Precluse al giudice tributario le decisioni ""salomoniche""

di Antonio Terlizzi

di Antonio Terlizzi *Il ricorso all'equità effettuato dalla decisione di primo gado per giustificare la riduzione del reddito di impresa è del tutto illegittimo posto che nell'ordinamento tributario non è previsto il ricorso a criteri equitativi per sostenere il giudice nelle sue decisioni, previsione che sarebbe stata invece necessaria per il carattere derogatorio ed eccezionale che il giudizio secondo criteri di equità assume nell'ordinamento generale. Tale assunto è stato statuito dalla recente sentenza numero 28 del 12 gennaio 2011 della Commissione Tributaria Regionale di Roma, sez. I.Se l'avviso di accertamento non è valido per motivi sostanziali Orbene, è ius receptum che non è configurabile la sussistenza di qualsivoglia potere equitativo in capo al giudice tributario pertanto, il giudice tributario se ritiene invalido l'avviso di accertamento per motivi di carattere sostanziale, deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte ordinanza numero 19079 del 1° settembre 2009 della Corte di Cassazione . Nel corso del processo tributario, i giudici non possono modificare l'ammontare delle imposte chieste dal fisco utilizzando una valutazione equitativa e secondo parametri di esperienza ma devono attenersi alla dichiarazione del contribuente e agli accertamenti dell'amministrazione. Sussiste l'obbligo per il giudice tributario di fornire le motivazioni dei criteri e delle ragioni che lo hanno indotto a ridurre i ricavi accertati da fisco, non potendo lo stesso decidere secondo equità. la pretesa tributaria va esaminata nel merito. Dalla natura del processo tributario annoverabile tra i processi di impugnazione-merito deriva che ove il giudice tributario ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. Il processo tributario, in quanto annoverabile tra i giudizi di impugnazione-merito, è per questo finalizzato non già alla sola eliminazione dell'atto impugnato eventualmente ritenuto invalido, bensì anche e soprattutto alla sostituzione del medesimo. Il giudice tributario di volta in volta investito della controversia è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria il cui avviso di accertamento ritenga invalido per motivi di carattere sostanziale e non formale, non potendosi, per quanto innanzi, limitarsi in ipotesi siffatte al solo annullamento dell'atto impositivo Cass. numero 15825/06, numero 17127/07 . No alle valutazioni equitative. La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione Sent. numero 19079/2009 ha stabilito che nel processo tributario, il giudice deve attenersi a quanto dichiarato dal contribuente e a quanto accertato dall'Amministrazione avendo, lo stesso, un potere alquanto limitato sull'accertamento. Non sussiste in ogni caso la possibilità di effettuare valutazioni equitative. Inoltre, ha evidenziato che nel caso di specie il giudice tributario, riconosciuta l'incongruenza dell'accertamento dell'Ufficio, non offre tuttavia alcuna verificabile motivazione riguardo ai criteri ed alle ragioni che lo inducono a ridurre del 20% i ricavi ed i corrispettivi accertati, ed in tali limiti - dovendosi escludere la sussistenza di qualsivoglia potere equitativo - il ricorso va accolto . Non solo non esiste una norma che attribuisca un tale potere al giudice tributario per cui il riconoscimento di un siffatta facoltà comporterebbe un indebito ampliamento dei poteri delle commissioni tributarie , ma soprattutto la natura giurisdizionale delle commissioni tributarie non lascia dubbio alcuno sulla piena applicabilità anche al giudizio tributario di quelle disposizioni costituzionali quali ad esempio l'articolo 101 della Costituzione, che stabilisce che il giudice è soggetto soltanto alla legge che relegano il giudizio di equità entro spazi limitati e tassativamente stabiliti dal legislatore . La riserva di legge relativa articolo 23 Cost. ed il processo tributario. L'impossibilità per il giudice tributario di ricorrere a una pronuncia equitativa e, soprattutto, l'inesistenza nel nostro ordinamento giuridico di una disposizione attributiva di tale potere, trovano la propria ragione giustificativa nel principio costituzionale della riserva di legge relativa, stabilito nell'articolo 23 della Costituzione, in