Casus belli i vapori e i gas frutto dell’impiego eccessivo di detergenti chimici. Giusto prestare attenzione alla pulizia e all’igiene, ma è da evitare il ricorso abnorme a sostanze che possono provocare fastidio alle persone presenti, anche occasionalmente, nel condominio.
Pulizia e igiene prioritarie, anche, anzi soprattutto, in un contesto condominiale. Ma meglio evitare che tali obiettivi diventino vere e proprie ossessioni, caratterizzate dal ricorso spinto a detergenti chimici. Perché il rischio – per la condomina propensa all’impiego di ammoniaca e candeggina – è quello di una condanna penale Cass., sent. numero 41726/2014, Terza Sezione Penale, depositata oggi . Gas e vapori. Episodi ripetuti nel tempo, e tutti poco graditi nel contesto del condominio gli strali verbali sono rivolti a una donna che è abituata ad impiegare «in modo eccessivo, in spazi condominiali ad uso pubblico, ammoniaca e candeggina». E le polemiche – frutto soprattutto delle contestazioni mosse dalla vicina di casa – si trascinano addirittura nelle aule del Tribunale, dove la donna viene condannata «alla pena dell’ammenda» e «al risarcimento del danno» per avere molestato «condomini ed estranei con emissioni di gas e vapori tossici». Nessun dubbio, quindi, sulla sussistenza del reato di “getto pericoloso di cose”. Di avviso opposto, invece, la condomina finita sul banco degli imputati A suo dire, difatti, non è stato considerato che «la vicina di casa aveva una soglia di tollerabilità delle emissioni ben inferiore rispetto a quella dell’uomo comune» non a caso, aggiunge, alcune persone hanno «dichiarato di non essere state molestate dalle esalazioni». E poi, viene ancora precisato, non si è tenuto conto della «saltuarietà dell’uso di detergenti», fronte, questo, che avrebbe meritato un approfondimento con un «accertamento in ordine alla intollerabilità» effettiva dell’uso di ammoniaca e candeggina. Condotta molesta. Ma, nonostante tutto, le obiezioni mosse dalla condomina sotto accusa si rivelano assolutamente inutili, perché in Cassazione viene confermata la condanna fissata in Tribunale. Decisiva la condivisione, da parte dei giudici del ‘Palazzaccio’, dell’ottica adottata in primo grado rispetto al «quadro probatorio», fondato non solo sulle dichiarazioni di diverse persone – che hanno confermato la gravità del problema, raccontando di «odori forti, lacrimazione e problemi respiratori» – ma anche sugli «accertamenti fotografici» relativi alla strana «coloritura del pavimento, dovuta all’uso di detergenti» chimici. Altrettanto rilevante, poi, la constatazione che la condomina, dedita all’impiego di candeggina e ammoniaca, ha prolungato la «condotta molesta», pur «conoscendo il disagio» lamentato dalla vicina di casa, costretta a subire «emissioni» per nulla gradevoli. Tutto ciò conduce, come detto, a ritenere evidente, e acclarata, la «molestia» nei confronti non solo dei condomini ma anche delle persone estranee presenti occasionalmente nel palazzo.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 luglio – 7 ottobre 2014, numero 41726 Presidente Teresi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 5 dicembre 2013, il Tribunale di Padova ha - per quanto qui rileva - condannato l'imputata alla pena dell'ammenda, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, per il reato di cui all'articolo 674 cod. penumero , perché, usando in spazi condominiali ad uso pubblico in modo eccessivo ammoniaca e candeggina, molestava condomini ed estranei con emissioni di gas e vapori tossici reato ritenuto permanente fino al 28 gennaio 2009 . 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, atto d'impugnazione qualificato come appello, deducendo 1 l'erronea valutazione delle emergenze processuali, perché non si sarebbe considerato che la vicina di casa querelante aveva una soglia di tollerabilità delle emissioni ben inferiore rispetto a quella dell'uomo comune, né si sarebbe considerato che i testi indotti della difesa avevano dichiarato di non essere stati molestati dalle esalazioni e che non erano stati effettuati accertamenti in ordine alla intollerabilità da parte di organi tecnici 2 l'erronea valutazione delle emergenze processuali quanto alla pena e alle circostanze attenuanti e al risarcimento del danno, perché non si sarebbe tenuto conto della saltuarietà dell'uso di detergenti. Con memoria depositata in prossimità dell'udienza davanti a questa Corte, la difesa sostiene l'ammissibilità dell'impugnazione, da riqualificarsi come ricorso per cassazione, insiste di doglianze già proposte ed eccepisce la prescrizione del reato. Considerato in diritto 3. - Preliminarmente l'impugnazione - trasmessa a questa Corte dalla Corte d'appello di Venezia con ordinanza del 21 maggio 2014 - deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell'articolo 568, comma 5, cod. proc. penumero , perché proposta contro sentenza non appellabile, ai sensi dell'articolo 593, comma 3, cod. proc. penumero , in quanto recante condanna alla sola pena dell'ammenda. Il ricorso è inammissibile. Esso consiste, infatti, in generiche critiche alla motivazione della sentenza impugnata, dalle quali non emergono, neanche in via di semplice prospettazione, vizi rilevabili in sede di legittimità ai sensi dell'articolo 606 cod. proce. penumero Si chiede, in sostanza, sia ai fini della responsabilità penale, sia ai fini del trattamento sanzionatorio e della determinazione del risarcimento del danno, una rivalutazione del compendio probatorio già ampiamente analizzato dal giudice di merito. Con motivazione logica e coerente, il Tribunale ha rilevato, infatti, che i testimoni indotti della parte civile e gli accertamenti fotografici circa la coloritura del pavimento dovuta all'uso dei detergenti hanno dimostrato con certezza la colpevolezza dell'imputato i testi hanno specificato, in particolare, la presenza di odori forti e di lacrimazione degli occhi, oltre che, per alcuni di essi, problemi respiratori. Per contro - prosegue il Tribunale - la differente versione resa dei testi della difesa non inficia tali conclusioni, perché essi sono soggetti che abitualmente lavorano fuori tutto il giorno o che non hanno utilizzato gli spazi antistanti all'abitazione dell'imputata dove avvenivano le emissioni nocive. Parimenti logico e coerente è l'iter motivazionale seguito dal Tribunale quanto al trattamento sanzionatorio e alla determinazione dei risarcimento del danno, perché esso ha correttamente valorizzato il dato della permanenza della condotta molesta, attuata ben conoscendo il disagio della persona offesa e la durata pluriennale dell'esposizione di quest'ultima alle emissioni. Quanto alla prescrizione, premesso che la difesa non ha contestato la ricostruzione dei reato sostanzialmente operata dai Tribunale in termini di permanenza fino al 28 gennaio 2009 , deve rilevarsi che il relativo termine non è decorso, perché andrà a scadere, in presenza di una sospensione per 169 giorni, il 14 luglio 2014. In ogni caso, a fronte di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 cod. proc. penumero , ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall'inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, numero 42839 sez. 1, 4 giugno 2008, numero 24688 sez. unumero , 22 marzo 2005, numero 4 . Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , l'onere delle spese dei procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.