La merce pignorata non può essere riportata in bilancio

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il bilancio non può riportare anche la merce sottoposta a pignoramento.

A tal fine, sarebbe infatti necessario redigere una nota esplicativa, per segnalare che si tratta di merce ormai uscita dal patrimonio dell’azienda, e destinata alla vendita per soddisfare esigenze di creditori insoddisfatti. La merce pignorata deve inoltre essere riportata in bilancio al costo e non al valore di mercato, trattandosi di cose invendibili e dalle quali, pertanto, alcuna utilità può essere legittimamente ricavata, se non dai creditori pignoranti al termine della procedura di esecuzione forzata. Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 45664, depositata il 23 novembre 2012. La bancarotta per distrazione La condotta di distrazione costituisce il comportamento tipico, ed allo stesso tempo residuale, di bancarotta fraudolenta patrimoniale, quello che più di ogni altro racchiude il disvalore offensivo del reato di cui all’articolo 216 della legge fallimentare. Essa infatti può avvenire nelle forme più particolari, trattandosi di condotta a forma libera, ma resta sempre connotata da un carattere unitario, che è quello di rendere il bene aziendale inidoneo alla funzione di garanzia dei creditori sociali. Distrarre il bene equivale pertanto ad estrometterlo dal patrimonio del debitore, ad esempio costituendo su di esso altrui diritti di godimento o di garanzia. Ne consegue che l’estromissione del bene può essere tanto giuridica quanto materiale, purchè avvenga senza alcuna contropartita o senza una contropartita reperibile. In entrambi i casi, il risultato è quello di impedire, agli organi del fallimento, di apprendere i beni al fine del soddisfacimento delle pretese dei creditori sociali. Alla condotta di distrazione consegue spesso una effettiva diminuzione patrimoniale. Ciò può verificarsi sia con atti a titolo gratuito che a titolo oneroso, ove ricorrano operazioni commerciali sbilanciate in danno dell’imprenditore. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato una condotta distrattiva anche in capo a colui che, nella qualità di amministratore di una società, abbia beneficiato di mutui concessi da una banca nell’interesse dell’amministratore, e non della società da questi legalmente rappresentata sul punto, vedasi Cass., 26 giugno 1990 . Altre condotte di distrazione sono state rinvenute nel comportamento dell’imprenditore che abbia stipulato un contratto di locazione a terzi di beni aziendali, o che abbia anche solo temporaneamente ceduto cespiti facenti parte del patrimonio dell’impresa. e l’imputazione in bilancio dei beni pignorati . Nel caso di cui alla sentenza in commento, la difesa dell’imputato contestava l’assunto della Corte di Appello di L’Aquila, secondo cui la voce di bilancio della società fallita, relativa a merce in magazzino, doveva riferirsi necessariamente a beni che si trovavano in magazzino dopo l’avvenuto pignoramento. Per l’imputato, infatti, al momento della redazione del bilancio, la merce era certamente stata pignorata, ma non ancora venduta per ciò solo, essa doveva dunque essere oggetto di appostazione in bilancio, al valore di mercato. Opinione contraria ha espresso sul punto la quinta sezione della Suprema Corte con la decisione in esame, secondo cui la merce pignorata in tanto potrebbe essere imputata nel bilancio della società fallita, in quanto sia fatta oggetto di apposita nota esplicativa, atta a rendere edotti i terzi della non vendibilità di essa, in ossequio al disposto dell’articolo 2913 c.c

