E’ il giudice a “misurare” la pena in caso di mancato versamento dell’assegno divorzile

In caso di violazione del pagamento dell'assegno divorzile, è il giudice a graduare la pena da comminare.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 12307 del 14 marzo 2014. La vicenda. Un uomo veniva condannato a 8 mesi di libertà controllata e ad una pena pecuniaria perché ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo articolo 12 sexies Legge divorzio, per essersi sottratto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento da versare alla moglie posto a suo carico dalla sentenza di divorzio. Proponeva ricorso per cassazione ritenendo che inadempimento dell’obbligo di mantenimento era dovuto alle sue cagionevoli condizioni di salute e alla difficoltà di trovare un lavoro che gli permettesse di adempiere ai suoi obblighi. Confermato il giudizio di responsabilità dell’ex marito. La Corte conferma la responsabilità ascritta al ricorrente, quindi l’inadempimento dell’obbligo imposto dalla sentenza divorzile, e soprattutto la mancata prova in giudizio dell’impossibilità di provvedere al mantenimento della ex. Posto ciò, l’aspetto interessante che la Corte ha evidenziato riguarda invece la pena applicata. Nel caso è stata applicata al ricorrente contestualmente, sia la pena detentiva, sostitutiva della libertà controllata, che quella pecuniaria,e, a parere dei giudici di legittimità ciò comporterebbe l’annullamento della decisione con riguardo proprio alla pena comminata. Una rideterminazione della pena obbligata. In quanto la Corte evidenzia, come sancito anche in un precedente delle Sezioni Unite nel reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile previsto dall’articolo 12 sexies, l. numero 898/70, come modificato dall’articolo 21, l.numero 74/87,« il generico rinvio “quoad poenam” all’articolo 570 c.p., deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal 1 comma di quest’ultima disposizione, con la possibilità che sia il giudice a graduare la pena da comminare». Pertanto nel caso in oggetto, la contestuale condanna congiunta della pena detentiva e pecuniaria dà corpo ad una pena illegale, con conseguente annullamento della sentenza e rinvio al giudice competente per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 novembre 2013 – 14 marzo 2014, numero 12307 Presidente Milo – Relatore Paterno’Raddusa Ritenuto in fatto 1. P.G.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova con la quale, a conferma della decisione assunta in primo grado dal Tribunale della stessa città, il ricorrente è stato condannato a mesi 8 di libertà controllata ed Euro 200,00 di multa perché ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 12 sexies legge 898/70 per essersi sottratto alla corresponsione dell'assegno di mantenimento da versare alla moglie posto a suo carico dalla sentenza di divorzio, a far tempo dal febbraio 2003 in permanenza. 2. Sette i motivi di ricorso. 2.1. Si adduce con il primo motivo la mancata assunzione di prova decisiva e violazione degli articolo 190 cpp, 237 e 238, II comma cpp, 468 cpp, 493 e 495 II comma Cpp. La Corte di appello ha fondato il proprio convincimento guardando al comportamento -tenuto dal ricorrente prima del divorzio - di sistematico inadempimento dell'obbligo di mantenimento indicato nel corso della separazione. Ma il ricorrente, coinvolto quale amministratore nel fallimento di due diverse società di capitali, si era recato in OMISSIS a lavorare per provvedere al pagamento degli obblighi assunti con le predette curatele in ragione di una transazione con la quale le due procedure avevano rinunziato alle azioni di responsabilità nei confronti del P. stesso. Ammesso e non concesso che abbia rilievo il comportamento pregresso del P. rispetto al reato contestato, questo era stato motivato dalla esigenza di evitare le conseguenze penali correlate a tali profili di responsabilità rispetto ai quali il ricorrente aveva deciso di sacrificare le pretese economiche della ex moglie. Da qui la decisività dei verbali, non acquisiti dalla