Individuazione delle responsabilità: meri indici rivelatori possono sopperire all’assenza di prove dirette?

La responsabilità del proprietario che non sia formalmente il committente delle opere abusive può lecitamente dedursi anche da una serie di comportamenti da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato.

É quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 9623 del 27 febbraio 2014. Il caso. La Corte di Appello di Lecce confermava interamente la statuizione del Giudice di prime cure sulla cui scorta D.N.A. e C.I. erano stati condannati per concorso in plurime violazioni della normativa edilizia e paesaggistica, avendo realizzato su un fabbricato di loro proprietà, in assenza delle autorizzazioni e dei permessi ex lege richiesti, un piano in sopraelevazione. Avverso tale decisione, gli imputati ricorrevano per Cassazione chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. I ricorrenti deducevano, tra l’altro inosservanza della legge penale in relazione all’articolo 44, d.P.R. 380/2001 ed all’articolo 181 d. lgs. 42/2004, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ritenendo che la Corte di merito avesse confermato l’affermazione di penale responsabilità senza verificare l’effettivo contributo causale da essi eventualmente apportato nella realizzazione dell’abuso edilizio. Altrimenti detto, gli imputati lamentavano che tale contributo fosse assolutamente insussistente, considerato che entrambi, orami da anni, non si interessavano più della gestione della proprietà de qua, avendo delegato la stessa ai figli ed ai nipoti e, a riprova di ciò, di rilievo era la circostanza che le chiavi del fabbricato in argomento erano in possesso proprio della di loro figlia. Ancora, i ricorrenti lamentavano inosservanza dell’articolo 81 c.p., nonché contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ritenendo errata l’omessa unificazione sotto il vincolo della continuazione dei reati contestati nel presente procedimento con quelli oggetto di accertamento ormai definitivo afferenti una precedente condanna, sempre per reati edilizi. La responsabilità per l’abuso edilizio. La Suprema Corte, nel rigettare entrambi i ricorsi, ha avuto modo di riprendere e consolidare un importante principio di diritto specificamene afferente la ricerca e valutazione della prova relativamente alla penale responsabilità per i reati edilizi. In effetti, i Supremi Giudici hanno statuito come, per pacifica giurisprudenza di legittimità, la responsabilità del proprietario o comproprietario che non sia formalmente il committente delle opere abusive, può lecitamente dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell’immobile secondo le norme civilistiche sull’accessione nonché, e più in generale, da tutti quei comportamenti da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato. Donde, nel caso di specie, la Corte di merito ha correttamente ricavato la prova della responsabilità di entrambi gli imputati sulla scorta dei predetti indici rivelatori di natura indiziaria, tra i quali la loro qualità di proprietari ed il ruolo dagli stessi avuto in occasione dei precedenti abusi edilizi riguardanti il piano terra del medesimo fabbricato. Il reato continuato. La Corte Regolatrice ha ritenuto ugualmente immeritevole di accoglimento anche il motivo di ricorso afferente l’inosservanza dell’articolo 81 c.p. ed il consequenziale dedotto vizio motivazionale della sentenza nella parte in cui non ha applicato la disciplina del reato continuato. In effetti, i Supremi Giudici hanno ritenuto assolutamente corretta la decisione con cui la Corte di Appello ha escluso il medesimo disegno criminoso – tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli per i quali è già intervenuta sentenza definitiva – solo ed esclusivamente sulla scorta del dato temporale, ovvero della notevole distanza intercorsa tra gli abusi edilizi già accertati, datati 2001, e quelli oggetto della attuale imputazione, datati 2009. In altri termini, risulta inverosimile che all’atto di realizzare – abusivamente – l’abitazione al piano terra, il soggetto agente già prevedesse – nell’alveo del medesimo disegno criminoso asseritamente sussistente – di realizzare, ben otto anni dopo, un’ulteriore abitazione abusiva al primo piano. Donde, la motivazione dei Giudici di merito risulta pienamente osservante la consolidata giurisprudenza in tema di reato continuato, secondo cui tra gli indici rivelatori del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo anche attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti indici il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 gennaio – 27 febbraio 2014, numero 9623 Presidente Teresi – Relatore Orilia Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Lecce con sentenza 13.2.2013 ha confermato la colpevolezza dei coniugi D.N.A. e C.I. per concorso in violazioni della normativa edilizia e paesaggistica, consistenti nella realizzazione nel Comune di Porto Cesareo, località Lido Canne, in assenza di permesso di costruire e dei necessari nullaosta, di un nuovo piano in sopraelevazione di mq. 51,72. Per quanto ancora interessa, la Corte di merito ha disatteso la tesi difensiva fondata sulla estraneità degli imputati