Insider trading: legittimo il sequestro per equivalente del patrimonio usato per la speculazione

È correttamente disposto il sequestro preventivo – finalizzato alla confisca per equivalente – di una somma di denaro o di beni equivalenti all’intero patrimonio utilizzato per commettere il delitto di abuso di informazioni privilegiate sui mercati finanziari.

Insider trading incentivo all’efficienza allocazionale del mercato finanziario In un contesto quale quello attuale, che non esita a criminalizzare ogni condotta di speculazione finanziaria, individuandola come responsabile della grave crisi che attanaglia le maggiori economie mondiali, può apparire singolare anche solo ipotizzare che l’abuso di informazioni privilegiate sui mercati finanziari, il c.d. insider trading , non sia un gravissimo crimine. Se infatti la criminalizzazione di tali condotte è ormai una costante di tutti i paesi a c.d. ‘capitalismo avanzato’, agli studiosi del diritto penale dell’economia rimane tuttavia limpido il ricordo delle suggestive e non completamente infondate teorie della Chicago School di Henry Manne, maturate negli anni ’60, che hanno trovato seguito sino agli inizi di questo millennio. Secondo tali impostazioni teoriche, l’utilizzo di informazioni riservate sui mercati finanziari, lungi dal configurare una condotta criminale, rappresenta, da un lato, un giusto compenso per coloro che, dall’interno, sono responsabili dei successi e delle innovazioni delle società, dall’altro, anticipando il futuro sviluppo delle quotazioni, favorisce la diffusione delle conoscenze verso i risparmiatori ed evita allo stesso tempo violente variazioni dei prezzi alla diffusione delle notizie, in questo modo favorendo l’efficacia allocazionale dei mercati finanziari. Secondo l’ efficient capital market theory , infatti, il prezzo dei titoli quotati sui mercati borsistici altro non è che il riflesso delle informazioni disponibili sulla società emittente, ed assai spesso anche di quelle riservate. Il prezzo dei titoli rappresenta dunque per l’investitore la miglior fonte di conoscenza sulla società stessa. Così argomentando, è evidente che proprio la attività degli insiders sui mercati borsistici produce quegli aggiustamenti nei prezzi che precedono la divulgazione delle notizie riservate e, dunque, migliora l’efficienza informazionale e in conseguenza allocazionale dei mercati borsistici. Se ciò fosse vero ed immune da critiche, l’attività di insider trading non sarebbe un reato, ma andrebbe incentivata quale strumento che concorre alla efficienza dei mercati finanziari. o delitto contro l’economia pubblica? Numerose ed obbiettivamente fondate sono, invece, le critiche a tale impostazione teorica. Ci si chiede, innanzitutto, se effettivamente la attività degli insiders , considerate le attuali dimensioni dei mercati finanziari ed il sempre maggiore ricorso a strumenti derivati ed a leve finanziarie, sia in grado di influenzare i corsi dei mercati azionari in modo da rendere ‘decodificabili’ le informazioni riservate. Per contro, il divieto di insider trading troverebbe il suo fondamento – sin dalle tradizionali impostazioni giurisprudenziali statunitensi – nella teoria dell’ equal access e del market egalitarism , secondo cui tendenzialmente tutti gli investitori dovrebbero avere un uguale accesso alle informazioni rilevanti per la quotazione di un titolo sui mercati borsistici. Sulla base di ciò il divieto di insider trading rafforzerebbe la fiducia degli investitori sulla integrità, correttezza e trasparenza del mercato finanziario, che in difetto sembrerebbe destinato – come spesso si è soliti pensare – a privilegiare poche mani potenti in danno del vasto c.d. ‘parco buoi’, rappresentato dal gran numero di piccoli investitori. Oltre a ciò, pare evidente come l’attività di insider trading si tradurrebbe in un disincentivo alla ricerca lecita di informazioni da parte di analisti finanziari e operatori professionali del mercato, con grave danno per immagine, efficienza e funzionalità dei mercati stessi. Sulla base di tali argomenti, oltre che su uno specifico fondamento etico, tutte le moderne legislazioni, compresa la nostra, hanno adottato strumenti di pesante repressione penale contro le condotte di abuso di informazioni riservate sui mercati finanziari. Dalle “blue sky laws” al D.lgs 158/98 . Le origini della normativa a tutela del pubblico risparmio si rinvengono