Corte, inerenti le testimonianze dei due curatori fallimentari sentiti sul punto nel corso del processo civile di divorzio. E decisiva doveva ritenersi la CTU resa nel procedimento ex articolo 9 comma I legge 898/70 volta ad accertare le condizioni di salute del ricorrente dopo l'infarto del 2002, avuto riguardo alle sue effettive capacità lavorative, considerato che attestava la perdita da parte del P. della parte più rilevante della propria attitudine al lavoro. Del resto, non emergevano profili in rito che non giustificavano tale acquisizione ai sensi del combinato disposto di cui agli articolo 238 cpp e 495 comma II. E sia i testi assunti nel processo civile come anche il CTU nominato nel giudizio ex articolo 9 citato avevano reso le rispettive attività processuali sotto giuramento, si che non era dato comprendere cosa potessero affermare di diverso nel processo penale se ritualmente citati. Mai poi l'imputato avrebbe potuto rispettare i tempi ex articolo 468 cpp, perche la relazione del CTU in sede di processo civile venne depositata successivamente alla detta scadenza. 2.2 Motivi due, tre, quattro. Violazione di legge ex articolo 12 sexies legge 898/70 e dell'articolo 507 cpp Illogicità manifesta della decisione. La Corte ha fatto riposare il suo convincimento su fatti pregressi, legati al periodo della separazione, certamente estranei al reato contestato, con valutazione sfalsata in ragione della mancata assunzione dei verbali di acquisizione delle prove testimioniali assunte nel processo civile. Non ha considerato che, licenziato e poi ammalatosi, il ricorrente, quasi integralmente aveva perso la capacità lavorativa, non riuscendo più a trovare occupazione, come comprovato dalla documentazione acquisita in atti e dalle deposizione testimoniali. La Corte non aveva poi distinto tra capacità reddituale e capacità lavorativa, confondendo i due momenti. Pur permanendo in parte quest'ultima, la prima era nei fatti venuta meno per ragioni contingenti, estranee alla volontà del ricorrente, impedendogli l'adempimento. Si aggiunga l'illogicità del motivare nella parte in cui la Corte ascrive al ricorrente, sulla base di mere congetture, il peso economico affrontato dalla convivente per l'acquisto della casa di sua proprietà, malgrado documentalmente emergesse il contrario il mutuo contratto e omettendo di acquisire la prova legata alla deposizione di tale ultimo soggetto cui poteva addivenirsi ex articolo 507, valutazione nella specie pretermessa. 2.3 Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge avuto riguardo agli articolo 75 comma III e 82 II comma cpp. Diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di appello nel giudizio civile, la parte civile costituita aveva esercitato azione quantomeno in parte coincidente con quella resa nel processo penale, non dovendosi distinguere tra i danni materiali patiti in conseguenza alla manca corresponsione delle somme divorzili e la richiesta articolata in sede civile in forza della decisione legata al divorzio. 2.4 Con il sesto motivo si adduce violazione di legge con riferimento alla denegata sospensione condizionale, esclusa sul presupposto di un prospettato rischio di recidevanza valutato obliterando le difficoltà incontrate nell'adempiere dal ricorrente e in aperta contraddizione con l'applicazione della sanzione sostitutiva della libertà controllata che presuppone per contro una prognosi di segno opposto, favorevole al ricorrente. 