Il bene assegnato ad un erede si considera come entrato nel suo patrimonio sin dall'inizio, ma esiste il diritto degli altri condividenti a vedersi indennizzati della mancata disponibilità dello stesso.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 5768/2013, depositata il 7 marzo. Il caso. Una donna, con testamento olografo, nominava unico erede il figlio convivente, stabilendo l’obbligo per quest’ultimo di dare ai fratelli ed alle sorelle la loro “giusta parte”, previo il recupero delle spese da lui sostenute per l’assistenza della testatrice. A rivolgersi al tribunale sono i fratelli e le sorelle che si erano visti estromettere dal testamento. Il tribunale, accertata la lesione della quota di legittima, assegnava in quote indivise la casa di civile abitazione bene caduto in successione , condannava il convenuto a rilasciare l’immobile ed a versare oltre 22mila euro a titolo di indennizzo per l’occupazione esclusiva del bene, condannava altresì gli assegnatari a corrispondere al convenuto oltre 149mila euro a titolo di conguaglio. Diritto all’indennizzo dei condividenti. Tuttavia, le cose cambiano dopo il giudizio di appello, dove l’immobile viene assegnato per l’intero all’appellante l’unico erede designato , condannandolo al pagamento dei conguagli in favore degli altri condividenti. Lo stesso presenta ricorso per cassazione, a cui hanno resistito le altre parti con controricorso. Il bene si considera come entrato nel patrimonio dell’assegnatario sin dall'inizio. La S.C., rigettando tutti i motivi di ricorso, ha avuto modo di affermare che, nella fattispecie si è assistito dapprima all'accertamento della lesione di legittima e quindi all'imputazione del valore del bene nella quota di disponibile spettante all’erede designato e successivamente, procedendo nelle operazioni divisionali, si è attribuito il medesimo bene al ricorrente. Ciò posto, dalle due operazioni - quella di riconduzione nel patrimonio della de cujus del bene ceduto al coerede, attuale ricorrente, e quella diretta all'attribuzione in sede divisionale del medesimo bene all’erede - discendono effetti diversi. «Dall'azione di riduzione», precisano ulteriormente gli Ermellini, «deriva la restituzione in natura del bene o la sua imputazione nella massa disponibile, con conseguente insorgenza del diritto degli altri condividenti di vedersi indennizzati della mancata disponibilità dello stesso sino dal momento della domanda dalla divisione, e dal conseguente effetto dichiarativo, deriva che, rispetto al condividente assegnatario, il bene si considera come entrato nel suo patrimonio sin dall'inizio». L'erede, nel possesso dei beni ereditari, è tenuto all’obbligo di rendiconto. Pertanto, non può essere messo in risalto il solo effetto dichiarativo della divisione per porre nel nulla la necessità che vengano indennizzati i mancati redditi di cui gli eredi avrebbero potuto godere nel caso in cui non vi fosse stata l'alterazione della quota di legittima, «tenuto conto della esclusiva disponibilità, medio tempore, del cespite da parte di chi poi se lo sarebbe visto assegnare».
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 gennaio – 7 marzo 2013, numero 5768 Presidente Oddo – Relatore Bianchini Svolgimento del processo I germani P.M. , M.G. , L. , G. nonché, in rappresentazione di P.T. , Mi.Gu. , R. , G. , M.A. , L. ed E. , citarono innanzi al Tribunale di Treviso P.D. nonché, ai fini dell'integrazione del contraddittorio, P.M.C. e R. , per sentir dichiarare la loro qualità di eredi legittimali rispetto alla successione di C.L. , vedova P. la quale, con testamento olografo del omissis , aveva nominato unico erede il figlio convivente D P. , stabilendo altresì l'obbligo del medesimo di dare ai fratelli ed alle sorelle la loro giusta parte , previo recupero delle spese dal medesimo sostenute dal 1971 per l'assistenza di essa testatrice per sentir predisporre un progetto divisionale e per sentir ricevere dal convenuto il rendiconto dell'uso dell'unico immobile — costituito da una casa di civile abitazione sita in omissis caduto in eredità, restato nel possesso del medesimo. Il convenuto si costituì, evidenziando che nella successione della madre L C. erano confluiti anche i beni provenienti dalle successioni del marito di costei L P. e del figlio M. , e chiedendo di conseguenza