L’azienda agricola di famiglia manda in frantumi il matrimonio… ma la Cassazione non sa decidere

Poiché sulle tematiche della conduzione dell’impresa familiare e della violazione dei doveri matrimoniali, ai fini di un possibile addebito della separazione, la giurisprudenza della Cassazione non ha consolidato alcun orientamento in base al quale poter decidere la fondatezza o meno del ricorso, la causa va rimessa alla pubblica udienza.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 612 del 14 gennaio 2014. Il fatto. Il Tribunale di Rovigo dichiarava la separazione personale tra due coniugi rigettando le rispettive domande di addebito della separazione, di imposizione di un assegno di mantenimento e di assegnazione della casa coniugale. La donna proponeva appello, sottolineando la mala gestio , da parte del marito, dell’azienda agricola comune e la sottrazione dei relativi cespiti. La Corte territoriale respingeva le ragioni della donna affermando che il comportamento tenuto dal marito doveva essere inquadrato nell’ambito di quel potere assoluto, da parte del pater familias , nella gestione familiare. Tra l’altro, il giudice di secondo grado evidenziava che la donna aveva pacificamente accettato quel comportamento per anni e che la rottura del matrimonio era riconducibile anche ad altri contrasti. La moglie propone ricorso. Collaborazione paritaria nella gestione dell’attività comune. Secondo la ricorrente, i coniugi devono collaborare e determinare congiuntamente l’indirizzo della vita familiare, con una posizione paritaria nell’esercizio e nella gestione dell’attività comune, senza che l’uno possa pretendere di escludere l’altro. Di conseguenza, proprio perché il marito ha preteso di gestire autonomamente l’azienda, a cui ella comunque partecipava col proprio lavoro, a ha distratto per sé il proventi e le risorse da essa derivanti, rendendo intollerabile la convivenza, è a lui che deve essere attribuita la fine del rapporto coniugale. La non decisione della Cassazione. La controversia presenta profili di interazione fra le tematiche della conduzione dell'impresa familiare e della violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, nella prospettiva di un possibile addebito della separazione, sui quali la giurisprudenza di legittimità non ha consolidato un orientamento in base al quale poter ritenere la fondatezza o meno del ricorso. Ne deriva che è opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza della prima sezione.

Corte di Cassazione, sez. VI-1 Civile, ordinanza 17 dicembre 2013 – 14 gannaio 2014, n. 612 Presidente Macioce – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che in data 22 ottobre 2013 è stata depositata relazione ex art. 380 bis che qui si riporta 1. Il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 85/11 del 22 febbraio 2011, ha dichiarato la separazione personale di V.A. e T.I.T. rigettando le reciproche domande di addebito della separazione, di imposizione di un assegno di mantenimento pari a 600 euro mensili, di assegnazione della casa coniugale proposte in via principale dal T. e in via riconvenzionale dalla V. . 2. Ha proposto appello la V. rilevando che la Corte di appello non aveva valorizzato gli elementi che portavano a identificare un quadro di mala gestio dell'azienda agricola comune, posto in essere dal T. che non aveva mai coinvolto la moglie nella gestione e aveva posto in essere atti di sottrazione dei cespiti comuni. 3. Il gravame è stato respinto dalla Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 171/2012, nella quale si afferma che non è rilevante valutare la gravità o meno dei comportamenti gestori del marito e se questi ha posto o meno in essere distrazioni dei beni comuni dovendo tale comportamento essere inquadrato nell'ambito di quel potere semi-assoluto, noto nelle campagne padane e implicitamente accettato in famiglia, che lascia ogni decisione e arbitrio al padre riconosciuto damlnus della gestione familiare. La Corte di appello ha rilevato che per anni la moglie ha accettato questo stato di fatto e solo nel 2007, in relazione al problema della partecipazione dei figli all'economia familiare, sono sorti i contrasti fra i coniugi che hanno portato poi alla separazione. Da tali considerazioni la Corte di appello ha dedotto che su questo punto specifico la vita familiare si è disgregata e proprio i diversi schieramenti dei figli rispetto alla posizione dei genitori evidenziano che non certo e non solo ai comportamenti del padre è possibile ricollegare detta disgregazione. 4. Propone ricorso per cassazione V.A. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione degli artt. 143 e 144 c.c. e contraddittoria motivazione. La ricorrente ritiene la sentenza impugnata contrastante con le norme citate che impongono ai coniugi l'obbligo reciproco di collaborazione e di concorde determinazione dell'indirizzo della vita familiare con la conseguenza che se i coniugi esercitano congiuntamente un' attività economica per trame i mezzi di sostentamento della famiglia essi debbono collaborare in posizione paritaria nell'esercizio e nella gestione dell'attività comune senza che l'uno possa pretendere di gestirla ad esclusione dell'altro. Ritiene inoltre la ricorrente contraddittoria la motivazione che, pur avendo accertato che la rottura del rapporto coniugale è derivata da un unico e ben individuato fattore causale e cioè la pretesa del marito di gestire l'azienda agricola comune, alla quale ha partecipato la moglie con il proprio lavoro e la comproprietà dei terreni, in modo unilaterale e a proprio esclusivo arbitrio, senza renderne alcun conto e addirittura appropriandosi e distraendo per sé i proventi e le risorse dell'azienda ha contraddittoriamente negato la responsabilità del T. nella causazione della intollerabilità della convivenza e nella fine del rapporto coniugale. Ritenuto che 5. La controversia presenta profili di interazione fra le tematiche della conduzione dell'impresa familiare e della violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, nella prospettiva di un possibile addebito della separazione, sui quali la giurisprudenza di questa Corte non ha consolidato un orientamento in base al quale poter ritenere la fondatezza o infondatezza del ricorso. 6. È opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza della prima sezione. P.Q.M. La Corte rinvia la causa alla pubblica udienza della prima sezione.