Sottrazione di cose comuni o appropriazione indebita? Il ricorso per cassazione garantisce il contraddittorio

Qualora in appello venga effettuata una diversa qualificazione giuridica del fatto, senza che l’imputato abbia potuto interloquire preventivamente sul punto, la garanzia del contraddittorio è comunque assicurata dalla possibilità di ricorrere per cassazione.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 45795/12, depositata il 23 novembre. Il caso. Un imputato viene assolto in appello dal reato di truffa, ma il fatto originariamente contestato quale sottrazione di cose comuni viene riqualificato come appropriazione indebita articolo 627 c.p. . L’uomo ricorre allora per cassazione. Una reformatio in peius? Il ricorrente contesta anzitutto l’inosservanza del divieto di reformatio in peius, ma gli Ermellini evidenziano che in primo grado il reato di sottrazione di cose comuni non era stato considerato autonomamente in ordine alla determinazione della pena, dal momento che era stata riconosciuta la continuazione con il reato di truffa il giudice di secondo grado può dare una più grave qualificazione giuridica al fatto, fermo restando che non può essere irrogata una pena più grave. Nel caso di specie ciò non è avvenuto, in quanto la sanzione inflitta in concreto nove mesi di reclusione e € 500 di multa non è incompatibile con la pena prevista per il reato di cui all’articolo 627 c.p La correlazione tra imputazione e sentenza . Con una seconda censura l’imputato lamenta la mancata correlazione tra imputazione contestata e sentenza anche tale motivo di ricorso è tuttavia infondato perché, a giudizio della Cassazione, la Corte territoriale non ha mutato radicalmente, nei suoi elementi essenziali, il fatto oggetto del capo di imputazione, bensì ha solo rinvenuto che la condotta contestata movimentazione di somme giacenti su un c/c integrasse gli estremi del reato di appropriazione indebita. . e la garanzia del contraddittorio. La S.C. analizza poi in quali termini vada comunque assicurata all’imputato la garanzia del contraddittorio nel caso in cui il fatto venga qualificato diversamente secondo la CEDU, infatti, l’imputato, una volta informato dell’accusa, deve essere messo in grado di discutere in contraddittorio su ogni profilo che la investe cfr. caso Drassich c/o Italia . In base a questo principio è stato affermato che sarebbe nulla la sentenza di appello che attribuisca al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica senza che l’imputato abbia potuto preventivamente interloquire sul punto. Nel caso Drassich, però, il mutamento è avvenuto ad opera della S.C. qualora, come nel caso di specie, la diversa qualificazione intervenga in sede di appello, la garanzia del contraddittorio è comunque assicurata dalla possibilità di contestazione mediante il ricorso per cassazione. Per questi motivi gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 – 23 novembre 2012, numero 45795 Presidente Petti – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20/10/2011, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, in data 20/1/2010, assolto T.G. dal reato di truffa e riqualificato il reato sub b in appropriazione indebita, rideterminava in nove mesi di reclusione ed Euro 500,00 di multa la pena inflitta per il reato sub b . Confermava nel resto la sentenza impugnata, ordinando la restituzione dell'immobile in sequestro preventivo all'usufruttuaria B.A. ed al proprietario T.G. , secondo i rispettivi titoli. 3. Avverso tale sentenza propongono ricorso, sia il difensore dell'imputato irreperibile, che la parte civile B.A. . Il difensore dell'imputato solleva tre motivi di gravame con il quali deduce 3.1 Inosservanza del divieto di reformatio in peius eccependo che, in assenza di appello del P.M., la Corte non avrebbe potuto riqualificare come appropriazione indebita il fatto contestato sub b con l'imputazione di sottrazione di cose comuni 3.2 Violazione degli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero per mancata correlazione fra l'imputazione contestata sub B e la sentenza 3.3 Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità dell'imputato per il reato di appropriazione indebita. 