Dequalificazione professionale? No, se le attività svolte corrispondono a quanto previsto dal CCNL

Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive e, cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.

È quanto previsto nella sentenza della Corte di Cassazione numero 7123 del 26 marzo 2014. La fattispecie. La Corte d’Appello di Milano rigettava la domanda di risarcimento danni proposta da un uomo nel confronti dell’INPS sul presupposto della dequalificazione professionale verificatasi nei suoi confronti. Questo perché le mansioni a cui egli era addetto erano tutte pertinenti al suo inquadramento, secondo le qualificazioni contrattuali di riferimento. L’uomo ricorre in Cassazione, dolendosi della mancata considerazione delle specifiche mansioni proprie della posizione di riferimento. Inquadramento di un lavoratore subordinato in tre fasi. La Suprema Corte ritiene, anzitutto, doveroso precisare che nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive e, cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. Tale procedimento deve essere seguito anche se si tratti di individuare, ai fini dell’accertamento di un eventuale demansionamento, la pertinenza delle mansioni svolte ad una determinata posizione funzionale. Corrispondenza tra mansioni svolte e inquadramento posseduto. La Corte di Cassazione ritiene che, sulla base dell’istruttoria effettuata, i Giudici di merito avevano correttamente ritenuto che la gestione autonoma di pratiche di iscrizione e gestione contributiva delle aziende presuppone proprio quella capacità di operare orientando il proprio contributo professionale all’ottimizzazione del sistema tipico del gestore di processo inquadrato nella posizione propria del ricorrente. Di conseguenza, le mansioni svolte corrispondevano all’inquadramento posseduto, così come delineato nella normativa contrattuale di riferimento. Il ricorso, quindi, non può che essere respinto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 febbraio – 26 marzo 2014, numero 7123 Presidente Miani Canevari – Relatore Bandini Svolgimento del processo Con sentenza del 13.10-22.12.2010 la Corte d'Appello di Milano, in riforma della pronuncia di prime cure, rigettò la domanda di risarcimento danni proposta da R.G. nei confronti dell'Inps sul presupposto della dequalificazione professionale verificatasi nei suoi confronti. La Corte territoriale, essendo il R. , già vincitore di concorso per la ex VIII qualifica funzionale e, quindi, inquadrato nella posizione C3, ritenne, sulla scorta dell'esperita istruttoria, che le mansioni a cui il R. era addetto fossero tutte pertinenti al suo inquadramento, alla stregua delle qualificazioni contrattuali di riferimento. Avverso l'anzidetta sentenza, R.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L'intimato Inps ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione o falsa interpretazione della normativa contrattuale, nonché vizio di motivazione, deduce che le caratteristiche proprie della posizione C3, presupposta la conoscenza di tutte le fasi del processo, sono individuabili nell'esercizio, all'interno del team, di una sorta di attività di indirizzo, di scambio di informazioni, un ruolo propositivo nella gestione delle varianze per risolvere i problemi della clientela, la responsabilità piena riferita direttamente agli obiettivi/risultati individuali e del gruppo di lavoro e si duole che la Corte territoriale non abbia riconosciuto l'esistenza di quei necessari indici di differenziazione dei compiti degli addetti alle unità di processo e alle aree professionali, posto che l'accorpamento nell'unica Area C delle precedenti VII, VIII e IX qualifica funzionale non poteva aver comportato il venir meno di precise specificità professionali tra il profilo C1 e quello C3. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di legge, nonché vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale abbia ricostruito le mansioni svolte sulla base delle dichiarazioni testimoniali di un solo teste, non considerando il complesso delle risultanze processuali acquisite anche con le altre testimonianze, alla luce delle quali doveva riconoscersi l'assunto dell'affidamento di mansioni inadeguate al proprio livello di inquadramento. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell'articolo 52 dl.vo numero 165/01 in relazione all'articolo 2103 cc, il ricorrente ribadisce che la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere ad una attenta revisione delle dichiarazioni testimoniali e che, così facendo, avrebbe potuto accertare che le mansioni svolte non presentavano le caratteristiche previste dalla contrattazione collettiva, tanto da non distinguersi nei contenuti da quelle assegnate a colleghi inquadrati nella posizione inferiore C1. 2. I tre motivi, tra loro connessi, devono essere esaminati congiuntamente. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento logico - giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda l'accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell'inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce comunque giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione cfr, ex plurimis, Cass., 12744/2003 3069/2005 17896/2007 26233/2008 . Analogo procedimento deve dunque essere seguito anche allorché si tratti di individuare, ai fini dell'accertamento di un eventuale demansionamento, la pertinenza delle mansioni svolte ad una determinata posizione funzionale. 