricade più tra le fattispecie penali tributarie in tema di frode fiscale ma in quella della truffa aggravata ai danni dello Stato.

Al Corte di Cassazione, con la sentenza numero 18094 del 30 aprile 2014, afferma che in tema di punibilità della simulazione dello status di esportatore abituale, se a titolo di truffa aggravata ai danni dello Stato o di frode fiscale, occorre tenere presente l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite numero 1235/2010 , salva la cassazione delle decisioni di merito espresse in difformità, così come avvenuto ai danni dell’ordinanza del Tribunale di Libertà di Cosenza che respingeva il riesame chiesto dall’indagato di truffa per il sequestro dell’equivalente disposto nei suoi confronti. Il caso. Più precisamente, il capo d’imputazione e la conseguente applicazione della misura cautelare venivano fatti discendere dal Tribunale da una falsa dichiarazione del contribuente tesa a far figurare la qualità di esportatore abituale della società di cui era rappresentante legale, al fine di conseguire “indebiti vantaggi in tema di IVA ed altri fatti in danno dell’erario”. Ma, come sollevato nel ricorso esperito vittoriosamente dal contribuente in Cassazione, la fattispecie mancava del fumus della truffa aggravata, tenuto presente che tale delitto è possibile solo ove vi sia stato un “atto di disposizione” della PA, che ricorre nella sola ipotesi di indebito rimborso di imposta, evenienza esclusa, nei fatti di causa, dallo stesso addebito provvisorio. Truffa o frode fiscale? La Cassazione, che ha deciso la causa con la sentenza del 30 aprile 2014, numero 18094, ha, infatti, affermato che è configurabile un “rapporto di specialità” tra le fattispecie penali tributarie in tema di frode fiscale ex articolo 2 e 8 D.Lgs. numero 74/2000 ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato ex articolo 640 comma 2 numero 1 c.p., esaurendo ogni “condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale” il proprio “disvalore penale” all’interno della prima normativa, quella speciale, salvo il caso che dalla condotta “derivi un profilo ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni”. Per gli Ermellini, la sentenza del Tribunale che non chiarisce se l’ipotesi di truffa che ha dato adito al sequestro dell’equivalente è autonoma o meno rispetto ai reati tributari in ordine alla realizzazione del profitto, né puntualizza i criteri di commisurazione del profitto medesimo all’imposta evasa, è da annullare. Ai giudici del rinvio resta ora il compito di verificare se sussiste o meno il concorso tra i reati ipotizzati, se c’è margine per il sequestro per l’equivalente e stabilire la conseguente commisurazione dello stesso. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 – 30 aprile 2014, numero 18094 Presidente Carmenini – Relatore Macchia Osserva Con ordinanza dell'11 luglio 2013, il Tribunale di Cosenza ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell'interesse di G.F. avverso l'ordinanza applicativa del sequestro funzionale alla confisca per equivalente emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rossano il 20 giugno 2013, in relazione ad un procedimento a carico del medesimo indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato in rapporto ad una falsa dichiarazione tesa a far figurare la qualità di esportatore abituale della ditta Prodex s.r.l. di cui era legale rappresentante, in concorso con altri, al fine di conseguire indebiti vantaggi in tema di IVA ed altri fatti in danno dell'erario. Propone ricorso per cassazione il difensore il quale, rinnovando censure già dedotte in sede di riesame, deduce la tardività dell'avviso effettuato a mezzo di telegramma inviato il 5 luglio 2013, in quanto a suo dire la ricezione dello stesso sarebbe avvenuta il giorno 8 luglio e quindi senza che fosse rispettato il termine di tre giorni rispetto alla celebrazione della udienza, avvenuta l'11 luglio 2013. Si deduce, poi, la insussistenza del fumus in ordine al reato di truffa aggravata, alla luce della giurisprudenza di legittimità che si è espressa in tema di rapporti tra il delitto di truffa e quello di frode fiscale. In particolare si osserva che mentre nella fattispecie della truffa l'agente tende ad ottenere un aumento del proprio patrimonio, nella vicenda in esame, come risulta dallo stesso capo di imputazione, si contesta di aver voluto evitare una diminuzione patrimoniale senza che fosse stato posto in essere alcun atto di disposizione da parte della amministrazione dello Stato. Il concorso tra truffa e frode fiscale è dunque possibile solo ove vi sia stato un atto di disposizione patrimoniale da parte della pubblica amministrazione circostanza, questa, che può ricorrere soltanto nella ipotesi in cui vi sia stato un indebito rimborso di imposta da parte della amministrazione. Evenienza, quella appena descritta, che nella specie sarebbe esclusa