alla condotta criminosa, ha ritenuto correttamente impartito l'ordine di demolizione, da intendersi riferito alle opere che avevano formato oggetto di condanna e ha negato il vincolo della continuazione tra i fatti in contestazione e quelli per cui il D.N. aveva riportato una precedente condanna con sentenza del Tribunale di Lecce sez. Nardo in data 12.1.2005. Gli imputati, tramite difensore, ricorrono per cassazione denunziando tre motivi. Considerato in diritto 1. Col primo motivo denunziano, ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. b cpp, l'inosservanza della legge penale in relazione all'articolo 44 lett. c DPR numero 380/2001 e 181 D. Lvo numero 42/2004 nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Si contesta in particolare la decisione laddove ha ritenuto la responsabilità degli imputati sol perché proprietari senza verificare l'effettivo contributo causale apportato dagli stessi, contributo che nel caso di specie, era assolutamente da escludersi tenuto conto che essi, per ragioni di età, non si interessavano più delle vicende della proprietà, avendone lasciato il godimento, la gestione e la disponibilità a figli e nipoti, come dimostrato dal fatto che le chiavi erano in possesso della figlia. Il motivo è infondato. Essendo stato denunciato il vizio motivazionale si rende opportuno ricordare che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa . Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione cass. Sez. 6, Sentenza numero 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349 . Ebbene, nel caso di specie, la Corte d'Appello ha motivato il giudizio di responsabilità dei ricorrenti considerando la loro qualità di proprietari e il loro ruolo in occasione dei precedenti abusi edilizi riguardanti il piano terra D.N. era stato condannato e la moglie aveva presentato domanda di condono la Corte di merito inoltre, attraverso un tipico accertamento in fatto, ha affermato che il suolo ove insisteva l'edificio era recintato e da ciò ha desunto che qualunque opera all'interno del terreno dovesse essere acconsentita dai proprietari, tanto più se si trattava di un ulteriore piano sovrastante l'abitazione già esistente, con tutti i problemi dì stabilità e tenuta oltre gli incomodi costituiti dalla presenza di un cantiere che avrebbe impedito di fruire dell'abitazione a pian terreno per un tempo consistente. Ha poi osservato che la dedotta anzianità degli imputati, lungi da rappresentare un sintomo di disinteresse per le vicende dell'immobile, andava invece valorizzata in senso opposta, proprio per il maggior tempo libero che essi avevano per godere dell'abitazione per periodi più lunghi sulla base di tali considerazioni ha ritenuto privo del minimo principio di prova la tesi difensiva fondata sull'avvenuto affidamento della gestione dell'immobile ad altri in ragione dell'età. Ha considerato poi come dato neutro il fatto che la figlia degli imputati si sia fatta nominare custode, osservando che la polizia giudiziaria aveva nominato l'unica persona che si era presentata per consentire l'accesso all'immobile, evidentemente inviata dai genitori all'uopo contattati. Il ragionamento seguito dalla Corte d'Appello appare non solo logicamente coerente ma del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario o comproprietario, non formalmente committente delle opere abusive, può dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla trasformazione dei territorio, i rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione nonché tutti quei comportamenti positivi o negativi da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato cass. Sez. 3, Sentenza numero 25669 del 30/05/2012 Ud. dep. 03/07/2012 Rv. 253065 Sez. 3, Sentenza numero 33540 del 19/06/2012 Ud. dep. 31/08/2012 Rv. 253169 . La censura tende in definitiva a riproporre una non consentita rivisitazione dei fatti. 2. Col secondo motivo i ricorrenti denunziano, sempre ai sensi dell'articolo 606 comma i lett. b cpp, l'inosservanza della legge penale in relazione all'articolo 31 DPR numero 380/2001 e, ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. c , l'inosservanza degli articolo 547 e 130 cpp, dolendosi della mancata enunciazione, nel dispositivo, della correzione della sentenza di primo grado in ordine alla individuazione della porzione di immobile oggetto di demolizione, che comprende, come indicato in motivazione, le opere in contestazione, cioè quelle che hanno costituito oggetto di accertamento e di condanna, con esclusione quindi delle opere realizzate nel 2001 e per le quali era già intervenuta sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Secondo i ricorrenti la sentenza impugnata, con riferimento all'ordine di demolizione, è illogica e contraddittoria laddove ha ritenuto che la sopraelevazione realizzata nel 2009 potesse essere agevolmente demolita, trattandosi di abitazione autonoma con autonoma via di accesso, mentre invece, in un precedente passaggio, nel motivare sulla responsabilità dei prevenuti, aveva affermato che, essendo il terreno recintato e chiuso con cancello, qualunque opera all'interno del medesimo avrebbe dovuto essere autorizzata dai proprietari tanto più se si trattava della costruzione di un