Minacce sì, ma senza vis persecutoria: valutabile comunque la protezione per lo straniero

Rimessa in discussione la linea di pensiero seguita dalla Commissione territoriale e dai giudici di merito. Errata la decisione di negare la protezione solo sulla base della considerazione che le minacce subite in patria dallo straniero scappato in Italia sono valutabili come personali e di tipo estorsivo. Da approfondire le reali condizioni di sicurezza pubblica del Paese d’origine

Minacce puramente personali, di tipo ritorsivo, quindi nessuna vis persecutoria questa la valutazione compiuta per negare protezione a un cittadino straniero, fuggito dal proprio Paese d’origine e approdato in Italia. Ma tale visione è davvero troppo ristretta e troppo poco approfondita Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 506/14, depositata oggi . Minacce. Prima la decisione della Commissione territoriale di Roma, poi le pronunzie del Tribunale di Roma e della Corte d’Appello di Roma il quadro tracciato dallo straniero – un cittadino ghanese – approdato in Italia sintetizza un generico timore di repressione individuale ad opera di gruppo delinquenziale di ristretta consistenza . Ciò comporta, ovviamente, il niet alla richiesta di protezione internazionale presentata dall’uomo. Per i giudici, in sostanza, emerge, dai racconti dello straniero, semplicemente un quadro di minacce personali di tipo ritorsivo, di stampo certamente delinquenziale, ma di origine e contenuto assai ristretto familiare o tribale . Di conseguenza, non si può parlare di un concreto ed attuale stato di soggezione a vis persecutoria . In pericolo. Ma la battaglia, per l’uomo, non è affatto finita. Ultimo appiglio, in Cassazione, è la sottolineatura del mancato approfondimento, da parte dei giudici di merito, sulla concreta condizione del Ghana, e delle sue province agricole, in termini di vigenza di sicurezza e di ordine statuale . Ebbene, questo appunto si rivela fondamentale. Perché proprio i giudici del ‘Palazzaccio’ riconoscono che nessuna iniziativa di informazione è stata concretizzata sulle reali condizioni della sicurezza pubblica nel Ghana . Errata, quindi, la decisione, dei giudici di Appello, di ritenere non fondata l’ipotesi di un quadro generale di pericolo personale per l’uomo, basandosi semplicemente sulla considerazione sul limitato impatto personale e non persecutorio delle dichiarate minacce . Sarebbe stato necessario un approfondimento, soprattutto alla luce, evidenziano i giudici del ‘Palazzaccio’, della possibilità di concessione della protezione sussidiaria o per la erogazione del permesso umanitario , pur in difetto di effettiva vis persecutoria , di fronte a un effettivo pericolo di vita a causa della assenza di potere statuale di repressione del delitto e di prevalenza del potere delle autorità tribali, in grado di far seguire alla minaccia la effettiva ‘sanzione’ capitale . Lacuna clamorosa, quindi, e da colmare assolutamente. Compito, questo, affidato ai giudici della Corte d’Appello, che dovranno nuovamente prendere in esame la richiesta di protezione avanzata dal cittadino ghanese.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 17 dicembre 2013 – 13 gennaio 2014, n. 506 Presidente/Relatore Macioce Rileva Il cittadino del Ghana B.D.K.K. nel 2009 propose domanda di protezione internazionale alla Commissione Territoriale di Roma ricevendo diniego. Impugnato l’esito negativo, il Tribunale di Roma con sentenza 11.2.2010 respinse il ricorso e la Corte di Appello di Roma con sentenza 12.03.2013 rigettò il reclamo proposto dall’interessato affermando che i fatti prospettati innanzi alla Commissione delineavano un quadro generico di timore di repressione individuale ad opera di un gruppo delinquenziale di ristretta consistenza. Per la cassazione di tale decreto il B. ha proposto ricorso con quattro motivi, illustrati in memoria finale. Nessuna difesa è stata svolta dall’Amministrazione intimata. Osserva La Corte di Roma, nell’esame del reclamo di D.K.K.B., diretto al conseguimento della protezione internazionale, ha rammentato in premessa i principii posti da questa Corte a regolare l’onere di allegazione del richiedente ed il potere-dovere del giudice di integrare - con proprie iniziative di acquisizione informativa officiosa - il quadro dei fatti offerti dal richiedente stesso. Ha poi con sintesi presa in esame la raffigurazione fattuale offerta dal B. affermando che, a prescindere dalla valutazione di attendibilità del dichiarante, il quadro che emergeva da dette dichiarazioni era quello di un quadro di minacce personali