l'identificazione delle specifiche masse ereditarie in via riconvenzionale instò per il riconoscimento di un proprio credito che quantificò, in via indicativa, in lire 77.100.000, a fronte degli esborsi in favore della genitrice, e chiese che tutti gli eredi fossero condannati al relativo pagamento pro quota. Dichiarata la contumacia di P.M.C. e R. , effettuata l'istruttoria e predisposto progetto divisionale sulla base di consulenza tecnica di ufficio, l'adito Tribunale pronunziò sentenza numero 2713/2004 con la quale 1 — accertò la lesione della quota di legittima spettante agli attori, determinata dalle disposizioni del testamento della C. , e la indivisibilità dell'immobile caduto in successione 2 — assegnò in quote indivise tale fabbricato agli attori secondo le quote di spettanza 3 condannò il convenuto a rilasciare l'immobile ed a versare, a titolo di indennizzo per l'occupazione esclusiva del bene caduto in successione, la somma di Euro 22.129,00 oltre interessi sulle singole mensilità dall'aprile 1988 al saldo 4 condannò gli assegnatari a corrispondere al convenuto, a titolo di conguaglio, l'importo di Euro 149.450,50 oltre rivalutazione monetaria del 1 febbraio 2003 alla data di pubblicazione della sentenza ed al versamento degli interessi al saggio legale da tale data al definitivo saldo 5 — compensò le spese di lite e pose quelle di CTU a carico degli attori da una parte e del convenuto dall'altra, in ragione di metà per ciascuno. La Corte di Appello di Venezia, adita da P.D. , con sentenza numero 263/2009, in parziale riforma della gravata decisione, assegnò per intero l'immobile al predetto, condannandolo al pagamento dei conguagli in favore degli altri condividenti e compensò le spese del grado. La Corte veneziana pervenne a tale decisione I respingendo la censura con la quale era stata dedotta la inammissibilità della domanda, poi accolta, di riduzione, a cagione della mancata accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, secondo quanto disposto dall'articolo 564 cod. civ., osservando in contrario che tale disposizione sarebbe stata applicabile solo nel caso in cui gli eredi avessero inteso esercitare l'azione di riduzione nei confronti di terzi e non già se la stessa fosse rivolta contro un coerede II — ritenendo tempestiva la riproposizione di assegnazione esclusiva del cespite contenuta nell'appello e preferibile rispetto all'ipotesi di mantenimento di uno stato di comunione plurima da parte di tutti gli altri eredi, perché, calcolando il lascito nei limiti della disponibile, l'appellante sarebbe stato titolare di una quota superiore a quella spettante, singolarmente, agli altri eredi III — ritenendo altresì infondata la doglianza di erronea formazione del relictum — giustificata dal fatto che l'appellante si era lamentato di non aver ricevuto alcuna somma dalla vendita di un terreno, sito in , pervenuto alla de cujus per successione al figlio premorto M P. in contrario osservò il giudice dell'appello che la vendita a terzi recava la sottoscrizione dell'appellante anche per quietanza della somma ricevuta, e che detta quietanza non aveva formato oggetto di impugnazione per simulazione in ogni caso poi, se effettivamente i coeredi non avessero corrisposto al deducente la somma corrispondente alla di lui quota, ciò non avrebbe determinato una modifica del relictum ma, semmai, l'insorgenza di un diritto di credito, da far valere nei loro confronti in separato giudizio IV — riscontrando la parziale fondatezza della censura con la quale l'appellante si era doluto che il Tribunale non avesse ritenuto dimostrata l'esistenza di spese o elargizioni in favore della genitrice, osservando invece che dalle testimonianze sarebbero emersi indizi concludenti in merito alla sussistenza di tali esborsi che, quindi, potevano essere determinati in via equitativa in Euro 30.000,00 V ritenendo infondato il motivo di appello con cui si era censurato il riconoscimento della debenza di un canone di locazione per l'occupazione dell'immobile in Treviso in contrario rilevando che il Tribunale aveva determinato l'indennizzo sulla base di una valutazione equitativa rispetto alla quale il canone di locazione rappresentava un mero parametro di calcolo-anche in applicazione della disposizione di cui all'articolo 561 cod. civ. a mente del quale i frutti degli immobili oggetto della riduzione sono dovuti dal giorno della domanda così accogliendosi la domanda di rendiconto a suo tempo formulata da tale importo dovevano, secondo la Corte distrettuale, detrarsi le spese sostenute dall'appellante per la ristrutturazione o comunque per le migliorie apportate. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso P.D. , affidandolo a cinque motivi illustrati da memoria hanno resistito con controricorso le altre parti — ad eccezione di G P. ed E M. svolgendo altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi, anch'esse depositando memoria illustrativa le altre parti non hanno svolto difese con ordinanza interlocutoria si è disposta la notifica del ricorso incidentale ai ricordati G P. ed E M. . Motivi della decisione I — Va preliminarmente dato atto che nella sentenza impugnata R M. è erroneamente indicato come Mi.Ra. ciò al fine di procedere ad una corretta determinazione dei soggetti involti nel presente giudizio. II — Deve esaminarsi innanzi tutto, per priorità logica, l'argomentazione contenuta nel ricorso incidentale, con la quale i controricorrenti oppongono al fine di contestare il fondamento logico di tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del secondo, senza peraltro formulare sul punto ricorso incidentale ma solo una richiesta di modifica della motivazione della sentenza — di non aver mai chiesto la riduzione della quota di legittima in quanto la stessa disposizione testamentaria della de cujus, richiamando l'obbligo dell'istituito di pagare agli altri sette fratelli la loro giusta parte , avrebbe contenuto il riconoscimento del loro diritto alla quota di riserva. II/a Detta prospettazione difensiva non ha fondamento in quanto la sentenza del Tribunale di Treviso, il cui dispositivo è riportato a fol 5 del ricorso principale, espressamente qualificò la domanda degli eredi P. come di riduzione, accogliendola, e P.D. propose impugnazione sollevando, tra le altre, l'eccezione di inammissibilità della azione di riduzione per carenza dei suoi presupposti — mancata accettazione con beneficio dell'inventario ma non facendo valere l'erroneità della qualificazione della domanda contro di sé rivolta ne deriva che in difetto di specifica impugnazione sul punto tale capo di decisione non è più suscettibile di nuovo scrutinio. III — Con il primo motivo di ricorso principale viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 564 cod. civ. laddove, facendo riferimento alla conforme interpretazione di legittimità, si è ritenuta non necessaria l'accettazione con beneficio di inventario da parte del legittimario che sia anche coerede, quale condizione di proponibilità dell'azione di riduzione osserva in contrario il ricorrente principale con ciò formulando il quesito di diritto sul quale chiede, a' sensi dell'articolo 366 bis cpc, una pronunzia regolatrice di questa Corte che il generale onere di accettazione beneficiata al fine di far valere l'azione di riduzione trova un'eccezione solo allorché il legittimario assuma l'assoluta incapienza del relictum a soddisfare i propri diritti mentre, nella fattispecie, gli attori in riduzione avevano comunque percepito il prezzo per la vendita di beni — il terreno di OMISSIS per la quota pervenuta alla de cujus dalla successione dei figlio premorto M P. . III/a Il motivo è infondato. Va innanzi tutto messo in evidenza che la chiara lettera dell'articolo 564, I comma, cod. civ. — che statuisce che l'accettazione beneficiata, quale condizione di proponibilità dell'azione di riduzione, non è necessaria allorquando la lesione della legittima sia determinata da disposizioni in favore di coeredi è rispondente alla genesi storica dell'istituto che riconosce nella redazione dell'inventario quale elemento costitutivo dell'accettazione beneficiata una forma di tutela in favore del terzo, al fine di consentirgli di valutare la consistenza dell'asse ereditario per rendere effettiva la garanzia che esso rappresentava per il soddisfacimento delle obbligazioni a carico del de cujus impedendo che, d'accordo con i coeredi, si effettuino sottrazioni od occultamenti e s'invochi poi, di fronte ad estranei, l'insufficienza dei beni esistenti si assume dunque che detta esigenza non si ponga nel caso di azione esercitata nei confronti degli altri