2.5 Con il settimo motiva si lamenta la mancata applicazione dell'indulto, negato per ragioni che andavano ascritte alla durata del processo protrattosi oltre la entrata in vigore della legge 241/06. Considerato in diritto 3. IL ricorso riposa su motivi infondati, in alcuni profili in limine alla inammissibilità radicale. La sentenza tuttavia va comunque annullata in ragione della riscontrata, d'ufficio, illegalità della pena comminata per le ragioni precisate da qui a poco. 4. La sentenza di primo grado riposa sulle seguenti considerazioni. Per quanto segnalato con doppia valutazione conforme dai Giudici del merito, il ricorrente non ha mai pagato l'assegno divorzile, in linea peraltro con il precedente comportamento tenuto nel corso della separazione dal 1993 al 2003 quando era certamente dotato di capacità lavorativa e reddituale. Sarebbe altresì incontroverso che nel 2002 ebbe a patire un infarto ma l'istruttoria espletata ha dato conferma che,seppur ridotta, la capacità lavorativa non fosse esclusa a priori tant'è che gli stessi testi della difesa ebbero a confermare che nel periodo successivo sono stati affidati al ricorrente altri incarichi, seppur più modesti. L'imputato ha inoltre percepito somme ingenti per il rapporto di lavoro definito, senza mai ottemperare ai propri obblighi. Le stesse, più attuali, condizioni di vita hanno portato la Corte territoriale a riscontrare sul piano. Illogico una potenzialità reddituale diversa da quella cartolare tali da consentirgli di contribuire al mantenimento, come dimostrato dall'acquisto da parte della convivente, di una casa con fondi non idoneamente comprovati, anzi di presumibile provenienza da disponibilità dello stesso ricorrente. La Corte ha poi ritenuto infondata la chiesta revoca della costituzione di parte civile della moglie perché, pur se esercitata azione civile successivamente a quella svolta in sede penale, la stessa afferiva a causa petendi e petitum diversi. Non meritava il ricorrente il beneficio della sospensione condizionale perché la persistenza della condotta nel tempo lasciava coerentemente pensare ad una prognosi sfavorevole rispetto alla possibile futura recidiva mentre l'indulto non poteva essere applicato per la protrazione della condotta fin dopo la introduzione della legge 241/2006. 6. In ragione di tanto, le doglianze sollevate in ricorso non colgono nel segno. 6.1. Il primo motivo di appello è radicalmente assorbito dalla assenza di decisività delle prove assertivamente pretermesse. Per quanto sopra segnalatola linea portante della decisione impugnata è fornita dal certo inadempimento all'obbligo imposto in forza alla sentenza divorzile nonché dalla assenza di elementi tali da ritenere il ricorrente assolutamente impossibilitato a provvedere in tal senso, dato questo piuttosto contraddetto da una residua capacità lavorativa che malgrado l'infarto, avvenuto nel 2002, già nel ritenere della difesa, aveva consentito al P. di ottenere nuovi, seppur meno rilevanti, incarichi lavorativi. Questa la struttura della decisione assunta, è di tutta evidenza che il dato probatorio pretermesso, destinato a cadere su circostanze preesistenti alla condotta contestata e comunque non controverse nella stessa valutazione dei decidenti quanto alla ridotta capacità lavorativa del ricorrente non è comunque tale da destrutturare gli elementi fondanti la soluzione adottata. E del resto non sembra superfluo rimarcare che già il primo giudice aveva reso una valutazione di irrilevanza dei temi probatori pretermessi a chiusura di altri profili in rito che ne avevano giustificato la reiezione e che l'appello non conteneva un esplicito motivo diretto a contrastare le decisioni istruttorie non ricavabili per la asetticità del rilievo, dalle mere conclusioni di cui al punto 1 del relativo ricorso sia in ordine a siffatta valutazione di rilevanza sia in punto ai rilievi in rito oggi esplicitati con il ricorso in cassazione. Da qui, se non la inammissibilità radicale del motivo di gravame, quantomeno la manifesta infondatezza dello stesso. 