Nessun dubbio sulla stranezza della condotta dell’uomo, il quale ha donato una consistente parte del proprio patrimonio immobiliare al fratello. A prenderla male, però, è soprattutto la moglie consequenziale è la crisi della coppia. E, una volta ufficializzata la separazione, a causa della follia economica, all’uomo viene addebitata la crisi del rapporto con la coniuge.
Scelta di vita opinabile, ma assolutamente legittima, almeno a livello personale, quella dell’uomo che, quasi francescanamente, si libera delle sue proprietà. Ma, in questo caso, c’è anche un’altra persona da considerare coinvolta, la moglie Proprio per questo, il personale depauperamento messo in atto dall’uomo è valutabile come causa scatenante della rottura della pace familiare. E ciò comporta l’addebito al marito per la separazione Cass., ordinanza numero 23307/2014, Sesta Sezione Civile, depositata oggi . Donazione fatale A rompere gli ‘equilibri’, nel delicato «procedimento dei separazione giudiziale» della coppia, sono i giudici della Corte d’Appello, i quali non si limitano a confermare il «mantenimento» – con un assegno mensile di 1.600 euro – a carico dell’uomo e a favore «della moglie e delle figlie», ma decidono di addebitare «la separazione al marito», colpevole di avere follemente depauperato il proprio «patrimonio». Pronta la reazione dell’uomo, che sceglie di ricorrere in Cassazione, contestando la decisione emessa in secondo grado e aggiungendo, come elemento a proprio favore, i presunti «comportamenti vessatori» tenuti dalla «moglie». Ma, nonostante tutto, il quadro, come tracciato in Appello, viene condiviso e confermato dai giudici del ‘Palazzaccio’ resta, quindi, sulle spalle dell’uomo l’«addebito» della separazione. Decisiva la constatazione del fatto che l’uomo «abbia donato una consistente parte del suo patrimonio immobiliare al fratello», provocando, è logico, un «notevole depauperamento» del proprio ‘portafoglio’. Evidente, per i giudici, il nesso tra il «comportamento» del marito e l’«intollerabilità della convivenza», soprattutto tenendo presente che il «depauperamento» messo in atto dall’uomo rappresenta una «violazione» rispetto all’«obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 8 luglio – 31 ottobre 2014, numero 23307 Presidente Di Palma – Relatore Dogliotti Ricorre per cassazione il marito. Resiste con controricorso la moglie. Precisa il giudice a quo che i comportamenti vessatori della moglie non sono affatto provati nè possono identificarsi con le iniziative giudiziarie da essa intraprese nella specie domanda di interdizione . Quanto alle prove testimoniali richieste e già dichiarate inammissibili in primo grado, l'inammissibilità è stata confermata in grado di appello, con motivazione adeguata, seppur concisa. Quanto all'addebito al marito, è pacifico che l'odierno ricorrente abbia donato una consistente parte del suo patrimonio immobiliare al fratello e venduto allo stesso altra parte. Il giudice a quo non intende affatto dichiarare una simulazione non richiesta, quanto affermare che non sono provate le ragioni della donazione e cioè l'esistenza di debiti verso il fratello ciò che fa ritenere necessariamente sussistente il notevole depauperamento del patrimonio del ricorrente. La sentenza impugnata, argomentando , all'evidenza, per presunzioni, ritiene sussistente il nesso di causalità tra comportamento addebitabile ed intollerabilità della convivenza, precisando che it predetto depauperamento costituisce sicura violazione dell'obbligo di contribuzione di cui all'articolo 143 c.c., espresso con una condotta particolarmente grave per i connotati che ha assunto, e tale da assorbire ogni altro profilo di censura, pur sollevato dalla moglie nei confronti del marito. Ancora, il giudice a quo afferma, riguardo alla differente stima effettuata dal CTU rispetto al CTP dell'appellante, che non è necessario raggiungere una perfetta identità numerica, essendo sufficiente comprendere quali potessero essere le utilità economiche che da quel patrimonio potevano risultare più anche se si ritenesse fondata la valutazione del CTP in €. 220.000,00 sul valore delle attuali proprietà del ricorrente ed in €. 550.000,00 circa i beni ceduti al fratello} Ciò giustifica anche l'importo dell'assegno per la moglie. Quanto all'assegno per le figlie ormai maggiorenni è evidente che l'odierno ricorrente avrebbe dovuto fornire prova della autonomia economica di esse ovvero del mancato raggiungimento di tale autonomia per loro colpa. Precisa il giudice a quo che tale prova non è stata raggiunta. Il ricorso presenta qualche profilo di non autosufficienza, non riportando specificamente passi della CTU e delle osservazione del CTP in ordine dal degangeramente del ricorrente. Va conclusivamente rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in €. 4.000,00 per compensi, €. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell'articolo 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.