di tipo ritorsivo, di stampo certamente delinquenziale ma di origine e contenuto assai ristretto familiare o tribale . Di qui la conseguenza della insussistenza di un concreto ed attuale stato di soggezione a vis persecutoria. Ricorre il B. lamentando, con i detti quattro motivi, sia l’abdicazione ai doveri di indagine officiosa da parte dei giudici del merito con riguardo alla concreta condizione del Ghana e delle sue provincie agricole, in termini di vigenza di sicurezza ed ordine statuale, sia la mancata applicazione delle norme sulla protezione sussidiaria pur in difetto dei requisiti per riconoscere uno status correlato a vis persecutoria. Il ricorso è sotto entrambi i profili fondato. Questa Corte, in primo luogo, ha avuto modo di precisare Cass. 10202 del 2011, 16202 e 16221 del 2012 che sia la Commissione territoriale, alla quale compete la prima valutazione della domanda di protezione internazionale, sia gli organi di giurisdizione ordinaria sono tenuti a valutare l’esistenza delle condizioni poste a base della richiesta ed anche della misura residuale del permesso umanitario, utilizzando il potere-dovere d’indagine previsto dall’art. 8, comma 3 d.lgs. n. 25 del 2008 e quello relativo alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, precisato dall’art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007, essendo il quadro normativo improntato ad un precetto di forte attenuazione del regime ordinario dell’onere della prova. La riaffermazione di tale principio, presente anche nella decisione impugnata, è nel contesto della decisione stessa, meramente rituale, nessuna iniziativa di informazione sulle reali condizioni della sicurezza pubblica nel Ghana essendo stata avanzata dai giudici dei merito tampoco mediante il doveroso interpello della Commissione Nazionale . La statuizione di merito, quindi, stralcia la questione della credibilità soggettiva del narrato, ed ancor più della sussistenza di un quadro generale di pericolo personale, appagandosi di constatare il limitato impatto personale e non persecutorio delle dichiarate minacce. In secondo luogo, e come denunziato, la Corte di merito si arresta alla considerazione della non riconducibilità del quadro del narrato alle condizioni autorizzanti la concessione dello status, ma ignora del tutto la possibilità di scrutinare le condizioni sempre esamimabili anche ex officio per la concessione della protezione sussidiaria o per la erogazione del permesso umanitario. La protezione sussidiaria, infatti, come anche assai di recente rammentato da questa Sezione Cass. 26887 del 2013 ben può essere accordata pur in difetto di effettiva vis persecutoria statuale a danno del richiedente ma per elidere le conseguenze disastrose del rimpatrio a carico di chi versi in situazioni di pericolo grave alla persona, pericolo indotto da condizioni endemiche di violenza e conflitto interni, anche a base territoriale limitata Cass. 20646 del 2012 , ingenerate dalla connivenza o dalla latitanza del potere statuale rientra quindi nel quadro idoneo a concedere la protezione sussidiaria una condizione di comprovata esposizione ad effettivo pericolo di vita indotta dalla assenza di potere statuale di repressione del delitto e di prevalenza del potere delle autorità tribali, in grado di far seguire alla minaccia la effettiva sanzione capitale. Con riguardo poi al neanche esaminato istituto del permesso umanitario, si rammenta che quella offerta dall’istituto in discorso è una tutela residuale, come ha affermato questa Corte Cass. 20646, 10686 e 3491 del 2012, 24544 e 4130 del 2011 - vd. anche 4139 del 2011 , non casualmente correlata ad un predeterminato arco di tempo, che spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravità e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano sol temporalmente limitate ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno l’esigenza di protezione . E pertanto, posto che la decisione impugnata è approdata ad un quadro di fatti non integrato da alcuna informazione aggiuntiva alla sola entità del dichiarato dal richiedente e ha poi deciso mancando di far alcuna applicazione delle norme eroganti la tutela sussidiaria od il permesso umanitario, ne discende, come in ricorso prospettato, la incompletezza ed erroneità dei decisum e la esigenza che, cassata la sentenza, la Corte di rinvio provveda alla decisione sul reclamo del B. sulla base dei principii di diritto sopra formulati. Sarà compito del giudice del rinvio anche quello di regolare le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Roma in diversa composizione.