Il nesso eziologico dell’evento agli atti persecutori può essere desunto da altri fatti di violenza

La propensione alla violenza manifestata nei fatti per i quali in precedenza l’imputato è stato condannato, in altro processo per maltrattamenti e nel presente procedimento per lesioni, non rappresenta un elemento neutro, ma dà sostanza alla conclusione della riconducibilità causale dell’evento di danno alle condotte persecutorie poste in essere, ossia, in altri termini, corrobora il giudizio di ragionevolezza dei timori palesati dalla vittima e del conseguente mutamento indotto nelle abitudini di vita di quest’ultima.

Questo il principio di diritto stabilito dalla Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 50728 depositata il 28 dicembre 2015. Delitto di stalking sempre attuale. Anche se sono trascorsi quasi sette anni dalla sua introduzione, il reato di atti persecutori conserva immanente attualità vista la complessità ed elasticità delle dinamiche relazionali, l’incapacità di gestire la fine di o il rifiuto di iniziare un rapporto e, in generale, il difetto di relazione tra lo stalker e la vittima. Ecco perché continua ad essere notevole il numero delle pronunce in materia, nelle quali la Suprema Corte continua nella sua incessante opera di definizione dei confini applicativi della fattispecie incriminatrice descritta dall’articolo 612- bis c.p. e di specificazione dei suoi elementi costitutivi. Nella sentenza numero 50728/2015, più precisamente, vengono fornite dagli Ermellini preziose indicazioni in ordine al nesso di causalità e all’elemento psicologico del delitto di stalking. Il caso concreto e i motivi di ricorso. Un uomo, condannato in primo e secondo grado, perché ritenuto responsabile dei reati di atti persecutori e lesioni, avvinti dal vincolo della continuazione, posti in essere in danno del coniuge separato, ricorreva in Cassazione lamentando 1 la mancanza di almeno una degli eventi previsti dall’articolo 612- bis c.p. per la consumazione dello stalking, in quanto la decisione di modificare le abitudini della persona offesa, legata alla decisione della donna di non uscire di casa appariva determinata più da una sua volontà di non incontrare l’ex marito, che effettivamente fondata sul timore di condotte persecutorie in suo danno 2 la mancanza, in ogni caso, del nesso causale tra gli atti persecutori e il ritenuto evento in quanto non si era considerato che l’imputato svolge attività lavorativa nell’officina posta di fronte all’abitazione dell’ex moglie ed ha la disponibilità, sempre per esigenze lavorative, di un piazzale posto sul retro, con la conseguenza che le occasioni di incontro, con possibili liti, sono assolutamente causali e non riconducibili ad una preordinata azione persecutoria dell’agente 3 che, con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la sentenza impugnata, valorizzando l’elevata conflittualità fra le parti, aveva confuso il movente dell’imputato con gli elementi sintomatici del dolo, che si sarebbero dovuti evincere dalla natura e dalla modalità della condotta. Gli incontri occasionali non escludono gli atti persecutori. La Suprema Corte, dichiara inammissibili tutti e tre i motivi, esaminando congiuntamente i primi due, per la loro stretta connessione logica. Ebbene, per i Giudici di legittimità, i giudici di seconde cure hanno valorizzato razionalmente, a fronte dei comportamenti dell’imputato, la fondatezza del timore nutrito dalla persona offesa per la propria incolumità e il mutamento delle abitudini di vita, che non scaturisce da una unilaterale propensione della donna a rinchiudersi in casa come sostenuto dal ricorrente , ma da una scelta indotta dal timore delle conseguenze che scaturivano dagli incontri con il ricorrente. Il fatto poi che questi ultimi non fossero il frutto di appostamenti, ma discendessero dalla vicinanza dei contesto abitativi e lavorativi non elide il rilievo penale delle condotte persecutorie che, in occasione di quegli incontri, il ricorrente ha posto in essere. Sul punto, Cass. penumero , sez. V, numero 43085/15 , ha affermato che «è pertanto irrilevante che l’occasione per la consumazione di qualcuno - o anche di tutti - gli atti della serie persecutoria sia stata meramente casuale. Ciò che conta infatti è solo la consapevolezza da parte dell’agente dell’abitualità della sua condotta. È dunque ovvio che l'acquisizione della prova della premeditazione di ogni singolo atto costituisca sintomo, sia sotto il profilo oggettivo che psicologico, di tale abitualità, ma ciò non significa che atti posti in essere dall’agente qualora si presenti l’occasione non possano parimenti integrare la fattispecie tipica sotto entrambi i profili». Senza poi considerare che l’imputato, sottoposto al divieto di avvicinamento alla vittima ex articolo 282- ter c.p.p., potendo scegliere più percorsi per distaccare la pompa dell’acqua, seguiva quello a lui non consentito dalla misura cautelare impostagli. La propensione alla violenza non è un elemento neutro. All’obiezione del ricorrente, per il quale non appariva logico desumere la sussistenza del nesso causale tra le condotte contestate ed evento di danno da precedenti condanne a carico dell’imputato, la Suprema Corte è di diverso avviso. Ciò in quanto la propensione alla violenza manifestata nei fatti per i quali in precedenza l’imputato è stato condannato, in altro processo per maltrattamenti e nel presente procedimento per lesioni, non rappresenta un elemento neutro, ma dà sostanza alla conclusione della