4. La parte civile deduce inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 640 e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che non può dubitarsi della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di truffa poiché il T. , comprendendo la debolezza sentimentale della donna, metteva in atto una vera e propria strategia truffaldina, consistente nel simulare amore ed attenzioni eterne, salvo poi sparire nel nulla, dopo aver portato via l'ultimo denaro rimasto alla parte civile con movimentazioni bancarie ben organizzate. Si duole di motivazione contraddittoria da parte della Corte d'appello e chiede che venga ripristinata l'efficacia del sequestro preventivo, cassando la restituzione dell'immobile oggetto di sequestro. Considerato in diritto Il ricorso dell'imputato è infondato. 2. Per quanto riguarda il primo motivo in punto di divieto di reformatio in peius, le censure del ricorrente non sono fondate. Nel caso di specie il giudice di primo grado non aveva determinato in via autonoma la pena per il reato sub b , relativo all'imputazione di cui all'articolo 627 cod. penumero , avendo applicato la continuazione sulla pena base determinata rispetto al più grave reato di truffa. Essendo venuta meno la condanna per il reato di truffa, avrebbe dovuto essere determinata in appello, ex novo, la pena per il reato di cui all'articolo 627 cod. penumero Pertanto non è possibile qualificare come più grave la pena inflitta dalla Corte d'appello a seguito della riconosciuta responsabilità dell'imputato per il fatto di cui al capo B , diversamente qualificato rispetto all'imputazione originaria. Del resto la norma di cui all'articolo 597, 3 comma, cod. proc. penumero non vieta al giudice d'appello di dare una più grave qualificazione giuridica del fatto, fermo restando che non può essere irrogata una pena più grave cfr Cass. Sez. 6, Sentenza numero 23024 del 04/02/2004 Ud. dep. 17/05/2004 Rv. 230440 . Nel caso di specie la diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto operata dai giudici d'appello non ha comportato alcuna violazione del divieto di reformatio in peius dal momento che la pena - in concreto - inflitta per il reato di appropriazione indebita mesi nove di reclusione ed Euro 500,00 di multa non è incompatibile con la pena prevista per il reato di sottrazione di cose comuni, per il quale può essere irrogata una pena fino a due anni di reclusione. 3. Per quanto riguarda il secondo motivo, in punto di violazione del principio di correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza, la censura è infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente chiarito che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso T'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione Cass. Sez. U, Sentenza numero 36551 del 15/07/2010 Ud. dep. 13/10/2010 Rv. 248051 da ultimo Sez. 3, Sentenza numero 36817 del 14/06/2011 Ud. dep. 12/10/2011 Rv. 251081 . 4. Nel caso di specie all'imputato è stato originariamente contestato il reato di cui all'articolo 627 per essersi appropriato delle somme giacenti sul c/c cointestato con la B. . Pertanto l'oggetto dell'imputazione riguardava la movimentazione delle somme giacenti sul c/c operata dall'imputato a suo esclusivo profitto. La Corte d'appello non ha immutato il fatto oggetto del capo d'imputazione rispetto al quale l'imputato ha avuto ampia possibilità di sviluppare la sua difesa, bensì ha qualificato tale fatto cioè la movimentazione delle somme giacenti sul c/c come integrante gli estremi del reato di appropriazione indebita, piuttosto che sottrazione di cose comuni. La Corte ha correttamente qualificato il fatto come appropriazione indebita, osservando che il T. si è appropriato di importi “di cui poteva disporre in ragione della cointestazione ma che sicuramente non potevano ritenersi di sua pertinenza”. 5. Rimane un ulteriore profilo da esaminare, vale a dire in quali termini debba essere comunque assicurata all'imputato la garanzia del contraddittorio, a fronte della possibilità di diversa qualificazione giuridica del fatto, alla luce della nota pronunzia della Corte EDU nel caso Drassich c/o Italia. Per la Corte Europea, il processo equo impone che l'imputato, una volta informato dell'accusa e cioè dei fatti e della qualificazione giuridica a essi attribuita, deve essere messo in grado di discutere in contraddittorio su ogni profilo che li investe. Contraddittorio che deve essere garantito anche là dove l'ordinamento - come nel caso italiano -riconosca al giudice il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nella imputazione ab origine ascritta all'imputato. 