Perché si possa parlare di contestazione a catena e possa, quindi, applicarsi la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, è necessario che i delitti oggetto dell’ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore.
Tale principio, tuttavia, non opera se i due procedimenti che hanno dato luogo alle diverse ordinanze pendano dinanzi due autorità giudiziarie differenti, in quanto la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che, quindi, la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura. Le contestazioni a catena . Con la sentenza n. 51838 del 30 dicembre 2013, la Cassazione si occupa di un annoso argomento di natura processuale, quello delle cc.dd. contestazioni a catena. La Corte si premura, prima di affrontare nello specifico la questione sottoposta con il ricorso, di rammentare la giurisprudenza propria e della Corte Costituzionale sul punto, al fine di tracciare i limiti e la natura dell’istituto. La norma . L’art. 297, comma 3, c.p.p. dispone che se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b e c , limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma . Tale odierna formulazione, tuttavia, è frutto di elaborazione giurisprudenziale. I buchi normativi si sono, fin da subito, fatti notare, e proprio per tali ragioni la giurisprudenza ha elaborato nuove regulae iuris che hanno portato il legislatore a ristrutturare la vecchia disposizione. Ed infatti, la norma primigenia prevedeva che la decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare applicata con un’ordinanza si sarebbe dovuta retrodatare al momento dell’esecuzione di altra precedente solo quando i due provvedimenti riguardassero lo stesso fatto o più fatti in concorso formale tra loro, o integranti ipotesi di aberratio delicti o di aberratio ictus plurioffensiva . Le sentenze del giudice delle leggi . Il riferimento della Corte è, in primo luogo, alla sentenza additiva n. 408/2005 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell’art. 297, comma 3, c.p.p. nella parte in cui non si applica la retrodatazione anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza . Tale principio senza dubbio ha lo scopo di evitare che il PM possa emettere provvedimenti custodiali diversi al solo scopo di aggravare il periodo di carcerazione preventiva dell’indagato. Il secondo, invece, è relativo alla sentenza n. 233/2011, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità del medesimo articolo nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevedeva che la regola sulla decorrenza dei termini fosse applicabile anche alla diversa ipotesi per la quale i fatti contestati con la prima ordinanza fossero già stati giudicati con sentenza irrevocabile prima della adozione della seconda misura. Sulla base di tali premesse, dunque, la Suprema Corte afferma che si può parlare di contestazione a catena solo in tre casi. Se non è intervenuto il rinvio a giudizio Il primo è quello in cui vi siano due o più ordinanze custodiali che abbiano ad oggetto fatti reato legati tra loro da connessione qualificata concorso formale, continuazione o connessione teleologica - reati commessi per eseguirne altri e, tuttavia, per le imputazioni oggetto della prima ordinanza non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In tale ipotesi, la retrodatazione opera automaticamente e ciò indipendentemente dal fatto che, al momento della emissione della prima ordinanza, si possa desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto di ordinanze successive nel medesimo procedimento penale. Se è stato emesso il decreto di rinvio a giudizio . Posta la sussistenza di una delle tre forme di connessione qualificata, nell’ipotesi in cui, invece, vi sia già un decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza custodiale e venga emessa una nuova ordinanza in un diverso procedimento, o perché vi è stata una separazione delle indagini o perché le stesse abbiano avuto autonome origini, si applica la regola di cui all’art. 297, comma 3, c.p.p. quindi, vige la regola della retrodatazione ove i fatti oggetto della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti già prima del rinvio a giudizio nel primo procedimento. Se non esiste connessione qualificata In tale ultima ipotesi, è la stessa Corte Costituzionale che spiega come la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura è dovuta solo nel caso in cui l’Autorità giudiziaria, immotivatamente, abbia emesso diverse ordinanze coercitive quando, invece, poteva adottarne una soltanto. Si deve, in tal caso, verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza non fossero già desumibili dagli atti tutti gli elementi idonei ad emettere anche la o le successive ordinanze nell’ambito del medesimo procedimento penale. Ordinanze emesse da giudici diversi . Al di fuori di questi casi la retrodatazione non opera. E dunque, caso in cui le due ordinanze custodiali siano emesse in procedimenti differenti, pendenti, peraltro, presso diversi uffici giudiziari, non potrà applicarsi la norma di cui all’art. 297, comma 3, c.p.p Ed infatti, se la competenza appartiene a giudici diversi, il primo non può disporre una misura per fatti di competenza del secondo e ciò perché ai sensi dell’art. 291, comma 2, c.p.p., il giudice incompetente è tenuto disporre la misura cautelare nel solo caso in cui sussiste l’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelare previste dall’art. 274 c.p.p. ed, ovviamente, tale urgenza manca laddove il giudice competente possa soddisfare tali esigenze disponendo la misura per i fatti di propria competenza.