L’impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l’importo di un’indennità comporta che, alla scadenza di questo, non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo, l’indennità debba essere conservata, eventualmente nel suo ammontare attuale, qualora il datore di lavoro ne abbia disdetto l’accordo istitutivo.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 11330, depositata il 22 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Napoli condannava le Poste Italiane a pagare ad un suo dipendente l’indennità di “agente unico”, introdotta da un accordo sindacale del 1996, intesa a compensare le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista, e non più pagata dopo il 1997. I giudici di merito non approvavano la tesi difensiva, secondo cui l’impegno di rivedere in sede di contrattazione collettiva la materia, dopo la fine del 1997, avrebbe significato la soppressione dell’indennità in caso di mancata revisione. Al contrario, la Corte riteneva che tale prevista revisione avrebbe riguardato esclusivamente l’ammontare dell’indennità. La società ricorreva in Cassazione, affermando che l’indennità in questione non era retributiva, come stabilito, invece, dalla Corte d’appello, ma, al contrario, era solo incentivante. In più, sosteneva che l’indennità di “agente unico” non remunerasse il lavoro prestato, ma avesse carattere incentivante, accessorio e non necessario, essendo giustificata da determinati presupposti economici di gestione aziendale e derivante da un accordo collettivo disdetto. Natura retributiva. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione riteneva che questa indennità remunera le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unicamente a quelle di autista, perciò ha causa retributiva, non esclusa dal motivo incentivante. Essendo oggetto di un obbligo contrattuale, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta, né abolita, neppure nel caso in cui siano mutate le condizioni economiche aziendali. L’obbligo rimane. Inoltre, la scadenza del termine di un accordo o di un contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il datore di lavoro dall’obbligo di retribuzione, previsto dall’articolo 2099 c.c., il cui ammontare può essere determinato dal giudice di merito, ai sensi dell’articolo 36, comma 1, Cost., con riferimento all’importo già previsto dal contratto individuale, recettivo di quello collettivo. Il carattere eventuale, affermato dalla società, cioè non corrispettivo di un’attività lavorativa effettivamente prestata, non era plausibile, perché trasformerebbe l’indennità da oggetto di obbligazione ad elargizione graziosa. Cosa succede alla scadenza. In più, l’impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l’importo dell’indennità comporta che, alla scadenza di questo, non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo, l’indennità debba essere conservata, eventualmente nel suo ammontare attuale, qualora il datore di lavoro ne abbia disdetto l’accordo istitutivo, come era avvenuto nel caso di specie. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 25 marzo – 22 maggio 2014, numero 11330 Presidente Curzio – Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto Con sentenza numero 5868/2010 depositata il 7/10/2010, la Corte di appello di Napoli, in accoglimento del gravame di R.A. nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avverso la pronuncia del Tribunale di Napoli, condannava detta società a pagare al R. l'indennità di agente unico introdotta con accordo sindacale del 12/9/96, indennità intesa a compensare le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista e non più pagata dopo la fine del 1997 pur permanendone i presupposti. Disattendeva la Corte territoriale la tesi della datrice di lavoro, secondo cui l'impegno di rivedere in sede di contrattazione collettiva la materia in questione dopo il 31/12/97 avrebbe significato la soppressione dell'indennità in caso di mancata revisione e confermava, invece, l'esattezza della prospettazione del lavoratore, secondo cui la prevista revisione avrebbe riguardato esclusivamente l'ammontare dell'indennità. Per la cassazione di tale sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. con due motivi con i quali deduce vizio di motivazione circa la natura dell'indennità in discorso, erroneamente definita dalla Corte di appello come retributiva, ma in realtà soltanto incentivante, nonché violazione degli articolo 1362 e ss. c.c., con riferimento alle fonti negoziali susseguitesi dal 1996 in poi, sempre sostenendo che l'indennità di agente unico non remunera il lavoro prestato, ma ha carattere incentivante e comunque accessorio e non necessario, in quanto giustificata da determinati presupposti economici di gestione aziendale e derivante da un accordo collettivo disdetto ed ancora violazione degli articolo 2074 cod. civ. nonché degli articolo 2099 e segg. cod. civ., dell'articolo 2103 cod. civ., degli articolo 36 e 41 della Cost Resiste con controricorso l'intimato. Il ricorso è manifestamente infondato, atteso che nutrita e costante giurisprudenza di questa S.C. cfr. ex multis Cass. 22 febbraio 2013, numero 4561 id. 13 dicembre 2012, numero 4561 22 giugno 2011, numero 17830 19 maggio 2010, numero 17724 15 marzo 2010, numero 6274 14 marzo 2008, numero 20310 , da cui non vi è ragione di discostarsi, ha già statuito che l'indennità in questione remunera le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista, sicché ha causa retributiva, non esclusa dal motivo incentivante essa è oggetto di un obbligo contrattuale sicché, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta e tanto meno abolita neppure ove - in ipotesi - siano mutate le condizioni economiche aziendali, non avendo la datrice di lavoro neppure invocato un'eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta. Ancora questa S.C. ha già osservato che la scadenza del termine di un accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il datore di lavoro dall'obbligo di retribuzione ex articolo 2099 cod. civ., il cui ammontare ben può essere determinato dal giudice di merito ex articolo 36 Cost., comma 1, con riferimento all'importo già previsto dal contratto individuale, recettivo di quello collettivo Cass. SU. 30 maggio 2005, numero 11325 . Il carattere meramente eventuale, prospettato dalla società ricorrente, ossia non corrispettivo di un'attività lavorativa effettivamente prestata, non è plausibile poiché esso trasformerebbe l'indennità in questione da oggetto di un'obbligazione in elargizione graziosa inoltre, il noto principio di non riducibilità della retribuzione ricavato dall'articolo 2103 cod. civ., e articolo 36 Cost. è esteso alla voce compensativa di particolari e gravose modalità di svolgimento del lavoro anche a tale riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata cfr., per tutte, Cass. 11 maggio 2000, numero 6046 per l'effetto, l'impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l'importo dell'indennità in questione fa sì che, alla scadenza di questo non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo , l'indennità medesima debba essere conservata, eventualmente nel sito ammontare attuale, qualora il datore di lavoro ne abbia disdetto l'accordo istitutivo come avvenuto nel caso di specie . L'impugnata sentenza ha, dunque, correttamente respinto le tesi della società e con motivazione immune da vizi logico - giuridici. Per tutto quanto sopra consideralo, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ. . 2 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo. 3 - Conseguentemente, il ricorso va rigettato. 4 - La regolamentazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE rigetta il ricorso condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.