6. Di conseguenza sebbene l'articolo 521 c.p.p., comma 1, consenta al giudice di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nel capo d'imputazione, senza esigere l'instaurazione di un previo contraddicono sul punto, nondimeno la norma citata deve essere letta in coordinazione con l'articolo 6, comma 3, lett. a e b , della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, secondo l'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, di cui si è detto. In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte Suprema con riferimento allo specifico tema qui trattato, enunciando il principio - che va ribadito - secondo cui la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all'imputato anche in ordine alla diversa definizione del fatto operata dal giudice d'ufficio Sez. 6, numero 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754 . 7. Da tale principio è stata tratta la conclusione che è nulla la sentenza d'appello con la quale sia stata attribuita al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica senza che l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto Cass. Sez. 5, Sentenza numero 6487 del 28/10/2011 Ud. dep. 17/02/2012 Rv. 251730 . 8. Il Collegio non condivide tale arresto, rilevando che nel caso Drassich, il mutamento della qualificazione giuridica del fatto fu operato dalla Corte di Cassazione con la sentenza che definì il giudizio. In tal modo l'imputato fu privato della possibilità di interloquire e di contestare la nuova qualificazione giuridica del fatto. Qualora, invece, il mutamento della qualificazione giuridica del fatto sia operato in appello, la garanzia del contraddittorio è comunque assicurata dal fatto che l'imputato può interloquire e contestare la nuova qualificazione giuridica del fatto, mediante il ricorso per cassazione, attinendo la qualificazione giuridica a profili di legittimità, e non di merito, che ben possono essere denunziati con il ricorso per cassazione. Di conseguenza può essere affermato il seguente principio di diritto “qualora una diversa qualificazione giuridica del fatto venga effettuata in appello, senza che l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa qualificazione mediante il ricorso per cassazione”. 9. Nel caso di specie la garanzia del contraddittorio è stata - in concreto - assicurata poiché l'imputato ha potuto contestare, mediante il ricorso, la qualificazione giuridica del fatto operata dalla Corte d'appello, sviluppando le proprie difese sul punto. Difese che non possono essere accolte poiché, come rilevato sopra, correttamente la Corte d'appello ha qualificato come appropriazione indebita la condotta del titolare di un c/c bancario cointestato che si appropri della quota di pertinenza dell'altro cointestatario. 10. Infine deve essere dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso poiché muove delle censure in fatto che postulano un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni formulate nella sentenza impugnata, fondate su un percorso argomentativo privo di vizi logico giuridici e come tali incensurabili. 11. Per quanto riguarda il ricorso della parte civile, le censure prospettate dalla ricorrente, anche se propongono una lettura dei fatti dotata di coerenza logica, non fanno emergere profili di manifesta illogicità della decisione impugnata, che siano rilevabili ictu oculi. La Corte, infatti, ha fondato le conclusioni assunte in punto di insussistenza dell'elemento oggettivo della truffa su una motivazione, sia pure opinabile, ma priva di vizi logici, osservando che “la B. ha posto di sua iniziativa le basi del rapporto, senza essere vittima di raggiro alcuno. Ha liberamente coltivato la conoscenza maturata via chat, offrendo le occasioni d'incontro ed inducendo T. a vivere a XXXXX. A convivenza instaurata ha improntato la sua condotta, anche di disposizione economica, nell'ottica di rafforzare e stabilizzare il rapporto, senza che nelle sue scelte possa apprezzarsi un'influenza di T. tale da fuorviare in modo ingannevole la sua libera determinazione”. Tali conclusioni sono fondate su presupposti di fatto che non possono essere rivalutati in sede di legittimità che rendono la sentenza logica rispetto a sé stessa . Di conseguenza il ricorso della parte civile deve essere respinto. 12. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che rigetta i ricorsi, i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento. L'imputato deve essere condannato, altresì, alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo, previa compensazione al 50%, poiché la parte civile, soccombente rispetto al proprio ricorso, è comunque vittoriosa rispetto al ricorso dell'imputato. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, altresì, l'imputato alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile B.A. in questo grado, che liquida per la metà in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge, dichiarando compensata l'altra metà.