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 ottobre - 30 dicembre 2013, n. 51838 Presidente Esposito Relatore Verga Motivi della decisione Con ordinanza in data 16 aprile 2013 il tribunale del riesame di Roma respingeva l'appello proposto da D.F. avverso l'ordinanza emessa dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Roma del 7 gennaio 2013 che aveva rigettato l'istanza di declaratoria di inefficacia dell'ordinanza cautelare emessa in data 2 marzo 2011 per decorrenza dei termini di fase ai sensi dell'articolo 297 comma 3 codice procedura penale. Il tribunale dava atto che l'indagato nel presente procedimento era detenuto in forza di titolo cautelare per il solo reato di cui al capo B dell'imputazione tentata estorsione aggravata ai sensi dell'articolo 7 decreto legislativo numero 152/91 ai danni di C. . Detta ordinanza era stata emessa il 2 marzo 2011 dal tribunale del riesame in sede di appello. Precisava che la domanda cautelare formulata dal pubblico ministero nell'ambito del presente procedimento era stata accolta solo parzialmente dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma che, con ordinanza del 15 settembre 2010, eseguita 22 settembre 2010 aveva applicato al D. la misura custodiale per i reati di cui ai capi A associazione per delinquere finalizzata alla commissione tra gli altri dei delitti di estorsione, nonché per i delitti di millantato credito aggravato, tentata estorsione in danno di B.S. e P.A. , usura aggravata di cui ai capi C , G , K , L , BB , CC , EE , FF , GG , AA , DD , II , JJ . Aveva invece respinto la richiesta con riferimento al capo B tentata estorsione aggravata ai danni del C. . Il tribunale del riesame di Roma con provvedimento in data 15 ottobre 2010 aveva confermato il provvedimento applicativo della misura cautelare nei confronti del ricorrente per i capi di imputazione sopra indicati dichiarando nel contempo l'incompetenza funzionale del G.I.P. di Roma ex articolo 11 del codice di procedura penale in favore del giudice del tribunale di Perugia che adottava autonomo provvedimento cautelare poi revocato dal gip presso il tribunale di Perugia con provvedimento in data 20 dicembre 2010. Il pubblico ministero proponeva appello avverso l'ordinanza del 15 settembre 2010 che aveva respinto la custodia cautelare con riguardo al capo B della imputazione. Il tribunale del riesame con provvedimento in data 2 marzo 2011 in accoglimento dell'appello emetteva misura cautelare che diveniva esecutiva in data 8 aprile 2012. Riteneva il tribunale che non ricorrevano nel caso di specie i presupposti per l'operatività del meccanismo di garanzia previsto dall'articolo 297 comma tre codice procedura penale, in quanto pur essendo indubbia la priorità cronologica dei fatti, oggetto dell'ordinanza emessa dal tribunale di Roma e l'acquisizione degli elementi a sostegno della stessa al momento dell'emissione della prima ordinanza, il fatto oggetto della seconda ordinanza non era connesso ai fatti oggetto della prima ordinanza di competenza dell'autorità giudiziaria di Perugia che aveva adottato autonomo ordinanza cautelare essendo giudice funzionalmente competente per i delitti di millantato credito commessi in danno di magistrati del distretto di Roma. Sottolineava come la prima misura alla quale fare retroagire la decorrenza dei termini della seconda aveva avuto efficacia provvisoria ed era stata sostituita dalla nuova ed autonoma ordinanza emessa dal giudice competente nell'ambito di un diverso ed autonomo procedimento. Sosteneva che nel caso di ordinanze per fatti non legati da connessione qualificata per l'operatività del meccanismo di garanzia, invocato dalla difesa, era necessario che i procedimenti diversi pendessero dinnanzi alla stessa autorità giudiziaria, in quanto solo in tal caso la loro separazione poteva essere frutto di una scelta del pubblico ministero, mentre nella fattispecie i procedimenti pendevano davanti a diverse autorità giudiziarie per ragioni di competenza funzionale, inderogabile ed assoluta, di modo che non potevano essere riuniti né avrebbero potuto giustificare l'adozione contestuale di provvedimenti coercitivi. Ricorre per cassazione l'indagato, a mezzo del suo difensore, deducendo che l'ordinanza impugnata è incorsa in 1. contraddittorietà della motivazione per