2.1 A tale criterio metodologico si è conformata la sentenza impugnata che, anzitutto, ha riconosciuto come, per quanto riguarda il contenuto professionale dell'area C, la caratteristica è la competenza a svolgere tutte le fasi del processo produttivo e che, per quanto riguarda la posizione economica C3, il gestore di processo si caratterizza per la capacità di gestire e regolare i processi di produzione sulla base di una visione globale dei processi produttivi della struttura organizzativa di appartenenza e per la conoscenza approfondita delle tecniche e delle metodologie necessarie per il governo del sistema aziendale, senza che ciò gli precluda, in ogni caso, la possibilità di svolgere funzioni comuni ed integrate nello stesso processo ha altresì accertato la Corte territoriale, con riferimento all'articolo 7 del contratto collettivo integrativo di ente 1998/01, che il personale dell'area professionale C è quello “in possesso di competenze integrate che opera direttamente nel processo produttivo e che, con riferimento alla posizione economica C3, è quello che integra e regola linee dell'intero processo produttivo o del team di lavoro in cui è inserito e nel quale opera in una logica di integrazione funzionale, mediante la gestione delle informazioni e/o l'applicazione delle metodologie necessarie per la risoluzione dei problemi . Sulla base dell'istruttoria acquisita la Corte territoriale ha quindi accertato che il R. , inserito nel processo aziende cioè del complesso di attività che riguarda tutti gli aspetti del rapporto contributivo, dalla fase costitutiva a quella conclusiva, compresa la gestione dei crediti ed il loro recupero, e tutti i rapporti di natura amministrativa e contabile nascenti dall'obbligo contributivo, giusta la circolare numero 17/99 dell'Istituto aveva operato in compiti consistenti nella gestione dei rapporti istituzionali con le aziende contribuenti, sia attraverso l'espletamento del servizio informativo e di risoluzione di problemi per telefono e allo sportello - a turno -, sia attraverso l'esame delle domande di iscrizione e della documentazione allegata a ciascuna, come pure di ogni ulteriore atto relativo alla vita fisiologica dell'azienda, cioè l'istruzione amministrativa delle pratiche di iscrizione, variazione di inquadramento e cessazione, portate alla firma del funzionario responsabile di processo ed inquadrato nella posizione economica C4 al termine dell'attività istruttoria. Sulla base di tale ricostruzione fattuale la Corte territoriale ha infine rilevato che - la gestione autonoma di pratiche di iscrizione e gestione contributiva delle aziende presuppone proprio quella capacità di operare orientando il proprio contributo professionale all'ottimizzazione del sistema tipico del gestore di processo inquadrato nella posizione C3 - le mansioni svolte corrispondevano all'inquadramento posseduto così come delineato dalla normativa contrattuale di riferimento. 2.2 Deve dunque riconoscersi che la sentenza impugnata ha fornito una puntuale e pertinente individuazione delle caratteristiche proprie delle mansioni attribuite alla posizione C3 e che, giusta l'accertamento fattuale delle mansioni in concreto espletate, appare corretta la valutazione della corrispondenza di dette mansioni con quelle proprie della posizione funzionale posseduta. 2.3 Sicché, dovendosi escludere la sussistenza dei denunciati errori di valutazione delle caratteristiche proprie della posizione all'esame, le censure svolte si risolvono nella critica della ricostruzione fattuale delle mansioni in concreto espletate e, in particolare, nel rilievo che tale ricostruzione sarebbe stata fondata sulle dichiarazioni di un solo teste, laddove altre acquisizioni testimoniali avrebbero condotto, secondo l'avviso del ricorrente, a diverse conclusioni. Osserva al riguardo il Collegio che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione al contempo deve osservarsi che, secondo il consolidato e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza - nonché di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti - spetta in via esclusiva al giudice del merito cfr, ex plurimis, Cass. numero 27464/2006 per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata cfr, ex plurimis, Cass., nnumero 824/2011 13783/2006 11034/2006 4842/2006 8718/2005 15693/2004 2357/2004 12467/2003 16063/2003 3163/2002 . Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse cfr, ex plurimis, Cass., numero 12121/2004 . Nel caso all'esame la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici le vantazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un'opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio cfr, ex plurimis, Cass., nnumero 14212/2010 14911/2010 . In definitiva, quindi, le doglianze dei ricorrenti si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità. 2.4 I motivi all'esame non possono dunque essere accolti. 3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in complessivi Euro 3.600,00 tremilaseicento , di cui Euro 3.500,00 tremilacinquecento per compenso, oltre accessori come per legge.