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 ottobre - 22 novembre 2012, numero 45664 Presidente Teresi – Relatore Fumo Rilevato in fatto 1. La corte d'appello di L'Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia di primo grado emessa dal GUP di Chieti a seguito di rito abbreviato , ha assolto B.M. dal delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, con riferimento alla somma di lire 448.068.360 perché il fatto non sussiste ha confermato l'affermazione di responsabilità e la condanna del predetto, con riferimento alla bancarotta fraudolenta per distrazione della merce in magazzino, stimata in lire 160.012.535, escludendo l'aggravante contestata e confermando nel resto la sentenza del GUP. I fatti si riferiscono al fallimento della S.r.l. Baldassarre 2000, dichiarato con sentenza del giorno omissis . 2. La corte, rilevando, unitamente al giudice di primo grado, che non era stata rinvenuta merce in magazzino, considerando che alla rimanenza dell'anno precedente doveva essere aggiunta la merce successivamente acquistata e sottratta la merce oggetto di pignoramento da parte dell'ufficiale giudiziario, è giunta, anche sulla base delle valutazioni operate dal curatore, alla conclusione che effettivamente era ingiustificata la mancanza di merce per un controvalore pari a quello sopra indicato. 3. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato e deduce violazione di legge e carenza dell'apparato motivazionale. 3.1. Osserva che, nella relazione del curatore si legge che lo stesso, per calcolare il valore della merce in magazzino, era partito dal valore dichiarato alla data del 31 dicembre 2000, aveva aggiunto le merci acquistate nel 2001 fino alla chiusura dell'attività, nel mese di agosto e, alla somma così determinata, aveva sottratto un valore calcolato in misura del 36%, in considerazione del presumibile deprezzamento delle merci stesse capi di abbigliamento . Ebbene non si comprende – innanzitutto - in base a quali parametri sia stato calcolato questo valore del 36% e con quale criterio sia stato addizionato il valore delle merci dell'anno precedente a quello delle merci acquistate nel 2001, atteso che, trattandosi, come premesso, di capi di abbigliamento, la loro svalutazione è rapidissima. 3.2. Al proposito, viceversa, si deve considerare che la merce soggetta a pignoramento presuntivamente valutata dall'ufficiale giudiziario al valore di lire 32 milioni rappresentava l'intera giacenza di magazzino, in considerazione del fatto che, sulla base delle evidenze contabili, gran parte della merce acquistata nell'anno 2001 era stata rivenduta. Residuava – dunque - una minima parte di merce acquistata nel 2001 e una gran parte di merce dell'anno precedente, merce che, per le ragioni sopra indicate, oltre che per la stima al ribasso operata dall'ufficiale giudiziario, doveva ritenersi di scarsissimo valore commerciale. 4. La corte d'appello, osserva ancora il ricorrente, per vero, rileva che la contabilità aziendale fu redatta in un momento successivo al pignoramento, effettuato dall'ufficiale giudiziario e da ciò desume che la voce riportata in bilancio - e relativa a merce in magazzino lire 138 milioni - doveva necessariamente riferirsi a beni che si trovavano, appunto, in magazzino dopo l'avvenuto pignoramento. Così ragionando, tuttavia, i giudici di appello non tengono conto del fatto che, al momento della redazione del bilancio, la merce era certamente stata pignorata, ma non ancora venduta e che quindi essa doveva comunque essere riportata in bilancio. Che il valore della merce fosse di gran lunga inferiore a lire 138 milioni è evidente in base al ragionamento prima sviluppato sottostima da parte dell'ufficiale giudiziario, vendita di gran parte della merce recentemente acquistata, svalutazione della merce giacente in magazzino dall'anno precedente . 4.1. D'altra parte, anche sul piano della logica, l'ipotesi accusatoria non regge, in quanto, se l'imputato avesse avuto un'effettiva volontà distrattiva, egli non avrebbe fatto rinvenire la merce neanche all'ufficiale giudiziario. Considerato in diritto 1.1. Se pur fosse vero che il bilancio dovesse riportare anche la merce sottoposta a pignoramento, ciò, senza dubbio non potrebbe esser fatto sic et simpiciter , ma l'appostazione dovrebbe, quantomeno, essere accompagnata da una nota esplicativa, che segnalasse che si tratta di cose ormai uscite dal patrimonio della azienda e destinate alla vendita per soddisfare esigenze di creditori insoddisfatti. 1.2. Il fatto è, per altro, che in bilancio le merci si riportano o al costo, o al valore di mercato. Orbene, le merci pignorate, in quanto invendibili, non hanno ovviamente alcun valore di mercato. Nel caso di specie, esse avrebbero dovuto, allora, essere riportate al costo. Ne deriva che il ragionamento esibito dalla corte di merito appare corretto. La merce acquistata nel 2001 - si apprende in sentenza e non viene negato dal ricorrente - aveva un valore di costo pari a lire 197.692.937. 1.3. I giudici di secondo grado ritengono non ipotizzabile che il suo valore fosse ridotto a zero, né che fosse stata tutta venduta il ricorrente afferma che gran parte fu venduta, ma non risulta aver fornito, nella fase di merito, prova dio ciò . Dunque non potendo essere appostata per le ragioni anticipate la merce pignorata e non potendo la merce nuova essere considerata di valore nullo, ovvero completamente venduta, consegue che la trama motivazionale della sentenza della corte aquilana appare coerente e immune da vizi logici. 2. Consegue condanna alle spese del grado. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.