travisamento in ordine alla ritenuta pendenza innanzi ad autorità giudiziarie diverse dei procedimenti riferiti ai fatti oggetto delle due ordinanze di custodia cautelare. Sostiene il ricorrente che dalla lettura delle ordinanze coercitive e dalle richieste di rinvio a giudizio avanzate dai rispettivi uffici delle procure interessate i capi di imputazione su cui si fonda l'ordinanza Perugina sono stati successivamente ritrasmessi nella loro quasi totalità alla procura di Roma, cosicché si deve concludere che gli stessi pendano, allo stato innanzi alla stessa autorità giudiziaria. Evidenzia che il gip di Roma in data 15 settembre 2010 aveva emesso misura cautelare con riguardo ai reati di cui ai capi A C G K L BB CC EE FF GG DD II JJ . Rileva che in seguito la stessa procura di Perugia ha ritrasferito a Roma gli atti relativi ai fatti di cui ai capi A D L S X Z AA BB DD EE HH II JJ . Rileva che le due ordinanze da cui si desume l'avvenuta contestazione a catena sono state quindi pronunciate a Roma e a Perugia per fatti che oggi pendono innanzi all'autorità giudiziaria di Roma. 2. violazione di legge nella parte in cui il giudice del riesame ha affermato che la nuova ordinanza pronunciata dal giudice competente sostituisce la precedente ordinanza cautelare e i termini decorrono ex novo, perché in caso di pronuncia emessa dal giudice dichiaratosi competente ai sensi dell'articolo 27 c.p.p. il termine di fase della custodia cautelare comincia a decorrere dalla data dell'effettiva privazione della libertà personale e non dal momento in cui viene emessa una nuova misura cautelare. 3. violazione di legge con riferimento all'articolo 297 codice procedura penale laddove il tribunale del riesame ha operato un tentativo di subordinare il diritto ai termini di custodia certi solo al cospetto di condotte soggettivamente antidoverose dell'autorità procedente, travisando chiaramente la ratio dell'articolo 297 codice di procedura penale che è quella di fissare limiti obiettivi ed ineludibile alla durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale. Il ricorso è infondato. Per un corretto inquadramento della questione è opportuno richiamare sinteticamente le decisioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità nell'interpretazione della norma dettata dall'art. 297 cod. proc. pen., comma 3. Con la norma in esame, disciplinante l'istituto cosiddetto della contestazione a catena , il legislatore ha voluto codificare la regula iuris frutto dell'elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto la vigenza del previgente codice di rito, con la quale si era stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare, all'evidente fine di evitare il fenomeno della diluizione nel tempo della carcerazione provvisoria , attuata mediante l'emissione, in momenti diversi, nei confronti della stessa persona di più provvedimenti coercitivi concernenti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro. Così, nel suo testo originario l'art. 297 cod. proc. pen., comma 3 che riprendeva la disposizione da ultimo appositamente introdotta nel codice abrogato dalla L. n. 398 del 1984 stabiliva che la decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare applicata con un'ordinanza si sarebbe dovuta retrodatare al momento dell'esecuzione di altra precedente ordinanza cautelare, laddove i due provvedimenti avessero riguardato lo stesso fatto ovvero più fatti in concorso formale tra loro, oppure integranti ipotesi di aberratio delieti o di aberratio ictus plurioffensiva. Nella versione novellata nel 1995, da un lato è stato ristretto l'ambito applicativo della norma, con la previsione dell'operatività del meccanismo di retrodatazione esclusivamente con riferimento ai casi di connessione qualificata ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen., lett. b continuazione tra i reati e c limitatamente all'ipotesi di reati connessi per eseguire gli altri connessione teleologia dall'altro, introducendo una regola generale di retrodatazione automatica se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave automatismo, tuttavia, non applicabile laddove la seconda ordinanza cautelare veniva emessa dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza la disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma . La portata applicativa della disposizione in esame è stata, infine, ampliata per effetto della sentenza additiva n. 408 del 2005, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell'art. 297 cod. proc. pen., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell'emissione della precedente ordinanza ed ulteriormente precisata dalla sentenza n. 233 del 2011, con la quale la Consulta - reagendo ad un contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, che aveva finito per diventare diritto vivente - ha dichiarato la illegittimità dello stesso art. 297 comma nella parte in cui, con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi, non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura. Nella