Dolo maltrattamenti: coscienza e volontà di persistere nell’attività vessatoria lesiva della vittima

Il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima non occorre in altre parole che l’agente deliberi una volta per tutte di imporre ai familiari un penoso regime di vita e concepisca unitariamente le proprie condotte in senso strumentale alla realizzazione di quest’obiettivo, essendo piuttosto sufficiente che le condotte vessatorie siano tenute nella consapevolezza del loro carattere ripetuto, e della loro idoneità a creare una stabile e dolorosa patologia della vita familiare.

Così precisando, la Sesta Sezione Penale di Cassazione, con sentenza numero 1400, depositata il 14 gennaio 2015, ha rigettato il ricorso del ricorrente, con cui questi aveva impugnato la sentenze del giudice di gravame che aveva parzialmente riformato la sentenza del giudice di prime cure con cui un marito era stato condannato per maltrattamenti in famiglia nei confronti della moglie. La querela e i gradi di giudizio. Con sentenza numero 1400, depositata il 14 gennaio 2015, la Sesta Sezione Penale di Cassazione ha rigettato il ricorso, con condanna anche al pagamento delle spese processuali, con cui una persona condannata in sede di gravame, con pronuncia parzialmente di riforma della sentenza di primo grado, laddove veniva confermata la condanna per maltrattamenti, malgrado la remissione della querela, in quanto, in sede di sommarie informazioni testimoniali, la querelante aveva, sì, ridimensionato i fatti di causa, ma indicandoli come fatti isolati, intervallati di condizioni di normale vita familiare, così che era emerso come lo stato di ubriachezza si verificasse ogni fine settimana e che durante lo stato di ubriacatezza descritto suo marito la insultasse altri testi, confermando il tutto, fornivano la prova sufficiente del carattere abituale dei maltrattamenti. Il ricorrente, in particolare, col ricorso de quo ritiene che i fatti siano stati episodici e non già abituali, giacché, nell’intervallo fra essi, non era accaduto nulla e che, soprattutto, difettasse la necessaria stabilità che induca un penoso regime di vita, nella consapevolezza e nella volontà dell’agente l’interessato, inoltre, rileva come difetti nelle condotte de quibus l’elemento soggettivo, in quanto egli sia sempre stato particolarmente reattivo nella condizione di ubriacatezza censurata ma, ciò nonostante, non intendeva assoggettare i familiari ad un sentimento stabile di umiliazione e sottomissione. La risposta degli ermellini. I giudici di Piazza Cavour, di fronte a questi motivi di ricorso, rilevano come «a prescindere dal fatto risolutivo che gravi e violente aggressioni fisiche al coniuge nel giro di un anno costituiscono una condotta già incompatibile con il concetto di occasionalità, e nel contempo chiaramente suscettibili di indurre un penoso regime di vita, la decisione della Corte territoriale si è fondata anche su fonti di prova aggiuntive rispetto alla rappresentazione della vittima, e su comportamenti vessatori anche diversi dalle percosse e dagli insulti che il ricorrente, senza porsi alcun problema di attendibilità, vorrebbe limitati al tempo di svolgimento delle aggressioni fisiche ». Sull’elemento soggettivo, la Suprema Corte, riprendendo l’orientamento granitico delle sue sezioni semplici sul punto, ricorda come «il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima non occorre in altre parole che l’agente deliberi una volta per tutte di imporre ai familiari un penoso regime di vita, e concepisca unitariamente le proprie condotte in senso strumentale alla realizzazione di quest’obiettivo, essendo piuttosto sufficiente che le condotte vessatorie siano tenute nella consapevolezza del loro carattere ripetuto, e della loro idoneità a creare una stabile e dolorosa patologia della vita familiare».