virtù del quale nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge . In base alla richiamata disposizione costituzionale la legge può non disciplinare integralmente il rapporto tributario, demandando la regolamentazione specifica a una fonte subordinata, ma deve comunque contenere gli elementi necessari per individuare il tributo e cioè il presupposto di fatto, i soggetti passivi e le aliquote. È evidente, pertanto, che riconoscere al giudice tributario il potere di ridurre equitativamente il debito d'imposta, prescindendo dalle norme fissate all'uopo dal legislatore, si tradurrebbe in un palese aggiramento del precetto costituzionale Nel caso in cui, la Commissione tributaria decidesse secondo equità , la sentenza, già solo per tale motivo, dovrebbe essere considerata nulla in quanto in sostanza non motivata, come invece richiesto dall'articolo 36 del D.Lgs. numero 546/92 e dall'articolo 132 c.p.c Il principio desumibile dagli articoli 132 c.p.c. e 118, disposizioni attuative dello stesso codice, secondo cui la mancanza della motivazione determina la nullità della sentenza allorquando renda impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, è applicabile, infatti, anche al rito tributario, come disciplinato dal D.Lgs. numero 546/92, in forza del generale rinvio contenuto nell'articolo 1, comma 2, del citato decreto alle norme del codice di rito Cassazione, sezione tributaria, sentenza 12/2/2001, numero 1944 Cassazione, sentenza numero 3282/99 .La motivazione esplicita l'iter logico-giuridico seguito dal giudice. Una pronuncia del genere non consentirebbe di individuare le ragioni della decisione adottata, sì da rendere impossibile la stessa contestazione in fatto e in diritto della congruità della motivazione in relazione al caso deciso v. Ctc, numero 1685/90 . La funzione della motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale consiste proprio nel rendere evidente l'iter logico-giuridico seguito dal giudicante, consentendo così al soggetto interessato un'adeguata attività di controllo e difensiva Cassazione, sentenza numero 13625/91 . Cosa che, invece, in caso di decisione secondo equità, non potrebbe avvenire. Il giudice tributario quindi, così come ogni altro organo giudicante, deve indicare gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento in caso contrario, si ha una omessa pronuncia. Come infatti riconosciuto dalla Cassazione con la sentenza numero 12503 del 26 agosto 2002, non è correttamente motivata la decisione del giudice di merito che di fronte alla insufficienza degli elementi probatori proceda ad un accertamento delle riprese a tassazione in via equitativa . Sulla nullità della sentenza. Giova, infine, ricordare che la nullità della sentenza deve essere fatta tuttavia valere secondo le regole e i termini dei mezzi di impugnazione in osservanza del principio di conversione dei vizi della sentenza in motivi di impugnazione. In caso di mancato impugnazione la sentenza sarà sanata dal passaggio in giudicato, che è la causa di sanatoria più penetrante esistente. La decisione emessa secondo equità è una pronuncia affetta da nullità, ma pur sempre esistente e, per il principio di carattere generale contenuto nell'articolo 161 c.p.c. circa la conversione dei vizi della sentenza in motivi d'impugnazione, tali vizi devono essere fatti valere nel rispetto delle regole procedimentali che regolano il giudizio di gravame - fra le quali è fondamentale quello dell'osservanza dei termini per la proposizione dell'impugnazione - con la conseguenza che la mancata osservanza di tali termini, da una parte, determina il passaggio in giudicato della pronuncia e, dall'altra, rende inammissibile il ricorso tardivamente proposto, senza alcuna possibilità di rilevare e sanzionare la pregressa nullità. Anche per le sentenze tributarie vale la regola generale della concisa esposizione dei fatti di causa. E' utile precisare che la novella di cui alla legge numero 69/2009 interviene a rendere più snella la struttura della sentenza. L'articolo 132 c.p.c., individuando i contenuti indispensabili della decisione, specifica al numero 4 come la sentenza debba riportare la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione sottraendo alle incombenze del giudice quella di riassumere lo svolgimento del