cornice normativa così tratteggiata, seguendo il percorso argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni rispettivamente del 2005 e del 2006 Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10-11 Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, P.M. in proc. Rahulia ed altri, Rv. 231057-8-9 , con riguardo alla contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è possibile - in linea schematica - riconoscere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole operative. In tutti e tre i casi è, comunque, necessario, perché si possa parlare di contestazione a catena e perché possa eventualmente trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253237 . La prima situazione è quella in cui le due o più ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fattireato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologia casi di connessione qualificata , e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo dell'art. 297 cod. proc. pen., comma 3, che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque - impiegando le parole delle Sezioni unite di questa Corte - indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l'esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure . Automatica retrodatazione della decorrenza dei termini che risponde all'esigenza di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabili dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata così C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89 , e che si determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit. . La seconda situazione rappresenta una variante della prima, presupponendo comunque l'accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è caratterizzata dall'intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo. Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte richiamate sentenze è irrilevante che gli stessi siano gemmazione di un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini. In siffatta diversa situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo dell'art. 297 cod. proc. pen., comma 3, sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza. Infine, la terza situazione è quella in cui tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate del concorso formale, della continuazione o del nesso teleologia per quest'ultimo, nei limiti fissati dal codice . Questa ipotesi, che in passato si riteneva pacificamente non riguardare l'art. 297 cod. proc. pen., comma 3, oggi rientra nel campo applicativo di tale disposizione codicistica per effetto della menzionata sentenza manipolativa della Consulta n. 408 del 2005. Ne consegue che la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l'autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l'adozione delle singole ordinanze . Il giudice deve, perciò, verificare se al momento dell'emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare, da intendersi - come sottolineato dai Giudici delle leggi - come elementi idonei e sufficienti per adottare il provvedimento cronologicamente posteriore. Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l'applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, Noci, Rv. 248895 Sez. 1, n. 22681 del 27/05/2008, Camello, Rv. 240099 . Il caso in esame, come indicato dal Tribunale e come riconosciuto dallo stesso ricorrente, rientra in quest'ultima ipotesi rispetto alla quale difetta però l'elemento della pendenza dei due procedimenti davanti alla stessa Autorità giudiziaria. I procedimenti pendono davanti ad autorità giudiziarie diverse per ragioni di competenza funzionale, inderogabile ed assoluta. È chiaro che la retrodatazione non ha ragione di operare quando la seconda misura viene disposta in un procedimento pendente davanti a un diverso ufficio giudiziario. In questo caso infatti la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza, e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che quindi la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura. Se la competenza appartiene a giudici diversi, il primo non ha ragione di disporre una misura cautelare per fatti di competenza del secondo, anche perché, a norma dell'art. 291, comma 2, c.p.p., il giudice incompetente è tenuto a disporre la misura cautelare nel solo caso in cui sussiste l'urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall'art. 274 c.p.p., e questa urgenza manca se il giudice riesce a soddisfare le esigenze cautelari disponendo la misura per i fatti di propria competenza. Il ricorrente è consapevole della correttezza dell'argomentare del Tribunale del Riesame, prova ne è che censura la decisione sostenendo genericamente l'attuale pendenza di entrambi i procedimenti avanti l'autorità giudiziaria di Roma senza però fornire alcun elemento di prova in ordine a tale assunto. Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'art. 94 disp. Att. C.p.p