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 ottobre 2014 – 14 gennaio 2015, numero 1400 Presidente Ippolito – Relatore Leo Ritenuto in fatto 1. È impugnata la sentenza del 17/02/2014 con la quale la Corte d'appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, in data 27/05/2013, di condanna nei confronti di P.R.J. per i delitti di maltrattamenti in famiglia articolo 572 cod. penumero e di lesioni personali articolo 582, 585, 576, numero 1 e 577, comma 2, cod. penumero , commessi in danno della moglie Pa.Be.Ma. , fino al omissis . La Corte d'appello, in particolare, ha rilevato l'improcedibilità dell'azione per il reato di lesioni, data l'intervenuta remissione della querela, ed ha ridimensionato la pena per il delitto di maltrattamenti, anche previa concessione di attenuanti generiche. 1.1. Valutando le sollecitazioni difensive ad acquisire documentazione concernente un percorso di recupero intrapreso dal P. per superare la propria condizione di alcolismo, ed inoltre ad acquisire un verbale di investigazione difensiva consistente nella nuova escussione della persona offesa dal reato, la Corte ha accolto la prima domanda, respingendo invece la seconda, sul presupposto che la stessa, a norma dell'articolo 431 cod. proc. penumero , non potesse essere accolta per l'opposizione manifestata, in proposito, dal Procuratore generale. 1.2. Nel merito, si è preso atto che, in sede di sommarie informazioni testimoniali, la Pa.Be. aveva ridimensionato i fatti esposti con la querela, confermando i tre episodi di violenza compresi nell'arco di un anno dei quali aveva fatto menzione, ma indicandoli come fatti isolati, intervallati da condizioni di normale vita familiare. Tuttavia la Corte ha osservato come la teste avesse collegato allo stato di ubriachezza del marito l'abitudine di questi di insultarla, ed avesse confermato che l'uomo si ubriacava ad ogni fine settimana. Considerato che altri testi avevano confermato la pluralità di episodi di violenza, si è considerata sufficiente la prova del carattere abituale dei maltrattamenti. 2. Ricorre il diretto interessato, proponendo diversi motivi di censura. 2.1. In primo luogo, la Corte d'appello avrebbe errato nel respingere la richiesta di acquisire, a norma dell'articolo 603, comma 3, cod. proc. penumero , il verbale delle informazioni testimoniali assunte dal Difensore censura che viene dedotta invocando le norme di cui alle lettere b , d ed e del codice di rito. Il ricorrente premette che, col nuovo atto istruttorio, la persona offesa avrebbe definitivamente chiarito che era stata aggredita tre volte, e che l'atteggiamento insultante del marito era stato altrettanto episodico, dando anche spiegazioni circa le risultanze parzialmente contrarie degli atti antecedenti. Si sarebbe dunque trattato di risultanze potenzialmente decisive. Ciò premesso, i «documenti» di provenienza difensiva avrebbero potuto essere acquisiti anche senza rinnovazione dell'istruttoria, trattandosi oltretutto di atti formati dopo il giudizio di primo grado. In ogni caso, la Corte avrebbe potuto d'ufficio disporre la rinnovazione. Il suo rifiuto sarebbe stato illegittimamente motivato mediante un riferimento a circostanza inconferente, e cioè il rifiuto del Pubblico ministero di prestare il proprio consenso. Quindi, ed in sostanza, i Giudici d'appello avrebbero omesso di prendere in effettiva considerazione la domanda difensiva lettera b dell'articolo 606 , così omettendo di assumere una prova decisiva lettera d , e comunque proponendo una motivazione erronea ed insufficiente per la propria decisione, con conseguente violazione di legge lettere b ed e dell'articolo 606, in relazione all'articolo 431 cod. proc. penumero . 2.2. Violazioni della legge penale sostanziale, e vizi di motivazione, sono denunciati a prescindere dal contributo cognitivo dell'atto non ammesso lettere b ed e del comma 1 dell'articolo 606 cod. proc. penumero . Infatti la persona offesa avrebbe negato l'abitualità dei maltrattamenti già con le sommarie informazioni del 18/02/2013, e con l'atto di remissione della querela, specificando che nell'intervallo tra ciascuno dei tre episodi denunciati “non era accaduto nulla”. Illogica, dunque, la conclusione del Collegio nel senso che i maltrattamenti fossero stati invece abituali, sostenuta in base ad una interpolazione arbitraria delle dichiarazioni della Pe. . Ciò posto, ricorda il ricorrente che per integrare il delitto in contestazione non bastano singoli ed anche ripetuti episodi, ma è necessaria una stabilità che induca un penoso regime di vita, nella consapevolezza e nella volontà dell'agente. 