riconducibilità causale dell’evento di danno alle condotte persecutorie poste in essere, ossia, in altri termini, conferma il giudizio di ragionevolezza dei timori palesati dalla vittima e del conseguente mutamento indotto nelle abitudini di vita di quest’ultima. Insomma, se la vittima è stata in passato o in concomitanza degli atti persecutori oggetto di fatti di violenza da parte dell’ ex coniuge, questo è un elemento di carattere oggettivo al quale ancorare gli eventi del delitto di stalking, e che pertanto il timore per la propria incolumità e la decisione di mutare le proprie abitudini quotidiane non rimane confinato nella sfera soggettiva della persona offesa. Il clima di conflittualità non attiene al dolo I Giudici di legittimità ritengono manifestamente infondati anche i rilievi critici del ricorrente sulla mancata sussistenza dell’elemento psicologico, premettendo che il dolo di stalking a è generico, consistendo nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza dell’idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice b avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica c può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi Sez. V, numero 18999/2014 . Ma soprattutto gli Ermellini precisano che il clima di conflittualità eventualmente esistente non attiene all’ambito relativo alla valutazione del dolo, ma rappresenta il contesto nel quale viene collocato l’accertamento della volontà di porre in essere le condotte persecutorie nella consapevolezza della loro capacità di realizzare gli eventi descritti dall’articolo 612- bis c.p e comunque non esclude il reato. Insomma, il clima di conflittualità non rileva sul piano dell’elemento soggettivo del reato cioè quello della colpevolezza ma in quello logicamente precedente della materialità della condotta tipica. E sul piano oggettivo della tipicità la Suprema Corte è costante nel ritenere che la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori Sez. V, numero 45648/2013 , incombendo solo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita Sez. V, numero 36737/2012 numero 17698/2010 .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 giugno – 28 dicembre 2015, numero 50728 Presidente Lapalorcia – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 02/12/2014 la Corte d'appello di Campobasso ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno V.R., avendolo ritenuto responsabile dei reati di cui agli articolo 81, 612-bis, 582, commessi in danno del coniuge separato G.S. capo a , e di cui all'articolo 570, commi primo e secondo, cod. penumero capo b . 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con li primo motivo si lamenta violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo dei reato di cui all'articolo 612-bis cod. penumero , sottolineando che la Corte territoriale, peraltro decidendo alla stregua delle sole dichiarazioni della persona offesa, aveva trascurato di considerare che il delitto contestato è reato di evento e che quest'ultimo non può discendere automaticamente dai comportamenti posti in essere dall'imputato. Il ricorrente rileva a che dalle querele sporte dalia persona offesa non traspariva affatto il presunto perdurante grave stato di ansia determinato dai timore per la propria incolumità, taiché non era dato cogliere un'adeguata motivazione in ordine al necessario nesso eziologico tra le condotte contestate e il ritenuto evento di danno, che presuppone una prova concreta e specifica b che non si era considerato che l'imputato svolge attività lavorativa nell'officina posta di fronte all'abitazione dell'ex-coniuge ed ha la disponibilità, sempre per esigenze lavorative, di un piazzale posto sul retro, con la conseguenza che le occasioni di incontro, con possibili liti, sono assolutamente casuali e necessitate e non sono Invece riconducibili ad una preordinata condotta persecutoria del R. c che, In definitiva, la presunta decisione della donna di non uscire di casa appariva essere determinata più da una sua volontà di non incontrare il R., che effettivamente fondata sul timore di condotte delittuose in suo danno d che comunque non vi era prova che la persona offesa avesse modificato le sue abitudini di vita, non risultando che ella, quando si recava in qualche posto, fosse mai stata pedinata o molestata dall'imputato. 2.2. Con ii secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei delitto di cui all'articolo 612-bis cod. penumero In particolare, il ricorrente rileva a che non appariva logico desumere la sussistenza dei nesso causale tra condotte contestate ed evento di danno da precedenti pronunce di condanna a carico dell'imputato b che, a parte quanto rilevato a proposito dell'assenza dl significatività delle querela, la medesima Corte territoriale aveva riconosciuto che ricorreva piuttosto una propensione della donna a rimanere in casa e non una scelta senza alternativa c che le occasioni di incontro nascevano dalla contingente contiguità dell'abitazione della donna e dei luogo di lavoro dei R. e non potevano essere addebitate ad una condotta persecutoria di quest'ultimo d che, con riferimento all'elemento soggettivo, la sentenza Impugnata, valorizzando l'elevata conflittualità fra le parti, aveva confuso il movente dell'imputato con gli elementi sintomatici del dolo, che avrebbero dovuto evincersi dalla natura e dalla modalità della condotta. 