dallo stesso addebito provvisorio. Non sussisterebbe poi neppure la condotta fraudolenta, in quanto la consulenza tecnica di parte avrebbe evidenziato la falsità della firma apposta in calce alla dichiarazione di intenti, così come falsi sarebbero i timbri e contrassegni. Si deduce, poi, che il capo di imputazione si sia limitato a dedurre la esistenza di una truffa, ma non si specifica se poi il relativo evento di danno si sia verificato. Infine, si lamenta la circostanza che non si puntualizzi nulla in merito alla impossibilità di eseguire una confisca diretta del profitto, giacchè la misura per equivalente è di carattere residuale. La eccezione in rito è infondata in quanto questa Corte ha reiteratamente avuto modo di affermare che in tema di notificazioni a mezzo telegramma, ex articolo 149 cod. proc. penumero , nel procedimento di riesame, il termine di tre giorni liberi di cui all'articolo 309, comma ottavo, cod. proc. penumero , decorre dal momento della ricezione, da parte del destinatario, del telegramma contenente l'avviso della data fissata per l'udienza è onere della parte che contesti la tempestività della comunicazione provare l'intempestiva ricezione del telegramma. Sez. 1, numero 21372 del 14/05/2008 - dep. 28/05/2008, Fabrizio, Rv. 240095 . Pertanto, non essendo stata fornita prova alcuna da parte del ricorrente dell'asserito ritardato recapito del telegramma recante l'avviso della udienza, attraverso idonea certificazione dell'ente incaricato del recapito, l'avviso stesso deve ritenersi tempestivo. Nel merito, il ricorso è però fondato. Con riferimento alla specifica ipotesi che viene qui in discorso questa Corte ha in passato affermato che è configurabile il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato articolo 640, comma secondo, numero 1, cod. penumero qualora il soggetto ricorra all'espediente della simulata qualità di esportatore abituale - mediante l'artificiosa costituzione del c.d. plafond, ottenuto attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti -, al fine di conseguire il regime agevolato dell'IVA sulle merci acquistate, con conseguente possibilità di rivenderle a prezzi maggiormente competitivi, in quanto la mancata percezione di somme rilevanti costituisce atto di disposizione da parte dell'Erario, sub specie di rinuncia all'esazione dell'importo dovuto, con evidente nocumento patrimoniale in diretta dipendenza causale dagli artifici o raggiri posti ire essere dall'agente. Sez. 5, numero 21307 del 22/03/2005 - dep. 07/06/2005, Bencivenga, Rv. 232286 . Tuttavia, successivamente, le Sezioni Unite, in tema di rapporti tra il delitto di truffa aggravata e reati tributari ugualmente connotati da una condotta fraudolenta, hanno avuto modo di puntualizzare che è configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale articolo 2 ed 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74 ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato articolo 640, comma secondo, numero 1, cod. penumero , in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale, quale l'ottenimento di pubbliche erogazioni. La Corte, richiamando il cosiddetto principio di assimilazione sancito dall'articolo 325 del T.F.U.E., ha precisato che le predette fattispecie penali tributarie, repressive anche delle condotte di frode fiscale in materia di I.V.A., esauriscono la pretesa punitiva dello Stato e dell'Unione Europea perchè idonee a tutelare anche la componente comunitaria, atteso che la lesione degli interessi finanziari dell'U.E. si manifesta come lesiva, in via diretta ed indiretta, dei medesimi interessi . Sez. U, numero 1235 del 28/10/2010 - dep. 19/01/2011, Giordano ed altri, Rv. 248865 . Ne deriva, pertanto, che la decisione impugnata deve essere annullata in parte qua, non avendo i giudici della impugnazione incidentale chiarito se 1 'ipotesi di truffa, sulla quale si è sostanziato ed ha trovato base normativa il sequestro per equivalente, si presenti autonoma o meno rispetto ai reati tributari quanto a realizzazione del profitto, puntualizzando altresì i criteri di commisurazione del profitto medesimo in ragione della imposta evasa, tenendo altresì conto degli approdi cui è di recente pervenuta questa Corte in una recente pronuencia delle Sezioni Unite, non ancora massimata Cass., Sez. Unumero , numero 10561 del 30 gennaio 2014, depositata il 5 marzo 2014, Gubert . L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Cosenza perché tenga conto delle richiamate pronunce di questa Corte e delle conseguenze che ne scaturiscono, tanto sul versante del concorso tra i reati ipotizzati, che, di riflesso, in merito alla base normativa sulla quale fondare la possibilità di un sequestro per equivalente e, in caso affermativo, dei parametri di commisurazione dell'ammontare del sequestro stesso. P.Q.M. Annulla l'impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Cosenza.