2.3. Violazione dell'articolo 572 cod. penumero , e mancanza assoluta di motivazione, sono autonomamente dedotti anche con riguardo all'elemento soggettivo del reato. L'appellante aveva specificamente criticato sul punto la decisione del Tribunale, evidenziando come P. fosse particolarmente reattivo in condizione di ubriachezza ma non intendesse assoggettare i familiari ad uno stabile sentimento di umiliazione e sottomissione, ma la Corte d'appello non avrebbe in alcun modo considerato tale punto della questione. 2.4. Infine, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, in quanto, pur dopo la giusta valorizzazione dei punti a favore dell'interessato che ha sempre lavorato, è incensurato, ha ammesso di essersi comportato male e si è sottoposto a terapie disintossicanti , non è stata inflitta una pena corrispondente ai minimi edittali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è proposto per motivi privi di fondamento, e deve dunque essere respinto. Dalla decisione di rigetto consegue la condanna dell'interessato al pagamento delle spese processuali. 2. Va trattata in primo luogo la questione di carattere processuale posta con l'atto di impugnazione, che investe in effetti un profilo di rilevante anomalia del provvedimento impugnato, cioè la giustificazione addotta dalla Corte territoriale per il rifiuto di disporre la rinnovazione dell'istruzione e di acquisire il verbale delle investigazioni difensive che, a quanto pare, documentava la ennesima ritrattazione parziale della persona offesa. Come si è visto supra, p.1.1. del Ritenuto in fatto , la richiesta è stata rigettata in quanto il parere contrario del Pubblico ministero avrebbe precluso il suo accoglimento a norma dell'articolo 431 cod. proc. penumero . La Corte ha inteso probabilmente alludere all'ultimo comma della norma indicata, che regola l'acquisizione degli atti di parte al fascicolo del dibattimento su base consensuale, e menziona, dopo le note riforme, anche gli atti di investigazione difensiva. Se anche così fosse, il riferimento sarebbe del tutto inconferente. La norma evocata disciplina la formazione del fascicolo per il procedimento di primo grado nelle forme ordinarie. Nella specie si discute di un giudizio abbreviato, che tendenzialmente si celebra in base agli atti di parte per effetto della legittimazione originaria ed unilaterale conferita dalla domanda dell'imputato, e per altro verso di un giudizio di appello, ove le regole per l'ammissione della prova sono notoriamente diverse da quelle che governano la prima ed essenziale istruzione della causa penale, ferma restando l'ammissibilità della integrazione istruttoria anche nel rito abbreviato. Nondimeno, l'eccentricità della motivazione del rigetto non può condurre ad una censura di sostanza della relativa decisione, e dunque ad un annullamento della sentenza. Infatti, la domanda dell'appellante avrebbe dovuto comunque giudicarsi irricevibile nella sua articolazione principale acquisizione di un atto di indagine difensiva consistente in una prova dichiarativa , e non risulta sindacabile, in sede di legittimità, quanto alla proposizione subordinata cioè l'istanza di rinnovare l'istruzione al fine di escutere la Pa.Be. . Sotto il primo aspetto, va notato come la previsione della spendibilità degli atti di indagine difensiva in ogni stato e grado del procedimento comma 2 dell'articolo 327-bis cod. proc. penumero debba essere coordinata con le regole fisiologiche di utilizzabilità degli atti di parte ed anche con le caratteristiche proprie della fase e del grado Sez. 3, Sentenza numero 35372 del 26/05/2010, rv. 248366 , tanto che, per esempio, resta preclusa la produzione degli esiti di investigazione difensiva nell'ambito del giudizio di legittimità Sez. 3, Sentenza numero 41127 del 23/05/2013, rv. 256852 . Ebbene, in armonia con principi di carattere generale, la legge stabilisce espressamente che anche nel giudizio abbreviato le prove integrative, quando si tratti di fonti dichiarative, debbano essere assunte e condotte dal giudice, con conseguente inammissibilità della produzione, nel rito speciale altra questione è quella delle produzioni antecedenti , di verbali formati unilateralmente dalle parti. In tal senso è inequivoca la lettera del comma 6 dell'articolo 441 cod. proc. penumero , ove si stabilisce, per la prova integrativa assunta su disposizione officiosa od in base a richiesta condizionata dell'imputato, l'osservanza delle forme indicate ai commi 2, 3 e 4 del precedente articolo 422 dunque i testimoni vanno citati e sentiti dal giudice, con le parti ammesse a formulare domande solo per il tramite del giudice medesimo. La norma è stata letta a lungo nel senso che avrebbe limitato la tipologia delle prove suscettibili