Associazione di stampo mafioso: chiarimenti sui termini di custodia cautelare

Per quel che concerne la determinazione dei termini di durata della custodia cautelare in relazione alla partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti va tenuto conto della sola pena edittale minima di ventiquattro anni reclusione di cui la legge fa menzione.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 273 del 7 gennaio 2014. Il fatto. All’esito di una complessa vicenda processuale relativa a episodi di spaccio di stupefacenti, un uomo ricorre per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Catanzaro che, ex art. 310 c.p.p., aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza con cui la Corte d’Assise d’Appello aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della custodia in carcere per decorrenza dei termini massimi e di fase della custodia cautelare il ricorrente lamenta in particolare il fatto che i giudici avessero omesso di dichiarare la perdita di efficacia della misura per effetto del superamento dei termini di fase e dei termini massimi di durata della custodia cautelare. Termini di fase. Per quanto concerne i termini di fase, il Tribunale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale nell'ipotesi in cui il giudice di legittimità abbia disposto l'annullamento con rinvio limitatamente all'esclusione di una circostanza aggravante in grado d'appello come nel caso in esame , deve ritenersi che sull'affermazione di responsabilità dell'imputato si sia formato il giudicato, con la conseguenza che i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. d , seconda parte, c.p.p., quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso articolo , e non invece quelli di fase rapportati alla pena in concreto irrogata, secondo l'assunto del ricorrente . Termini massimi di durata della custodia cautelare. A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare relativi al reato di partecipazione a un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, del quale è espressamente prevista dalla legge la sola pena edittale minima e non quella massima, quest'ultima va individuata in ventiquattro anni di reclusione, secondo la regola generale dettata dall'art. 23, comma primo, c.p. Ne consegue l'applicabilità della lett. c dell'art. 303, comma 4 c.p.p., che prevede in sei anni il termine massimo quando la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni. Alla luce di ciò, il ricorso si intende respinto.

Corte di Cassazione, sez. VI penale, sentenza 5 novembre 2013 – 7 gennaio 2014, n. 273 Presidente Agrò – Relatore Ippolito Ritenuto in fatto 1. E.D. è sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal luglio 2008 per i reati di cui agli artt. 426 bis c.p. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990. Con sentenza pronunciata il 10 marzo 2010, il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Catanzaro dichiarò l'imputato colpevole del reato di cui all'art. 74 d.P.R. cit., condannandolo alla pena di sedici anni di reclusione, previa esclusione dell'ipotesi di cui al primo comma. Il 6 aprile 2011, la Corte d'assise d'appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, escluse l'aggravante di cui all'art. 7 L. 203 del 1991, rideterminando la pena in otto anni e due mesi di reclusione. La Corte di cassazione, con decisione del 3 febbraio 2012, annullò la sentenza d'appello con rinvio per nuovo giudizio limitatamente alla predetta circostanza aggravante. 2. Nel presente procedimento il difensore dell'imputato ricorre per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Catanzaro che, ex art. 310 c.p.p., ha respinto l'appello avverso l'ordinanza datata 18 marzo 2013, con cui la Corte d'assise d'appello aveva rigettato l'istanza volta ad ottenere la dichiarazione d'inefficacia della custodia in carcere per decorrenza dei termini massimi e di fase della custodia cautelare. Il ricorrente deduce violazione dell'art. 303, commi 1 lett. c n. 3, 2 e 4 lett. b , nonché dell'art. 304, comma 6, c.p.p., e vizio di motivazione per avere i giudici omesso di dichiarare la perdita di efficacia della misura per effetto del superamento dei termini di fase e dei termini massimi di durata della custodia cautelare. Considerato in diritto 1. Il ricorso è privo di fondamento e va rigettato. 2. Quanto ai termini di fase, correttamente il Tribunale ha fatto applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell'ipotesi in cui il giudice di legittimità abbia disposto l'annullamento con rinvio limitatamente all'esclusione di una circostanza aggravante in grado d'appello come nel caso in esame , deve ritenersi che sull'affermazione di responsabilità dell'imputato si sia formato il giudicato, con la conseguenza che i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. d , seconda parte, cod. proc. pen., quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso articolo Cass. Sez. 4, n. 10674 del 19/02/2013, Macrì, 254940 Sez. 6, n. 4971 del 15/01/2009, Mancuso, rv. 242915 , e non invece quelli di fase rapportati alla pena in concreto irrogata, secondo l'assunto del ricorrente. 3. Quanto ai termini massimi di durata della custodia cautelare, erra il ricorrente nel ritenere al caso in esame applicabile la lett. b dell'art. 303, comma 4, c.p.p., con la conseguenza che sono decorsi i quattro anni dalla data di decorrenza della custodia cautelare. Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite, ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare relativi al reato di partecipazione a un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 , del quale è espressamente prevista dalla legge la sola pena edittale minima e non quella massima, quest'ultima va individuata in ventiquattro anni di reclusione, secondo la regola generale dettata dall'art. 23, comma primo, cod. pen. Cass. Sez. U, n. 26350 del 24/04/2002, Fiorenti, Rv. 221656 . Ne consegue l'applicabilità della lett. e dell'art. 303, comma 4 c.p.p., che prevede in sei anni il termine massimo quando la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni. 4. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94.1 ter disp. att. c.p.p