gli eredi che ben sono in grado di verificare la consistenza dell'asse. III/b Ribaditi i confini applicativi della norma va altresì rimarcato che la qualificazione della propria posizione come legatario, sostenuta nel ricorso da P.D. , non appare — dalla lettura degli atti ostensibili al controllo di legittimità aver costituito res controversa nei pregressi gradi di giudizio — né costituendo ineluttabile approdo logico dell'esame della disposizione di ultima volontà, ben potendo il tenore complessivo di essa essere interpretato in maniera diversa, quale ipotesi di attribuzione della qualità di erede in certis rebus, valorizzando dunque la clausola di chiusura di attribuzione agli altri successibili della loro giusta parte con ciò privando di nerbo argomentativo al riferimento alla richiamata qualifica di terzo del convenuto in riduzione. IV — Con il secondo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 cpc e dell'articolo 557 cod. civ. affermandosi, da un lato, che i giudici di merito si sarebbero pronunziati su un'azione di riduzione tardivamente proposta in primo grado e sulla quale non si era accettato il contraddittorio e, dall'altro, che neppure sarebbe stato rilevato — d'ufficio un ostacolo all'esercizio di siffatta domanda, rappresentato dalla rinunzia alla medesima da parte dei legittimali, contenuta in una dichiarazione successiva al decesso della C. . IV/a — Il primo rilievo deve essere risolto alla luce delle considerazioni fatte sopra in merito all'irrevocabilità della qualificazione della domanda il secondo profilo è inammissibile in quanto introducente una questione nuova — o, sotto diversa ottica senza che sia stato enunziato ove essa fosse stata sollevata nel giudizio di merito – in violazione oltretutto del principio di specificità del ricorso, avendo omesso parte ricorrente di riportare l'intero contenuto del rogito ove la rinunzia sarebbe stata consacrata — così determinando la contestazione delle parti controricorrenti che assumono la parzialità del richiamo contenuto nel ricorso e la non concludenza ai fini dell'accoglimento del motivo. V — Con il terzo motivo la parte ricorrente denunzia che la Corte distrettuale sarebbe incorsa in un vizio di motivazione — ritenuta ad un tempo come mancante, insufficiente e contraddittoria nel capo in cui ha liquidato le somme che esso ricorrente avrebbe dovuto versare a fronte dell'assegnazione del bene in sede divisionale, partendo da una non condivisibile determinazione del relictum e non considerando le spese sostenute e la mancata imputazione del ricavato — trattenuto dai coeredi della vendita di alcuni beni costituenti l'asse della defunta C. . V/a In particolare sottolinea il ricorrente che l'asse ereditario della defunta C. era costituito non solo dalla casa sita in via omissis — poi assegnatagli in sede divisionale ma anche delle quote di eredità del figlio di costei, M. , premorto,aventi ad oggetto immobili siti nel comune di i quali erano stati venduti a terzi dagli altri coeredi senza la corresponsione di alcunché al deducente in quanto le quote di spettanza sarebbero state dichiaratamente trattenute da S.L. e da M P. in attesa della definizione della presente causa del pari sarebbe mancato, nel computo del relictum, anche la quota di R P. e di P.C. che, prestando acquiescenza alle impugnate disposizioni testamentarie della C. , avrebbero determinato lo stabilizzarsi del diritto del deducente per la quota di loro originaria spettanza sulla casa di via . V/b Lamenta poi il ricorrente la metologia usata dalla Corte per l'assegnazione dei conguagli alle controparti, atteso che, da un lato gli esborsi, pure riconosciuti in via equitativa nella somma di Euro 30.000,00, sarebbero stati posti a carico della massa, così non rispettando la volontà della testatrice che aveva chiaramente indicato la prededucibilità degli stessi o comunque l'onere gravante sugli altri eredi di riconoscerli al deducente dall'altro che il CTU nel valutare, negli anni '80, l'immobile di via , non avrebbe tenuto conto che lo stesso sarebbe stato compiutamente restaurato a spese del deducente detta valutazione però, in mancanza di ulteriori lavori di manutenzione dopo quelli operati negli anni 70, avrebbe determinato un deterioramento, successivo alla stima del CTU, di cui non si sarebbe tenuto conto