di assunzione nel rito abbreviato alle sole prove dichiarative ed alla perizia . Oggi tale orientamento pare superato, ma resta indubbio, a parere della Corte, che, quando si tratti di prova dichiarativa, le modalità di assunzione debbano necessariamente essere quelle del contraddittorio contestuale. Si provi ad immaginare, del resto, quali sarebbero le implicazioni della ritenuta possibilità di produzione di prove dichiarative assunte unilateralmente dal pubblico ministero nell'ambito di un giudizio abbreviato già instaurato, ed insuscettibile di regressione fuori dai casi previsti dall'articolo 441-bis cod. proc. penumero . Il ricorrente elude il problema anche mediante l'assunto che, trattandosi di un “documento”, il verbale delle dichiarazioni della persona offesa avrebbe potuto essere recepito addirittura senza un provvedimento di integrazione della prova. Si tratta di un evidente errore, a prescindere dall'adesione al non indiscusso orientamento che in effetti ammette l'acquisizione di “documenti” in assenza di provvedimenti formali a norma degli articolo 441, comma 5, e 603 cod. proc. penumero . Costituiscono “documento”, infatti, solo i mezzi rappresentativi formati fuori dal processo, indipendentemente dalla loro destinazione ad un uso nell'ambito del giudizio, ed un verbale di prova testimoniale costituisce l'esatto opposto. Non a caso, e correttamente, la Corte territoriale ha acquisito documentazione formata presso una Istituzione per la cura delle dipendenze, a dimostrazione del tentativo di P. di eliminare un fattore determinante del suo comportamento patologico nell'ambito familiare. Resta il fatto che la Difesa aveva sostanzialmente insistito per una integrazione della base cognitiva del giudizio, che comprendesse nuove e più specifiche dichiarazioni della persona offesa sulla frequenza e sulle modalità di manifestazione delle condotte offensive attuate dal ricorrente. A questo profilo della domanda è stata opposta, in effetti, una replica del tutto incongrua. Tuttavia non si tratta di un vizio deducibile a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera d , cod. proc. penumero , come la giurisprudenza di questa Corte ha ormai più volte ribadito, sul rilievo che non è configurabile un diritto dell'imputato alla prova integrativa, una volta che il giudizio abbreviato sia stato introdotto su sua domanda, e dunque, eventualmente, accogliendo le istanze integrative originarie Sez. 3, Sentenza numero 20262 del 18/03/2014, rv. 259663 nello stesso senso, in precedenza, Sez. 6, Sentenza numero 7485 del 16/10/2008, rv. 242905 . Correlativamente, e sul piano del preteso vizio di motivazione, si è stabilito che la “celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice d'appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l'esclusione di un diritto dell'imputato a richiedere la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta” Sez. 2, Sentenza numero 3609 del 18/01/2011, rv. 249161 . In sostanza, il giudice del rito abbreviato esercita in punto di integrazione della prova, ed in particolare di rinnovazione della istruzione, un potere discrezionale che attiene al merito, e che sotto questo profilo è insuscettibile di sindacato, anche nella forma indiretta costituita dal parametro della motivazione esplicita. Ciò non vuoi dire, naturalmente, che siano possibili ed inemendabili comportamenti illegali, arbitrari od irrazionali. Ma deve trattarsi di vizi della deliberazione assunta sulla regiudicanda, e della relativa motivazione, dei quali appaia manifesta la dipendenza dall'erronea decisione di non provvedere all'integrazione della prova, d'ufficio o su richiesta delle parti processuali. Si è notato così, in conformità ad alcuni precedenti, che «può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello» Sez. 6, Sentenza numero 1256 del 28/11/2013, rv. 258236 . Dunque, per tornare al caso di specie, ciò che conta non è la qualità della risposta che la Corte territoriale ha inteso dare alle istanze di prova della Difesa, ma la desumibilità o non, dal tessuto argomentativo della sentenza posto in relazione alle censure difensive, di una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale. Così impostata la questione, le censure difensive risultano appunto infondate. La disponibilità della persona offesa ad “alleggerire” la posizione del marito era già emersa chiaramente dalle sommarie informazioni proposte dopo la querela, e poi dalla stessa dichiarazione di remissione, fino a limiti di sensibile tensione con il dovere di rendere dichiarazioni testimoniali non mendaci una sequenza che il primo Giudice aveva già apertamente definito quale segno di conferma della debolezza