6.2 Parimenti infondati sono i motivi di ricorso dal due al quattro. La responsabilità ascritta al ricorrente è adeguatamente conclamata dalle indicazioni argomentative sopra rassegnate. Guardando ai profili in contestazione, una volta che siano date per certe - la presenza dell'inadempimento all'obbligo imposto dalla sentenza divorzile - la mancata prova acquisita in processo di una effettiva e radicale assoluta impossibilità di provvedere ed anzi - incontroversa la presenza di elementi logici destinati a comprovare la sussistenza, in capo al ricorrente, di una disponibilità finanziaria e reddituale gli incarichi di minor spessore conferiti dopo l'infarto gli importi versati a titolo di indennità di fine rapporto tanto premesso, ecco che la linea dorsale del giudizio di responsabilità legato al reato contestato appare adeguatamente tracciata nei suoi tratti essenziali mentre le ulteriori osservazioni rese dalla Corte di merito, legate ai contegni del ricorrente precedenti alla condotta in contestazione nonché alla riferibilità al suddetto dell'immobile acquistato dalla nuova compagna, sulle quali si incentrano le censure sollevate in ricorso dalla difesa, lungi dall'assumere decisività nel portato finale della soluzione adottata, rappresentano piuttosto una chiave di lettura, ultronea, condivisibile ma non essenziale, della continuità del comportamento inadempiente ascrivibile al P. , tenuto indifferentemente lungo la fase di separazione e di divorzio, prescindendo da una maggiore o minore disponibilità finanziaria e reddituale. 6.3 Quanto al motivo sub 5 osserva la Corte come la sentenza in disamina distingue tra azione esecutiva diretta alla riscossione dei ratei non versati e azione civile nel processo penale mossa in ragione della pretesa risarcitoria. Muovendo da tale lineare valutazione in fatto, non controvertibile in questa sede, si perviene alla coerente conclusione della indifferenza della iniziativa svolta in sede civile dalla parte civile costituita nel presente processo penale essendo quest'ultima funzionale alla prima pretesa, di fonte giudiziale, mentre quella articolata nel processo penale appare evidendemente estranea al titolo divorzile, in quanto volta al ristoro del nocumento patito per il mancato tempestivo godimento del dovuto, sul piano morale e materiale. 6.5 Non meno infondati si rivelano infine gli ulteriori motivi di ricorso. Il reato è contestato dal 2003 in permamenza e non sono emersi elementi utili a definire siccome anticipatamente chiusa la condotta prima della sentenza di primo grado, certamente successiva alla scadenza del termine di operatività della legge 241/06, per ciò solo non applicabile alla specie cfr in termini la sentenza nr 15587/11 di questa Corte . Quanto alla sospensione condizionale, poi, se è vero che sia l'articolo 164 cp che l'articolo 58 legge 689/81 fanno comunemente riferimento all'articolo 133 cp, per altro verso è incontrovertibile che la prognosi nel primo caso attiene alla possibile reiterazione della condotta in funzione della esclusione della efficacia esecutiva alla pena mentre nel secondo, ferma la pena, sostituita in toto dalla sanzione, la valutazione prognostica attiene alla sola capacità di questa ultima di realizzare comunque l'effetto garantendo un più idoneo reinserimento. Nessuna incompatibilità logica dunque può riscontrarsi tra le due valutazioni di segno opposto rese dalla Corte nel denegare il beneficio della sospensione a fronte della già concessa in primo grado sostituzione della pena con la libertà controllata. Da qui la infondatezza dei motivi di gravame. 8. Ciò malgrado va comunque disposto l'annullamento con rinvio della sentenza avuto riguardo alla pena applicata. Nel caso è stata applicata contestualmente al ricorrente sia la pena detentiva, sostituita dalla libertà controllata, che quella pecuniaria. Va tuttavia evidenziato che per quanto sancito da questa Corte a Sezioni unite con la sentenza 23866/13, resa successivamente alla stessa proposizione dei motivi di gravame nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dall'articolo 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, numero 898, come modificato dall'articolo 21 della legge 6 marzo 1987, numero 74, il generico rinvio, quoad poenam , all'articolo 570 cod. penumero deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest'ultima disposizione. In coerenza, la contestuale condanna congiunta alla pena detentiva e pecuniaria da corpo ad una pena illegale, rilevabile d'ufficio dalla Corte ex articolo 609 comma II cpp, con conseguete annullamento della sentenza con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.