La condotta del proprietario che sottrae una cosa sottoposta a sequestro nel corso di un procedimento penale, non affidata alla sua custodia, configura l’autonoma ipotesi di reato prevista dall’articolo 334, comma 3, c.p.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 45503, depositata il 4 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza con cui il Tribunale di Milano aveva condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di furto aggravato dalla destrezza. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato. Viene chiesto l’annullamento della sentenza, in quanto la condotta dell’imputato - il quale, portato negli uffici di polizia per i relativi adempimenti, dopo essere stato arrestato per detenzione a fine di illecito commercio di sostanza stupefacente sottoposta a sequestro dagli agenti, approfittando di un momento di distrazione degli uomini delle forze dell’ordine, si era nuovamente impadronito dello stupefacente, nascondendolo sulla sua persona, dove gli agenti lo avevano rinvenuto - deve essere ricondotta al paradigma normativo di cui all’articolo 334 c.p. La Corte di Cassazione si è espressa a favore della prospettazione difensiva, ritenendo che nel caso in esame debba trovare applicazione la previsione dell’articolo 334, comma 3, c.p., che configura come autonoma ipotesi di reato la condotta del proprietario che sottragga una cosa sottoposta a sequestro nel corso di un procedimento penale, non affidata alla sua custodia. La nozione estensiva di proprietario. A fondamento di tale affermazione, il Collegio riprende l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro penale o amministrativo, la nozione di proprietario non coincide con quella civilistica, dovendosi intendere in senso estensivo, sì da includervi anche la persona che abbia l’effettiva disponibilità del bene sottoposto a sequestro e che ne sia reale utilizzatore. Dato oggettivo è che lo stupefacente appartiene a chi lo detiene, il quale può liberamente disporne ed, al tempo stesso, ne giustifica il sequestro nell’ambito di un procedimento penale, in quanto corpo di reato soggetto a confisca obbligatoria. Si deve dedurre, pertanto, che l’imputato nel sottrarre la sostanza stupefacente agli agenti di polizia che ne avevano la legittima disponibilità, abbia agito in qualità di proprietario di una cosa sottoposta a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, indiscutibilmente sorto con l’arresto dello stesso, non affidata alla sua custodia. Qualificato il fatto ai sensi dell’articolo 334, comma 3, c.p., la Cassazione conclude per l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo esame del trattamento sanzionatorio.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 aprile – 4 novembre 2014, numero 45503 Presidente Bruno – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 20.5.2013 la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 21.5.2009, aveva condannato A.A.B.D.alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di cui agli articolo 624, 625, numero 4 e numero 7, c.p. 2. Avverso tale sentenza di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando il vizio di cui all'articolo 606, co. 1, lett. b ed e , c.p.p., in quanto, ad avviso del ricorrente, la condotta dell'A., il quale, condotto negli uffici della polizia per i relativi adempimenti, dopo essere stato arrestato per detenzione a fine di illecito commercio di sostanza stupefacente del tipo hashish, di cui erano stati rinvenuti in suo possesso e sottoposti a sequestro dagli agenti operanti 14,5 grammi lordi, approfittando di un momento di distrazione degli uomini delle forze dell'ordine, si era nuovamente impadronito dello stupefacente, nascondendolo sulla sua persona, dove gli agenti operanti lo avevano rinvenuto, all'esito di una nuova perquisizione personale, effettuata una volta accortisi della scomparsa della droga, deve essere ricondotta al paradigma normativo di cui all'articolo 334, c.p. 3. II ricorso è fondato e va accolto nei termini che seguono. 