processo attraverso gli atti difensivi delle parli come era previsto nel testo previgente e invitandolo a soffermarsi sulla ratio decidendi da esplicitare in maniera il più possibile sobria e sintetica. La disposizione va correlata con l'articolo 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile pure novellato che spiega che cosa si intende per succinta esposizione riferendola ai fatti rilevanti della causa e alle ragioni giuridiche della decisione anche con riferimento a precedenti conformi. La norma - sicuramente applicabile al giudizio tributario - è operativa nell'immediato e serve a eliminare i ridondanti resoconti storici della vicenda in tutti i suoi passaggi accertativi e contestativi che caratterizza molte sentenze tributarie, consentendo al giudice di dedicarsi con più vigore alla motivazione disimpegnandosi dalla parte fattuale. I fatti processuali di rilievo devono essere solo richiamati nel corpo della motivazione e nella misura in cui abbiano effettiva attinenza con le questioni da decidere.* esperto tributario

Commissione Tributaria Regionale di Roma, Sez. I, sentenza 12 ottobre 2010 - 12 gennaio 2011, numero 28Presidente Varrone - Relatore ZaccardiFatto e dirittoLa decisione appellata ha accolto in parte il ricorso proposto dal Centro Immobiliare Laziale di Gallenzi A. e c. s.numero c. in seguito Società per l'annullamento dell'avviso di accertamento con cui erano stati recuperati a tassazione a fini IRAP ed IVA per l'anno 2001 determinando ricavi per Lire 36.000.000, con conseguente determinazione del reddito dì impresa in Lire.12.000.000, dell'imponibile IVA in Lire 24.000.000 e dell' imponibile IRAP in Lire 12.000.000.Il giudice di primo grado ha ritenuto che i costi accertati, di modesta entità Lire 12.092.000 , non giustificassero l'accertamento in mancanza di una adeguata motivazione sulla percentuale di ricarico applicata ed ha, quindi, in via equitativa, ridotto l'accertamento dell'ufficio nei limiti qui indicati.Nell'atto di appello, che a giudizio del Collegio é meritevole di accoglimento, l'Agenzia delleEntrate di Roma, Direzione provinciale III, Ufficio Controlli, ha censurato la decisione qui in esame per l'evidente errore di valutazione in cui é incorso il primo giudice che non ha tenuto conto che nel caso di specie é stato effettuato un accertamento sintetico del reddito sulla base degli elementi accertati in capo ai due soci, elementi indicativi di capacità contributiva e non si é, invece, come si deduce dalla decisone appellata dato corso ad una mera rideterminazione del reddito applicando una percentuale di ricarico ai costi sostenuti.Questo modo di procedere appare del tutto legittimo se si tiene conto della inesattezza dei dati esposti nella dichiarazione dei redditi per l'anno in questione e della emersione di costi per complessive Lire 12.092.000.Il ricorso all'equità effettuato dalla decisione in esame per giustificare la riduzione del reddito di impresa é, come ha osservato nell'atto di appello l'Amministrazione appellante, del tutto illegittimo posto che nell'ordinamento tributario non é previsto il ricorso a criteri equitativi per sostenere il giudice nelle sue decisioni, previsione che sarebbe stata invece necessaria per il carattere derogatorio ed eccezionale che il giudizio secondo criteri di equità assume nell'ordinamento generale.In fatto é utile ancora precisare che nel corso di verifiche avviate dalla Guardia di Finanza sulla base di esposti di soggetti privati che avevano lamentato la mancata emissione di fatture e ricevute da parte della Società sono stati accertati nel periodo che va dal 1999 al 2004 corrispettivi imponibili non registrati per oltre Euro 90.000.Ciò giustifica ampiamente il ricorso al metodo induttivo di accertamento del reddito posto in atto dall'Amministrazione anche tenendo conto che nel periodo in questione sono state, omesse del tutto o presentate con gravi irregolarità, le dichiarazioni cui é tenuto il contribuente.Alla stregua delle considerazioni che precedono l'appello va accolto con riforma della decisione impugnata mentre sussistono ragioni per compensare le spese del giudizio. P.Q.M.La Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, sezione prima, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe lo accoglie.Spese compensate.