ulteriore piano sovrastante l'abitazione esistente al primo piano, con tutti i connessi problemi di stabilità e tenuta. Secondo i ricorrenti, delle due l'una o si tratta di una abitazione autonoma che può essere autonomamente demolita oppure si tratta della costruzione di un ulteriore piano di un immobile già esistente, per la cui costruzione e, quindi ovviamente, per la cui demolizione si pongono problemi di stabilità e tenuta, non potendosi variare la qualificazione oggettiva dell'immobile ed i connessi problemi di stabilità a seconda che si tratti di dover provare la responsabilità dei prevenuti ovvero di escludere la possibilità di revoca dell'ordine di demolizione per i manufatti realizzati nel 2009. Il motivo è anch'esso infondato. La Corte d'Appello ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo che la formula ordina la demolizione delle opere abusive adoperata dal Tribunale si riferisce ovviamente alle opere in contestazione, cioè a quelle che hanno costituito oggetto di accertamento e di condanna perché - ha chiarito - l'espressione usata dal primo giudice può essere interpretata anche nel senso che la demolizione debba interessare tutta la abitazione al primo piano, ma solo essa. Non vi era dunque nessun errore materiale da correggere, avendo la Corte di merito interpretato in maniera logicamente coerente il senso dell'ordine di demolizione impartito dal primo giudice. Parimenti, nessuna illogicità si rinviene tra l'affermazione circa la recinzione del terreno su cui insiste il manufatto con conseguente necessità di autorizzazione del proprietario per ogni intervento all'interno dei terreno pag. 3 sentenza e la successiva affermazione circa l'autonomia della abitazione realizzata ad anni di distanza e dotata di autonoma via di accesso pag. 4 perché tale ultima affermazione non esclude affatto che la via di accesso fosse posta anch'essa all'interno del terreno recintato, così come logicamente doveva esserlo anche l'abitazione in sopraelevazione oggetto del presente giudizio. Lo stesso vale per la questione della statica, perché la Corte di merito aveva posto il problema con riferimento alla sopraelevazione e quindi evidentemente si riferiva al sovraccarico dell'edificio per effetto della creazione di un nuovo piano, come si evince agevolmente dalla lettura della sentenza. Nessuna illogicità quindi sussiste con la successiva affermazione circa la agevole demolizione dell'opera, attività che non presenta alcun aggravio della statica, ma anzi un alleggerimento. 3. Con la terza censura, denunziando l'inosservanza dej'articolo 81 nonché la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, i ricorrenti si dolgono della omessa unificazione dei reati col vincolo della continuazione rispetto alle violazioni di cui alla precedente condanna emessa con la sentenza della Corte d'Appello di Lecce numero 1496/2005 , criticando il giudice di merito per avere preso in considerazione, al fine di escludere identità del disegno criminoso con i fatti precedenti, il solo dato temporale, cioè uno solo dei criteri elaborati dalla giurisprudenza. Il motivo è infondato. Tra gli indici rivelatori dell'identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l'omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo. Anche attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti indici - purché siano pregnanti e idonei ad essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego dei vincolo in questione - il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni Cass. Sez. 1, 20 aprile 2000, numero 01587 cass. 5.11.2008 numero 44862 cfr. altresì. più di recente, Sez. 1, Sentenza numero 11564 del 13/11/2012 Cc. dep. 12/03/2013 Rv. 255156 . Inoltre, per aversi unicità dei disegno criminoso occorre che in esso risultino ricomprese le diverse azioni od omissioni sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel senso che, quando si commette la prima azione, già si sono deliberate tutte le altre, come facenti parte di un tutto unico. Le singole condotte, quindi, devono essere ricollegate ad un'unica previsione, di cui i diversi reati costituiscano la concreta realizzazione, cosicché i reati successivamente commessi devono essere delineati fin dall'inizio nelle loro connotazioni essenziali, non potendo identificarsi il requisito psicologico indicato nell'articolo 81 c.p. con un generico programma delinquenziale ai fini dell'applicazione della disciplina del reato continuato. Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha dato rilievo determinante all'intervallo temporale, considerando la notevole distanza temporale rispetto ai fatti accertati nel 2001 e, sulla base di tale dato ha ritenuto inverosimile che D.N., nel momento in cui edificava l'abitazione a piano terra, già prevedesse di realizzare, otto anni dopo, un'ulteriore e separata abitazione al primo piano. Trattasi di un ragionamento non solo corretto in diritto, perché ha valorizzato uno degli indici richiesti, ma anche logicamente coerente, laddove, in considerazione del tempo trascorso, ha escluso il collegamento delle singole condotte ad un'unica previsione la critica dunque non appare idonea a scalfirlo. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.