nelle c.d. blue sky laws approvate dai singoli Stati Americani nei primissimi anni del 900, con cui si mirava alla tutela del risparmiatore nei confronti di società, che avevano quale unico scopo la vendita di titoli o di lotti edilizi nell’azzurro del cielo. Se i primi embrioni della disciplina contro l’ insider trading si rinvengono nel Security Exchange Act del 1934 negli USA, in Italia, per trovare una codificazione repressiva del fenomeno, abbiamo dovuto attendere il dettato della l. 17 maggio 1991, numero 157, – emanata in attuazione della Direttiva CEE 592/89 – poi sostituita con il Testo Unico sulla intermediazione finanziaria approvato con il D.lgs. 24 febbraio 1998, numero 58. Tale brevissimo, e quindi incompleto, dato storico è tuttavia ampiamente sufficiente per comprendere come l’elaborazione dottrinaria, giurisprudenziale e finanche la stessa scelta di adeguati strumenti repressivi in tema di insider trading non possa che essere figlia della esperienza secolare americana. La confisca per equivalente delle somme impiegate La sentenza, che si annota, ha ad oggetto il ricorso proposto avverso la decisione del Tribunale del Riesame di Milano di conferma di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di una somma pari ad oltre 1 milione di euro, consistente all’equivalente della somma impiegata per compiere alcune operazioni di insider trading da parte di un anziano dirigente di una società. Stante la natura indubbiamente sanzionatoria della confisca per equivalente, il ricorrente lamentava finanche la legittimità costituzionale della norma di cui all’articolo 187 D.lgs. 58/98 che, invece di prevedere la confisca per equivalente delle sole plusvalenze realizzate con la condotta illecita, consente di spingere il sequestro e la successiva confisca sino all’ammontare del capitale investito per l’operazione. Evidenziava, infatti, il ricorrente come, anche a fronte di un profitto assolutamente modesto conseguito con il reato, potesse ipotizzarsi il sequestro e la confisca per equivalente di somme ingentissime, in quanto rapportate non al profitto conseguito e, dunque, alla gravità del fatto, ma alle somme investite per compiere l’operazione. La Corte di Cassazione, pur condividendo l’assunto del ricorrente secondo cui la confisca per equivalente avrebbe natura essenzialmente sanzionatoria, ribalta tuttavia le conclusioni tratte dallo stesso ricorrente, rigettando integralmente il ricorso. Secondo la Suprema Corte, infatti, lo scopo della norma è quello di tutelare il mercato da operazioni speculative connotate da una tanto maggior gravità quante sono maggiori le risorse utilizzate dallo spregiudicato investitore, gravità dunque che non è solo rapportata alla grandezza del profitto conseguito dalla operazione. Alla luce di tale aspetto è assolutamente conforme alla ratio della norma, oltre che ai dettati costituzionali, che si proceda al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di somme non solo pari al profitto conseguito con l’operazione, ma anche alle somme investite per realizzare l’operazione. e le sue origini statunitensi. Lo strumento della confisca per equivalente, oltre che del profitto, di somme o beni pari a quelli investiti per compiere l’operazione illecita ricorda in realtà le c.d. sanzioni civili comminabili dalla S.E.C., sin dall’ Insider Trading Sanctions Act del 1984, con cui, oltre all’obbligo della restituzione del profitto, si introdusse per l’ insider anche una sanzione pari a tre volte il profitto conseguito. Invero, ciò che desta perplessità nella normativa italiana è il totale possibile disancoramento della confisca dal profitto conseguito, quando la pur fortemente repressiva normativa americana, ulteriormente rafforzata nel 1998 con l’I.T.S.F.E.A., – pur prevedendo la possibilità di risarcimento per tutti coloro che hanno operato sugli stessi titoli in contemporanea, ma in senso contrario rispetto all’ insider – la limita al profitto effettivamente conseguito dall’ insider . Viene allora da chiedersi se, ancora una volta traendo spunto dalla esperienza nordamericana successiva agli anni ’90, non sarebbe opportuno preferire a siffatte gravosissime sanzioni – che finiscono per essere un freno soprattutto per i grossi investitori stranieri – più ampie misure preventive rafforzando gli obblighi informativi e le possibilità di controllo e accertamento, anche ispettivo, da parte della C.O.N.S.O.B.

Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 13 marzo – 16 luglio 2012, numero 28486 Presidente Marasca – Relatore Scalera Osserva Il GIP presso il Tribunale di Milano con ordinanza del 3 settembre 2011 disponeva il sequestro preventivo della somma di Euro 1.324.736 nei confronti di R.R.A. , indagato in ordine al reato di abuso di informazioni privilegiate - cosiddetto insider trading - previsto dalla lettera a del primo comma dell'articolo 184 D.Lgs. numero 58 del 1998, in ipotesi da lui commesso con l'utilizzazione indebita di dette informazioni nel compimento di operazioni di compravendita di strumenti finanziari. In particolare secondo l'ipotesi di accusa il R. , in virtù della sua qualità di dirigente e socio anziano dell'area Transaction Services della Deloitte Financiale Advisory Services, impresa dedita ad attività di consulenza finanziaria, era entrato in possesso di informazioni riservate su progetti di Offerte Pubbliche di Acquisto di azioni della Spa Marrazzi Group e della Spa Guala Closures, nonché su un programma di acquisizione del controllo della Spa Parmasteelisa gli si contestava di essersi avvalso delle conoscenze acquisite in occasione dell'esercizio della sua attività professionale, per acquistare azioni le cui quotazioni, alla luce delle suddette informazioni, avrebbero ragionevolmente avuto incrementi. La somma assoggettata a cautela preventiva ai sensi del secondo comma dell'articolo 321 cpp e dell'articolo 187 del D.Lgs. 56/98, era costituita dall'equivalente non solo delle plusvalenze realizzate con la condotta illecita, ma anche dall'ammontare del capitale investito. Il sequestro veniva confermato dal Tribunale di Milano, adito dal R. in sede di riesame, con ordinanza del 5 ottobre 2011, avverso la quale il predetto ha proposto ricorso tramite difensore di fiducia. Deduce il ricorrente l'inadeguata disamina dei motivi prospettati con l'istanza di riesame, ed in particolare 1 l'erroneità del provvedimento impugnato in quanto, vertendosi in ipotesi di misura cautelare finalizzata alla confisca, aveva disposto il sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321 secondo comma cod.proc.penumero , cautela a suo avviso non praticabile ove disposta, come nel caso di specie, per equivalente. In tale ipotesi infatti la confisca ha natura prettamente sanzionatoria, di modo che la cautela poteva essere adottata solo nel rispetto dei presupposti applicativi previsti dall'articolo 316 c.p.p., che offrono maggiori garanzie di tutela 2 Proprio in virtù della natura sanzionatoria della confisca per equivalente, ne appariva evidente l'iniquità per l'impossibilità di graduarne l'applicazione secondo la gravità del reato, di modo che poteva verificarsi che alla percezione di un profitto assai modesto potesse far seguito il sequestro di somme ingentissime, come era avvenuto nel caso di specie. Si imponeva perciò la necessità di un'interpretazione costituzionalmente orientata, escludendo dalla confisca l'equivalente delle somme investite, e limitandola solo alle plus valenze realizzate sul punto il ricorrente prospetta in subordine eccezione di incostituzionalità della norma di cui all'articolo 187 comma secondo D.Lgs. 58/1998 nella parte in cui non esclude dalla confisca i beni strumentali utilizzati per commettere il reato 3 Violazione dell'articolo 240 c.p. e 184 del D.Lgs. citato, dovendo essere limitata la confisca all'incremento di valore dei titoli acquistati prima della diffusione delle notizie oggetto dell'informazione privilegiata 4 Indebita duplicazione delle somme sottoposte a sequestro per equivalente, considerate, nell'ipotesi di operazioni finanziarie successive come nel caso di specie, una volta come utili conseguenti all'impiego dell'informazione privilegiata ed altra volta in guisa di strumento utilizzato per la consumazione del reato. 2.- Il ricorso è destituito di fondamento. Va innanzitutto puntualizzato che, per quanto qui interessa, commette il reato previsto dall'articolo 184 del Dlgs. 24 febbraio 1998 numero 58 cosiddetto insider trading chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione dell'esercizio di una professione come nel caso di specie , compie operazioni su strumenti finanziari avvalendosi del vantaggio informativo di cui s'è detto il reato è consumato a prescindere dal risultato dell'operazione finanziaria, che costituisce un post factum, come esattamente osserva lo stesso ricorrente pagina 14 del ricorso , e rileva esclusivamente ai fini della determinazione della pena comma terzo dell'articolo 184 . Va rilevato allora come lo stesso ricorrente non revochi in dubbio l'attuazione da parte sua di una condotta oggettivamente riconducibile nello schema legale delineato dalla norma su citata, e del resto l'ordinanza impugnata ravvisa il fumus commissi delicti nel suddetto