4. Non appare revocabile in dubbio, infatti, che nel caso in esame debba trovare applicazione la previsione dell'articolo 334, co. 3, c.p., che configura come autonoma ipotesi di reato la condotta del proprietario che sottragga una cosa sottoposta a sequestro nel corso di un procedimento penale, non affidata alla sua custodia. Come è noto, infatti, da tempo la giurisprudenza della Suprema Corte, con un consolidato orientamento, si è attestata sull'approdo interpretativo secondo cui ai fini della configurabilità del reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro penale o amministrativo, la nozione di proprietario non coincide con quella civilistica, dovendosi intendere in senso estensivo, sì da includervi anche la persona che abbia l'effettiva disponibilità del bene sottoposto al sequestro e che ne sia reale utilizzatore cfr. Cass., sez. VI, 18.4.2012, numero 40597, rv. 254000 Cass., sez. VI, 5.11.2013, numero 1658, rv. 258739 Cass., sez. VI, 20.11.1980, numero 1226, rv. 147655 . Tale principio, non può non applicarsi al caso in cui il rapporto di signoria di fatto sulla res, che ne implica la libera disponibilità e la reale utilizzazione da parte del soggetto agente, costituisca di per sé un illecito, come, per l'appunto, la detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente, in quanto la natura ontologicamente illecita di tale rapporto non fa venir meno il dato oggettivo che lo stupefacente appartiene a chi lo detiene, il quale può liberamente disporne ed, al tempo stesso, ne giustifica il sequestro nell'ambito di un procedimento penale, in quanto corpo di reato soggetto a confisca obbligatoria. Premesso, dunque, che la perdita di disposizione del bene sequestrato, che costituisce l'effetto tipico del sequestro penale, anche quando viene effettuato di iniziativa dalla polizia giudiziaria, si verifica nel momento in cui il soggetto, nei confronti del quale sia stata adottata detta misura cautelare, non possa più liberamente utilizzarlo in conseguenza della costituzione del vincolo di disponibilità sulla cosa, indipendentemente, dunque, dalla redazione e dal completamento del relativo verbale da parte degli agenti operanti, non può che concordarsi con la corte di appello nel ritenere che la sostanza stupefacente era stata già sequestrata alle ore 20, tant'è vero che non era più nella disponibilità dell'A. che solo approfittando di un momento di distrazione degli agenti era riuscito a impossessarsene nuovamente occultandola su di sé , pur essendo intervenuta la materiale redazione del primo verbale di sequestro in un orario successivo cfr. p. 2 della sentenza impugnata . Se ciò è vero, come è vero, se ne deve, allora, logicamente dedurre che nel momento in cui l'imputato, originario proprietario nei termini innanzi indicati della sostanza stupefacente che gli era stata sequestrata dalle forze dell'ordine, approfittando di un momento di distrazione degli agenti operanti, se ne è nuovamente impadronito, occultandola sulla sua persona, egli, nel sottrarla agli agenti di polizia che ne avevano la legittima disponibilità, abbia agito in qualità di proprietario di una cosa sottoposta a sequestro nell'ambito di un procedimento penale, indiscutibilmente sorto con l'arresto dello stesso A., non affidata alla sua custodia. Deve, pertanto, condividersi la prospettazione difensiva secondo cui la condotta del ricorrente rientra nella previsione dell'articolo 334, co. 3, c.p.p., ed in questi termini va riqualificata. Non è da ostacolo a tale soluzione la circostanza che la relativa questione di diritto non è stata prospettata in sede di appello, rientrando nei poteri di cognizione officiosa della Corte di cassazione, ex articolo 609, co. 2, c.p.p., la corretta qualificazione giuridica dei fatto cfr. Cass., sez. II, 22/05/2009, numero 39841, rv. 245236 . 5. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, la sentenza impugnata, previa diversa qualificazione del fatto di cui è stata ritenuta la sussistenza, ai sensi dell'articolo 334, co. 3, c.p., va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano per nuovo esame sul trattamento sanzionatorio, che va adeguato alla nuova fattispecie, fermo restando il passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado in punto di affermazione di responsabilità dell'A. in ordine al fatto come diversamente qualificato. Ciò in ossequio al principio della cd. formazione progressiva del giudicato , che opera nel caso in cui si dia luogo ad annullamento parziale con rinvio della sentenza di condanna su punti diversi da quelli concernenti la responsabilità dell'imputato cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 18/01/2000, numero 2448, rv. 215419 . P.Q.M. Qualificato il fatto ai sensi dell'articolo 334, comma terzo, c.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano per nuovo esame del trattamento sanzionatorio.