È esclusa la responsabilità penale del liquidatore di società che, in grave crisi economica, omette di versare le imposte, perché decide di pagare gli ex dipendenti.
Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza numero 9264 del 26 febbraio 2014. Il caso. Il liquidatore di una società omette di versare le ritenute per pagare i propri dipendenti licenziati, viene assolto perché il fatto non costituisce reato. Successivamente ricorre in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, ritenendo che nonostante le difficoltà economiche sussisteva l’obbligo di accantonare le ritenute. Quale debito pagare. La Corte condivide la tesi del giudice di merito secondo cui il comportamento dell’imputato non integra una fattispecie di reato, dal momento che lo stesso ha dovuto fronteggiare una situazione di grave crisi finanziaria, attribuibile alla precedente amministrazione, infatti la società era assolutamente in perdita, priva di liquidità, e con crediti non esigibili. In questo grave contesto, come accertato dai giudici di merito, non era possibile optare altre alternative valide, pertanto l’imputato non avrebbe potuto fare altrimenti. In conclusione i giudici di legittimità sottolineano come non sia censurabile la scelta di pagare solo taluni debiti, come quelli assunti verso i dipendenti licenziati, perché ritenuti categoria in difficoltà. Per questi motivi, la Corte ritiene che allorquando un soggetto assume l’incarico di liquidatore ereditando la mala gestione dei precedenti amministratori, non è censurabile la scelta di assolvere determinati debiti, come il pagamento di stipendi agli ex dipendenti.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 febbraio – 26 febbraio 2014, numero 9264 Presidente Squassoni – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 aprile 2013 il Tribunale di Milano ha assolto G.G. dal reato di cui all'articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 perché il fatto non costituisce reato. 2. Ha presentato ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Milano adducendo violazione di legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, per avere il giudice ritenuto insussistente l'elemento psicologico del reato - che è rappresentato dal dolo generico - sulla base della crisi economica dell'impresa, essendo irrilevante tale crisi poiché l'imputato aveva l'obbligo di accantonare le somme oggetto delle ritenute. In data 17 dicembre 2013 il difensore dell'imputato ha depositato memoria chiedendo il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. Il Tribunale ha assolto l'imputato perché il fatto non costituisce reato esternando il suo accertamento mediante una motivazione chiara e puntuale. Osserva il giudice di merito che l'imputato - cui era stato contestata l'omissione, come liquidatore della S.r.l. GREI, del versamento delle ritenute previdenziali risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per il periodo d'imposta 2007 entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d'imposta 30 settembre 2008 - era stato nominato liquidatore della S.r.l. GREI nel maggio 2006 ed era già stato sottoposto a due processi penali per fatti analoghi relativi a società controllate dalla GREI. In entrambi i casi era stato assolto, essendo state accertate le particolari circostanze nel cui contesto maturò l'omesso versamento l'imputato aveva dovuto fronteggiare una situazione di grave crisi finanziaria dell'impresa, attribuibile alla precedente amministrazione, che aveva portato con sé una grave carenza di liquidità , tra l'altro essendo in corso accordi sindacali per la tutela dei lavoratori e un impegno di rientro rateale del debito verso l’Inps. La stessa situazione, secondo la sentenza impugnata, è da ritenersi sussistente anche per la vicenda in esame. Il Tribunale ne da atto in modo assai specifico, illustrando come l'imputato, liquidatore dal 31 maggio 2006, aveva ricevuto una società che aveva maturato al 31.12.2005 una perdita di esercizio pari ad Euro 19.438.838,00 , era pertanto priva di risorse finanziarie liquide, vantava crediti per lo più inesigibili ed era gravemente onerata di debiti. In tale grave contesto il liquidatore aveva tentato di acquisire liquidità tentando di vendere l'unico immobile di proprietà della società e di ricavare denaro liquido dal marchio IRGE, senza effettivo successo nonostante il suo concreto impegno attestato dalle deposizioni testimoniali. Le uniche liquidità conseguite dal marchio erano state destinate al pagamento dei dipendenti dell'Inps e l'impegno del liquidatore era dimostrato anche dal fatto che dell'intero periodo di imposta 2007 risultano omessi soltanto i versamenti relativi al mese di agosto e per una sola parte di lavoratori . Da ciò il Tribunale desume che l'imputato non aveva un'alternativa ragionevolmente esigibile rispetto alla condotta tenuta perché non censurabile è da qualificarsi una scelta di amministrazione che ha preferito adempiere ai debiti tributari e contributivi inerenti alla propria gestione nonché obbligazioni che egli aveva assunto nei confronti di una categoria sociale i lavoratori dipendenti licenziati in grave difficoltà piuttosto che effettuare pagamenti di una somma considerevole attinente ad una categoria lavorativa al momento non coinvolta nella trattativa sindacale , nella prospettiva sempre di riuscire successivamente a ripianare ogni debito vendendo l'immobile. L'accertamento in fatto così espletato dal Tribunale è pervenuto, dunque, a qualificare inesigibile una condotta alternativa rispetto a quella concretamente adottata dall'imputato e tale accertamento, che compete appunto al giudice di merito, è stato supportato da una motivazione priva di illogicità e incongruità, ma anzi particolarmente concreta, lineare e dettagliata. A prescindere, comunque, dal fatto che sarebbe inammissibile un ricorso immediato per cassazione fondato su un motivo riconducibile all'articolo 606, comma 1, lettera e , c.p.p., non si può non rilevare che il giudice di merito non è incorso in violazione di legge relativa all'elemento soggettivo, bensì ha accertato, nel modo appena sintetizzato, la concreta insussistenza della fattispecie criminosa de qua. La sua conclusione, infatti, argomentata sulla base del principio di personalità della responsabilità penale trasfuso nella inesigibilità della condotta, riconosce l'esistenza anche dell'elemento soggettivo del reato che afferma integrato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi ma si pone su un piano diverso da quello oggetto della censura del ricorso, piano fondamentalmente riconducibile all'assenza di nesso eziologico tra la condotta del liquidatore e il reato, per l'interferenza decisiva e anzi assorbente della condotta altrui sulla inesigibilità in rapporto all'ablazione del nesso causale cfr. già Cass. sez. III, 7 luglio 2011 numero 38209 e Cass. sez. III, 29 aprile 2003 numero 26191 ritiene infatti il Tribunale che la consumazione è stata determinata da una condotta pregressa, realizzata da altri cioè gli ultimi amministratori , che ha reso impossibile al soggetto uniformare la propria condotta al precetto penale . In conclusione, per quanto osservato in ordine alla infondatezza della censura il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del PG