nell'attualizzazione del valore. V/c La censura si appalesa inammissibile in quanto non inquadra — neppure nella formulazione del quesito ex articolo 366 bis cpc il punto argomentativo dal quale sarebbe disceso il contestato risultato decisionale, riproponendo tutte le censure di merito svolte nel pregresso grado di giudizio e esaminate dalla Corte distrettuale. VI — Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 561 cod. civ., avendo la Corte veneziana riconosciuto una somma parametrata ai canoni di locazione intesi come frutti civili per la occupazione della casa di , ritenendo che ciò costituisse applicazione della norma suddetta, omettendo però di considerare che la stessa si riferisce alla diversa fattispecie in cui il bene — da cui deriverebbero i frutti civili è restituito nella disponibilità del legittimario pretermesso a seguito del vittorioso esercizio dell'azione di riduzione, mentre nel caso concreto sarebbe avvenuto l'opposto, essendo stata assegnata la casa al deducente, con la conseguenza che il diritto di credito, eventualmente spettante ai coeredi quale sostitutivo del valore del bene, avrebbe dovuto essere gravato solo degli interessi al saggio legale. VII — Con il connesso quinto motivo viene dedotta la violazione degli articolo 24 e 32 della L. 392/1978 per aver calcolato, il giudice dell'appello, nella determinazione dell'indennizzo in base ad un ipotetico canone di locazione, il c.d. aggiornamento ISTAT pur non essendovi stata domanda sul punto. VIII Nessuno dei due motivi è fondato. VIII/a Nella fattispecie si è assistito dapprima all'accertamento della lesione di legittima — prospettazione che, come visto, non è più suscettibile di ulteriore e diverso scrutinio e quindi all'imputazione del valore del bene nella quota di disponibile spettante a D P. e successivamente, procedendo nelle operazioni divisionali, si è attribuito il medesimo bene al ricorrente ciò posto però dalle due operazioni, pur essendo in un rapporto di conseguenzialità logica l'una quella di riconduzione nel patrimonio della de cujus del bene ceduto al coerede, attuale ricorrente rispetto all'altra — diretta all'attribuzione in sede divisionale del medesimo bene a D P. discendono effetti diversi dall'azione di riduzione deriva la restituzione in natura del bene o la sua imputazione nella massa disponibile, con conseguente insorgenza del diritto degli altri condividenti di vedersi indennizzati della mancata disponibilità dello stesso sino dal momento della domanda dalla divisione, e dal conseguente effetto dichiarativo, deriva che, rispetto al condividente assegnatario, il bene si considera come entrato nel suo patrimonio sin dall'inizio. VIII/b Ciò posto non può essere messo in risalto il solo effetto dichiarativo della divisione per porre nel nulla la necessità che vengano indennizzati i mancati redditi di cui gli eredi, agenti in riduzione, avrebbero potuto godere — pro quota in caso non vi fosse stata l'alterazione della quota di legittima, tenuto conto della esclusiva disponibilità, medio tempore, del cespite da parte di chi poi se lo sarebbe visto assegnare ne deriva che, in modo sostanzialmente condivisibile, la Corte territoriale ha ricondotto l'attribuzione dei frutti civili all'obbligo di rendiconto al quale è tenuto l'erede nel possesso dei beni ereditari, dovendosi relegare l'improprio richiamo all'articolo 561 cod. civ. ad una funzione di non necessario rafforzamento argomentativo di una motivazione di per sé già sufficiente a sostenere la decisione. VIII/c Quanto poi alla negata legittimità del cumulo tra frutti civili ed interessi legali va considerato — a parte la novità della censura in quanto in appello venne sindacata solo la decisione di liquidare il danno con riferimento ad un ipotetico canone di locazione che l'aver determinato l'indennizzo alla stregua di un canone di locazione non impediva al giudice di merito nell'ottica di una liquidazione equitativa di far salva la teorica periodicità della corresponsioni dei “canoni” e quindi di aumentarne mensilmente il valore con ricorso agli interessi legali in altri termini, la valutazione d'equità non riguardava solo la somma riconosciuta in via capitale ma involgeva anche la doverosità di un accessorio — gli interessi al saggio legale da corrispondere periodicamente in generale, circa il cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi nel caso di valutazione di un cespite oggetto di pronunzia di riduzione v Cass. Sez. II, numero 6709/2010 Cass. Sez. II, 10.564/2005 . VIII/d — Del tutto infondato appare poi il quinto mezzo, dal momento che, come messo in evidenza nella sentenza, il canone di locazione era solo un mezzo, da ritenersi congruo, di liquidazione forfettaria e equitativa della incidenza sul patrimonio degli altri eredi del pregiudizio derivante dall'uso esclusivo del bene da parte dell'odierno ricorrente, così che non vi era alcuna necessità di far stretto riferimento alle norme sulla locazione per scriminare il corretto uso della liquidazione stessa. IX Venendo all'esame del ricorso incidentale, viene eccepita la sua inammissibilità per difetto di rituale notifica, atteso che essa sarebbe stata eseguita dal procuratore delle controparti non rispettando le procedure stabilite dalla legge 53/1994 in particolare nella richiesta di notifica non si sarebbe fatto cenno dell'autorizzazione dell'ordine professionale né del numero della raccomandata. IX/a — L'eccezione non può trovare accoglimento in quanto l'articolo 11 della legge numero 53/1994 stabilisce la nullità delle notificazioni da essa disciplinate se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono state osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data di notifica nell'indicato testo legislativo non si rinviene però l'obbligo per il legale che, debitamente autorizzato dal Consiglio dell'Ordine, proceda a chiedere la notifica per il tramite del servizio postale, di apporre sulla relata di notifica l'indicazione di detta autorizzazione né il numero della raccomandata del resto risultante, nel caso di specie, sull'avviso di ricevimento restituito al mittente . X Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione o la falsa applicazione degli articolo 2697 cod. civ. 113, 114, e 115 c.p.c. nel capo di sentenza con il quale fu riconosciuto un credito di Euro 30.000,00 in favore del ricorrente, a fronte dei presumibili — ma non documentabili esattamente esborsi sopportati per la cura della defunta madre assumono i ricorrenti incidentali che non vi sarebbero stati gli estremi per un giudizio di equità, e che controparte neppure avrebbe richiesto una decisione secondo siffatto canone. XI — Con il secondo e connesso motivo di ricorso incidentale viene denunziato un vizio di motivazione nella sentenza laddove la Corte territoriale, nel pervenire alla contestata liquidazione degli esborsi in via equitativa, non avrebbe fatto riferimento a quegli elementi di fatto — emergenti già dalle produzioni documentali di primo grado-che avrebbero dimostrato la minore incidenza e necessità delle pretese spese sostenute dal ricorrente in favore della genitrice. XII La prima doglianza non è fondata perché, come messo in evidenza dalla sentenza della Corte veneziana, decidendo su analoga censura, altro è decidere secondo equità ed altro è, applicando le norme di diritto, valutare equitativamente un danno di incerta prova del pari non è meritevole di accoglimento neppure la seconda censura, atteso che rientra nel potere discrezionale del giudice del merito non solo valutare le prove ma anche scegliere a quale di esse dar rilievo se dunque la Corte ha svolto le proprie argomentazioni in merito alla sufficienza della retribuzione in favore di terzi per l'assistenza della defunta, senza far menzione dei redditi dei quali la stessa poteva godere, ciò non andava interpretato come frutto della pretermissione di elementi valutativi e quindi come sintomo di insufficiente motivazione, dal momento che la quantificazione della somma ipoteticamente necessaria a retribuire un aiuto esterno era operata, in mancanza di specificazioni, già tenendo conto delle condizioni economiche della defunta, tanto più che la Corte di Appello confermò parzialmente il rigetto delle richieste di rimborso contenuto nella sentenza del Tribunale di Treviso, sulla base dell'osservazione che alcune delle spese non risultavano provate, dunque conducendo comunque un'analisi del materiale probatorio. XIII — Il rigetto di entrambi i ricorsi consente di rinvenire giustificati motivi per compensare le spese. P.Q.M. La Corte Riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando le spese.