2.3. Con Il terzo motivo, si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali In relazione agli elementi costitutivi dei reato di cui all'articolo 570 cod. penumero , sottolineando che la Corte d'appello non aveva esaminato il profilo, specificamente dedotto, della capacità economica dell'obbligato, che era stata desunta semplicemente dal fatto che egli era titolare di un'attività economica, senza considerare le dichiarazioni del R. relative al proprio, variabile reddito settimanale circa euro 200 - 300 , Inadeguato a far fronte a bollette per utenze domestiche di importo superiore, e al fatto che egli, nonostante ciò, aveva comunque provveduto al pagamento. Il ricorrente aggiunge che non era pacifico lo stato di bisogno della S., anche alla luce dei fatto che l'imputato aveva sempre onorato gli accordi assunti In sede di separazione consensuale. Considerato in diritto 1. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione logica, sono inammissibili, in quanto le articolazioni in cui si sostanziano sono o manifestamente infondate o prive di specificità, nel termini che verranno dl seguito esplicitati. In particolare, Il fatto che la Corte territoriale abbia posto a fondamento della decisione le dichiarazioni della persona offesa non si espone ad alcuna censura, dal momento che le regole dettate dall'articolo 192, comma 3, cod. proc. penumero non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da Idonea motivazione, della credibilità soggettiva dei dichiarante e dell'attendibilità intrinseca dei suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, numero 41461 dei 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 . In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona offesa non si deve tradurre nell'individuazione di prove dotate di autonoma efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della rilevanza probatoria delle prime. Ciò posto, del tutto razionalmente, la Corte territoriale ha valorizzato, a fronte di comportamenti dell'imputato, la cui materialità quest'ultimo non giunge a negare, la fondatezza dei timore nutrito dalla persona offesa per la propria incolumità e il mutamento delle abitudini di vita, che non scaturisce da una unilaterale propensione della donna a rinchiudersi in casa, come il ricorrente fa mostra di cogliere nella motivazione della sentenza impugnata, ma da una scelta indotta dal timore delle conseguenze che scaturivano dagli incontri con il ricorrente. II fatto poi che questi ultimi non rappresentassero l'esito di appostamenti, ma discendessero dalla vicinanza dei contesti abitativi e lavorativi ma anche dal fatto che il ricorrente, potendo scegliere più percorsi per distaccare la pompa dell'acqua, seguiva quello a lui non consentIto dalla misura cautelare impostagli non elide certo il rilievo penale delle condotte persecutorie che, in occasione di quegli incontri, il ricorrente ha posto in essere. Sul punto, in termini assolutamente privi di specificità, l'imputato cerca di minimizzare tale realtà, riconducendola ad ordinari, ancorché accesi, diverbi, alimentati da reciproco risentimento e malanimo. E, nonostante il contrario convincimento espresso dal ricorrente, la propensione alla violenza manifestata nei fatti per i quali egli è stato condannato, nei distinto processo per maltrattamenti e nel presente procedimento per lesioni, non rappresenta un elemento neutro, ma dà sostanza alla conclusione della riconducibilità causale dell'evento di danno alle condotte persecutorie poste in essere, ossia, in altri termini, corrobora il giudizio di ragionevolezza dei timori palesati dalla vittima e del conseguente mutamento indotto delle abitudini di vita . Del pari manifestamente infondati sono i rilievi che investono l'accertamento dei dolo, giacché1nel delitto di atti persecutori, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi In modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dai principio la realizzazione della serie degli episodi Sez. 5, numero 18999 del 19/02/2014, C, Rv. 260411 . Le considerazioni svolte dalla Corte territoriale quanto ai clima di conflittualità esistente non attengono affatto alla valutazione dei dolo, ma rappresentano evidentemente il contesto nel quale viene collocato, nella ricostruzione della sentenza impugnata, l'accertamento della volontà di porre in essere le condotte persecutorie nella consapevolezza della loro inidoneità a realizzare gli eventi previsti dall'articolo 612-bis cod. penumero 2. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile, giacché introduce questioni le capacità economiche dell'obbligato e io stato di bisogno deil'avente diritto , che non risultano dedotte nell'atto di appello. In quest'ultimo, infatti, mentre coglie alcun rilievo relativo allo stato di bisogno, si legge solo, a giustificazione dei mancato pagamento, della provvisoria mancanza di liquidità che avrebbe caratterizzato la posizione dell'imputato, quando le bollette gli vennero presentate. E ciò non casualmente, dai momento che gli importi vennero successivamente pagati. E, tuttavia, appare chiaro che il concetto di sussistenza dei mezzi per far fronte agli obblighi di assistenza di cui è menzione nell'articolo 570 cod. penumero non può essere colto, attraverso singole, istantanee valutazioni, ma in una dimensione temporale più ampia di carattere medio. Ne discende che il peraltro assolutamente generico riferimento all'assenza di liquidità temporanea non comporta affatto la deduzione della precarietà delle condizioni economiche. 3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione dei presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 dei d. Igs. numero 196 del 2003.