Le diverse possibili qualificazioni giuridiche del contenuto della scrittura privata non hanno avuto alcuna influenza in ordine all’accertamento dell’avvenuta conclusione del contratto tra le parti a seguito dell’accettazione delle condizioni in esso previste.
È questo il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21113/13, depositata il 16 settembre scorso. La fattispecie. Una coppia aveva acquistato un appartamento con relative pertinenze, tra le quali era compreso il locale autorimessa posto al piano sottostrada, o perlomeno questo è ciò che loro affermavano nell’aula del Tribunale di Avezzano. I due, infatti, si erano rivolti all’autorità giudiziaria per sentire dichiarare nulla la scrittura che la società venditrice aveva fatto sottoscrivere loro dopo la stipula del contratto. Con tale scrittura denominata opzione e concessione di diritto di prelazione - in pratica, la società si impegnava a vendere agli esponenti il locale autorimessa ad un determinato prezzo e, in caso di mancata accettazione, a preferirli in caso di successiva vendita a terzi . Proprietari anche dell’autorimessa? Piccolo particolare sottolineano gli acquirenti i due erano già proprietari, in virtù dello stipulato atto di vendita. Ma questo, almeno da quanto emerso, non pare essere vero. Il contratto tra le parti è concluso. In realtà, in base a quanto affermato dai giudici di merito prima e dai giudici di Cassazione poi, al di là della qualificazione giuridica dell’accordo in esame, da intendersi come contratto preliminare unilaterale, ovvero come patto di opzione, come denominato dalle parti, o anche come proposta irrevocabile, restava comunque incontrovertibile il fatto che l’intervenuta accettazione degli acquirenti aveva perfezionato il contratto avente ad oggetto il trasferimento dell’immobile, salvo valutare poi se con effetti reali o con effetti obbligatori . Di conseguenza si legge in sentenza - le diverse possibili qualificazioni giuridiche del contenuto della scrittura privata in questione non hanno avuto alcuna influenza in ordine all’accertamento dell’avvenuta conclusione del contratto tra le parti a seguito dell’accettazione delle condizioni in esso previste da parte dei 2 coniugi .
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 giugno 16 settembre 2013, n. 21113 Presidente Triola Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 25-11-1985 V S. ed E P. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Avezzano la s.a.s. Petrucci Elvina e C. ed El Pe. in proprio e, premesso di aver acquistato in data 30-12-1983 dalla società convenuta un appartamento in omissis , al primo piano dell'edificio sito in via omissis , con relative pertinenze tra le quali era compreso il locale autorimessa posto al piano sottostrada in diretta corrispondenza dell'appartamento, assumevano che la Pe. quale legale rappresentante della società venditrice, successivamente alla stipula del suddetto contratto, aveva fatto loro sottoscrivere una scrittura denominata opzione e concessione di diritto di prelazione con la quale la suddetta società si impegnava a vendere agli esponenti che avrebbero potuto accettare entro il 31-8-1985 il suddetto locale per il prezzo di lire 350.000 al metro quadrato e, in caso di mancata accettazione, a preferirli in caso di successiva vendita a terzi. Gli attori sostenevano che detta scrittura doveva essere ritenuta nulla per essere i medesimi già proprietari, in virtù dello stipulato atto di compravendita, del locale garage oggetto della stessa, e che il 2-9-1984 lo S. aveva versato alla predetta società un acconto di lire 3.000.000 sul preteso prezzo di vendita del locale garage, acconto che doveva essere restituito in conseguenza dell'evidenziata inefficacia del titolo in base al quale era stato versato infine lamentavano di aver dovuto affrontare vari esborsi per il completamento dell'immobile e per l'eliminazione di vizi che lo stesso presentava al momento della consegna da parte della venditrice. Lo S. e la P. chiedevano quindi accertarsi che con l'atto di compravendita sopra menzionato era stata loro trasferita anche la proprietà del sottostante locale garage, accertarsi la nullità della scrittura privata del 30-12-1983 e condannarsi in solido le convenute alla restituzione della somma di lire 3.000.000 oltre rivalutazione ed interessi, ed al pagamento della somma di lire 4.950.000 oltre rivalutazione ed interessi a titolo di rimborso spese e risarcimento dei danni per i vizi riscontrati all'appartamento venduto. Si costituivano in giudizio le convenute contestando