patologica della vittima nell'ambito del rapporto coniugale . Si apprende dal ricorrente che, avendo il Tribunale posto in luce una continuità dell'atteggiamento sopraffattorio che prescindeva dai tre episodi culminanti rappresentati nella denuncia, ed avendo la Corte territoriale notato che i maltrattamenti potevano consistere anche in insulti, la Pa. avrebbe ritenuto di dichiarare, ed il Difensore di verbalizzare, che in realtà anche gli insulti erano stati occasionali, ed in particolare limitati alle ormai famose tre occasioni culminanti. In realtà la nuova escussione della donna, che per altro non avrebbe necessariamente condotto ad esiti tanto favorevoli per la difesa, appariva ed appare eccedente le necessità di prova del fatto contestato, e non certo o non solo in base ad una preventiva svalutazione di attendibilità delle dichiarazioni “attese”. A prescindere dal fatto risolutivo che tre gravi e violente aggressioni fisiche al coniuge nel giro di un anno costituiscono una condotta già incompatibile con il concetto di occasionalità, e nel contempo chiaramente suscettibili di indurre un penoso regime di vita, la decisione della Corte territoriale si è fondata anche su fonti di prova aggiuntive rispetto alla rappresentazione della vittima, e su comportamenti vessatori anche diversi dalle percosse e dagli stessi insulti che il ricorrente, senza porsi alcun problema di attendibilità, vorrebbe limitati al tempo di svolgimento delle aggressioni fisiche . Nel primo senso vanno considerate le dichiarazioni testimoniali di P.J. , figlio della coppia, e di Roman Paci, amico del giovane e presente all'ultima delle tre violenze fisiche in specifica contestazione, che aveva occasionato l'intervento della polizia e poi la querela. Il Tribunale ha descritto il racconto dei due giovani, riferendo di come P. si fosse concentrato sul grave episodio citato da ultimo ma avesse anche riferito di una “situazione di costante prevaricazione”. Quanto al Paci, questi aveva spesso constatato de visu la condizione di ubriachezza dell'odierno ricorrente, ascoltando frasi significative di disprezzo verso le donne, ed aveva ricevuto le confidenze dell'amico, secondo cui P. vessava abitualmente moglie e figlio, anche con aggressioni fisiche, una delle quali con esiti molto gravi. Quanto alle modalità della condotta vessatoria ed umiliante, basti ricordare le considerazioni del primo Giudice, ovviamente riprese dalla sentenza di conferma, circa il fatto che P. aveva imposto alla moglie anche un doppio menage familiare, proseguendo quotidianamente, e quasi in termini di coabitazione, il rapporto con l'amante che aveva trovato prima del ricongiungimento familiare e con la prole nata da quella relazione, ed a quanto pare infliggendo alla Pa. umiliazioni a specifica connotazione sessuale obbligandola ad esempio stendersi al suolo dopo essersi spogliata, quale segno di sottomissione . In un contesto del genere, non si era mancato di rimarcare l'inattendibilità della difesa proposta all'interessato, disposto ad ammettere d'avere “sbagliato” ma giunto a negare il carattere abituale dei propri abusi di sostanze alcoliche, in contrasto se non altro con le successive allegazioni circa l'avvio di un percorso per il superamento della dipendenza. In un quadro siffatto può ben dirsi che, al fianco di una giustificazione esplicita ma stravagante del rifiuto di disporre la rinnovazione dell'istruttoria, la Corte territoriale ha proposto una spiegazione implicita ed esauriente, documentando l'adeguatezza della base cognitiva esistente, in gran parte testata finanche alla luce dell'atteggiamento remissivo della vittima, e comunque ricostruita sulla scorta di una pluralità di fonti e di informazioni circa la compiuta integrazione della condotta tipica, a prescindere dalla frequenza più o meno serrata delle condotte prevaricatrici. Come sopra si è visto, si tratta della condizione necessaria e sufficiente per consentire il sindacato di legittimità della decisione istruttoria, e comunque per esaurirlo. 