elemento fattuale. Tanto premesso, il primo comma dell'articolo 187 del Dlgs. 58/1998 prevede che, in caso di condanna per il reato, per quanto qui interessa, di insider trading, è disposta la confisca del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo il secondo comma dispone che se non sia possibile eseguire la confisca a norma del primo comma, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. Ai sensi del secondo comma dell'articolo 321 cod. proc. penumero poi, può essere disposto il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca. Non v'è allora dubbio alcuno che, come si rileva dalla compiuta motivazione dell'ordinanza impugnata, nel caso di specie, in ottemperanza delle norme su citate, era stato disposto esattamente un sequestro preventivo, avendo ravvisato il Tribunale di Milano una relazione diretta, attuale e strumentale tra le provviste finanziarie sequestrate ed il reato, unitamente al periculum , ravvisato nel contesto nel cui ambito si era svolta la vicenda, ambito costituito essenzialmente dalla condizione professionale dell'indagato, caratterizzata dalla conseguente e connaturata possibilità di attingere da fonti privilegiate informazioni in ordine ad eventi influenti sul corso dei titoli con conseguente pericolo di utilizzazione indebita del vantaggio informativo, come era già più volte avvenuto, nonché dalla disponibilità di provviste finanziarie da impiegare per trarre lucro dall'utilizzazione delle informazioni riservate. Tale disamina era certamente adeguata e sufficiente vertendosi in materia di provvedimenti cautelari, dei quali vanno valutati solo il fumus ed il periculum, appartenendo ogni altra e diversa valutazione alla sede propria del merito, e del resto contro le ordinanze aventi per oggetto provvedimenti cautelari reali è consentito il ricorso per cassazione solo per violazione di legge. 2.1- L'impianto logico-argomentativo del ricorso è fondato invece sul presupposto della natura sostanzialmente sanzionatoria della confisca per equivalente, cui è finalizzato il sequestro adottato in danno del R. , formalmente preventivo, ma ad avviso del ricorrente in realtà disposto illegittimamente per finalità conservative. Sostiene infatti il ricorrente che nel caso di specie non erano in concreto ravvisabili ragioni preventive connesse alla intrinseca pericolosità dei beni assoggettati a cautela, e non c'era nesso di pertinenzialità di sorta con il reato, di modo che il sacrificio di interessi costituzionalmente protetti poteva avvenire solo per assicurare il pagamento delle pene pecuniarie comminate dalla norma sostanziale ma, come prescrive l'articolo 316 del codice di rito, solo in conseguenza di una prognosi di insufficienza, inadeguatezza o dispersione delle garanzie patrimoniali dell'indagato, questione che non era stata trattata né dal GIP né dal Tribunale, e tale difetto di motivazione evidenziava l'illegittimità del provvedimento cautelare asserita mente conservativo. Sull'assunto della natura sostanzialmente conservativa del sequestro per equivalente in esame è basata anche l'eccezione di incostituzionalità del secondo comma dell'articolo 187 D.Lgs. 58/1998, nella parte che consente la confisca, in funzione sanzionatoria, dell'equivalente dei beni strumentali utilizzati per la consumazione del reato, al di fuori di ogni possibilità di sua graduazione, di modo che a fronte della realizzazione di profitti di ammontare anche modesto è possibile il sequestro e la confisca di somme ingenti. L'argomento, ancorché suggestivo, è destituito di fondamento. Come si è già detto, infatti, non v'è dubbio alcuno che il sequestro per equivalente oggetto della presente disamina, adottato - si ripete - nel rigoroso rispetto della normativa vigente, sia preventivo, ed era stato disposto in presenza di tutti i presupposti necessari. L'eccezione di incostituzionalità proposta è pertanto manifestamente infondata, sia perché lo scopo della norma, che traspare con assoluta chiarezza dal suo dettato, è quello di impedire che operatori finanziari di pochi scrupoli e particolarmente qualificati, possano porre in essere avventure economiche che si traducono in turbative del mercato cui conseguirebbe corrispondente danno all'economia nazionale, risultato conseguibile solo sottraendo loro le risorse economiche relative, sia per la ragione che costituisce fuor d'opera parlare di rigidità della confisca, per ciò stesso asseritamente incostituzionale, in quanto l'entità del sequestro è determinata dallo stesso autore dell'illecito. essendo i compendi assoggettati a cautela equivalenti oltre che alle plus valenze eventualmente realizzate, anche all'ammontare delle provviste finanziarie impegnate. Ogni altra questione deve ritenersi assorbita. Il ricorso va pertanto rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.