3. I rilievi fin qui esposti consentono di risolvere rapidamente anche i motivi di ricorso che alludono a pretese violazioni della legge penale sostanziale supra, p.2.2. del Ritenuto . La Corte territoriale non ha affatto sostenuto, neppure implicitamente, che la fattispecie incriminatrice sia integrata anche da condotte meramente occasionali, ed ha piuttosto ritenuto - con un giudizio di fatto che costituisce inammissibilmente il vero oggetto della critica difensiva - che nella specie l'atteggiamento vessatorio di P. fosse abituale. Tale giudizio è passato anche attraverso un vaglio critico delle incoerenze create dalla progressiva benevolenza che segna gli interventi processuali della persona offesa, anche a monte di quelle dichiarazioni al Difensore che non hanno fatto ingresso nel giudizio, e che dunque non avrebbero potuto trovare diretta considerazione nel giudizio in fatto. La Corte ha rilevato come un atteggiamento insultante fosse stato collegato dalla stessa Pa. alle ubriacature del marito, che erano frequenti, ed ha espresso un giudizio del tutto ragionevole di attendibilità della relativa implicazione, rispetto alla inattendibile pretesa, comunque del tutto generica, che “nulla” succedesse tra una selvaggia aggressione ed un'altra. Come si è detto, l'interazione tra le considerazioni espresse nelle due sentenze di condanna pone in luce la varietà delle fonti e la pluralità delle mortificazioni, giustificando appieno - nella prospettiva della necessaria aderenza ai moduli legislativi del ragionamento probatorio - il giudizio in fatto cui sono pervenuti i Giudici di merito. Nel contesto indicato, può considerarsi sufficiente anche la motivazione opposta alle censure che l'appellante aveva sviluppato sul piano dell'elemento soggettivo. Accertata a carico di P. una volontaria ed abituale condotta vessatoria, che per inciso solo in parte si manifestava quando l'uomo era ubriaco, l'apprezzamento del dolo poteva dirsi compiuto, e sarebbe spettata semmai all'interessato una qualche attendibile allegazione circa una presunta inconsapevolezza della penosa qualità del regime familiare instaurato. A contrario di quel che sembra sostenere il ricorrente, “il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima» medesima Sez. 6, Sentenza numero 25183 del 19/06/2012, rv. 253042 . Non occorre, in altre parole, che l'agente deliberi una volta per tutte di imporre ai familiari un penoso regime di vita, e concepisca unitariamente le proprie condotte in senso strumentale alla realizzazione di quell'obiettivo, essendo piuttosto sufficiente che le condotte vessatorie siano tenute nella consapevolezza del loro carattere ripetuto, e della loro idoneità a creare una stabile e dolorosa patologia della vita familiare Sez. 6, Sentenza numero 15146 del 19/03/2014, rv. 259677 . Le censure difensive sono ispirate esplicitamente ad un diverso ed erroneo principio di diritto, risultando così infondate. La citazione che compare nel ricorso costituisce ripresa parziale, e fuori contesto, d'un passaggio della massima ufficiale pertinente ad una decisione che non ha inteso certamente affermare il principio evocato, essendosi limitata a confermare l'integrazione del delitto a fronte di comportamenti discriminatori tenuti verso uno dei familiari, con carattere non occasionale ed al fine specifico di umiliarlo Sez. 2, Sentenza numero 10994 del 06/12/2012, rv. 255175 si vedano comunque ed ancora, nel senso qui accolto, Sez. 6, Sentenza numero 33106 del 14/07/2003, rv. 226444 Sez. 6, Sentenza numero 16836 del 18/02/2010, rv. 246915 . 4. Sono infine palesemente inammissibili, ed anche manifestamente infondate, le censure mosse dal ricorrente al giudizio di merito della Corte territoriale in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio. In accoglimento dell'appello difensivo, i Giudici dell'impugnazione hanno stimato di dover più che dimezzare la pena inflitta dal Tribunale, portando il valore finale ad un anno di reclusione dagli originari due anni e quattro mesi ciò sia attraverso il riconoscimento di attenuanti generiche, negate in prima battuta sul rilievo che la condizione di incensuratezza non è causa da sola sufficiente per l'integrazione della diminuente, sia attraverso una apprezzabile riduzione della “pena base”, ridotta quasi di un terzo. È ovvio che per giungere ad un risultato tanto rilevante, in una fattispecie concreta segnata da molteplici profili di rilevante gravità si ricordino le lesioni ripetutamente inflitte alla vittima, che ovviamente qualificano anche la fattispecie di maltrattamenti , la Corte dovesse impegnarsi in uno sforzo, non rileva qui quanto efficace, al fine di documentare fattori di attenuazione della gravità soggettiva del fatto. Ha quindi posto in luce, al fianco dei buoni precedenti e di un atteggiamento processuale non del tutto negatorio, il segnale positivo promanante dal ricorso all'assistenza medica e psicologica per il superamento della dipendenza da alcool. Ma ciò non vuoi dire certamente che tali fattori imponessero l'applicazione del “minimo della pena”, come sembra invece ritenere il ricorrente. Non sussiste dunque la denunciata contraddittorietà della motivazione. Per il resto, si tratta come detto di un giudizio di merito, come tale sottratto al sindacato di questa Corte. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.