il fondamento delle domande attrici di cui chiedevano il rigetto, e chiedendo in via riconvenzionale dichiararsi le controparti decadute dai diritti previsti dalla scrittura del 30-12-1983 e condannarli al rilascio del locale autorimessa, ed autorizzare le esponenti a trattenere ex art. 1385 c.c. l'acconto di lire 3.000.000 ricevuto. Il Tribunale di Avezzano con sentenza del 28-5-2001 dichiarava risolto per inadempimento degli attori il contratto preliminare di cui alla scrittura privata del 30-12-1983, condannava la società Petrucci Elvina e C. a restituire agli attori l'acconto di lire 3.000.000 oltre interessi legali e rigettava ogni altra domanda. Proposto gravame da parte dello S. e della P. cui resistevano la società Petrucci Elvina e C. e la Pe. in proprio la Corte di Appello dell'Aquila con sentenza del 9-6-2006 ha rigettato l'impugnazione. Per la cassazione di tale sentenza lo S. e la P. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui la s.a.s. Petrucci Elvina e C. e la Pe. in proprio hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto insussistente la prova che il locale garage per cui è causa fosse sottoposto a vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, e per aver comunque evidenziato la mancata formulazione di una domanda di accertamento che tale locale fosse riservato a parcheggio. I ricorrenti sostengono che i convenuti non avevano mai contestato tale destinazione, e che lo stesso CTU aveva qualificato il suddetto locale pertinenza dell'appartamento acquistato dagli esponenti inoltre la domanda da essi proposta di nullità della scrittura privata del 30-12-1983 sulla base del disposto dell'art. 41 sexies della L. n. 1150/1942 presupponeva l'accertamento della destinazione dell'area in questione. I ricorrenti quindi deducono la nullità della scrittura privata menzionata per violazione delle norme imperative in materia di destinazione della suddetta area al servizio dell'appartamento acquistato. La censura è infondata. La Corte territoriale ha premesso che l'art. 41 sexies della L. n. 1150/1942 come modificato dalla L. n. 765/1967 impone una limitazione legale della proprietà di natura pubblicistica mediante il vincolo di destinazione impresso alle aree destinate a parcheggio interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione in favore dei proprietari delle unità abitative site nei fabbricati stessi, titolari del diritto reale d'uso delle medesime pertanto non è impedito al proprietario dell'area riservare a sé o cedere a terzi il diritto di proprietà dell'intera area o di parte di essa, fermo restando il suddetto diritto d'uso da parte dei proprietari delle singole unità immobiliari il giudice di appello ha quindi rilevato che affinché possa essere pronunciato il trasferimento del diritto d'uso del parcheggio, operante in forza di legge, è indispensabile dimostrare che l'area sulla quale insiste tale diritto sia già gravata dal vincolo di destinazione, ovvero proporre autonoma azione di accertamento circa la soggezione o meno di una parte dell'edificio a tale vincolo di destinazione a parcheggio. A tal punto la sentenza impugnata ha ritenuto che la mancanza di prova che l'area in questione, e cioè l'autorimessa per cui è causa, fosse sottoposta a vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, e comunque la mancata richiesta di accertamento che la medesima fosse da riservare a parcheggio secondo le disposizioni di cui all'art. 41 sexies della L. n. 1150/1942, escludevano sia la sussistenza di un vizio di nullità dell'assetto negoziale stabilito dalle parti, sia l'integrazione ope legis del contratto mediante attribuzione in favore degli acquirenti dell'unità immobiliare del diritto reale d'uso della predetta area. Tale convincimento è corretto, posto che in tema di spazi destinati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione e di cui all'art. 41 sexies della L. n. 1150 del 1942 l'effettiva esistenza di tali spazi è condizione per il riconoscimento giudiziale del diritto reale d'uso da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari del fabbricato, ai quali altrimenti compete soltanto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno conseguente alla indisponibilità degli spazi stessi peraltro quel riconoscimento può avere come oggetto soltanto le aree che siano state destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all'edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative Cass. 11-2-2009 n. 3393 orbene nella fattispecie non risulta che lo S. e la P. abbiano mai prospettato che il locale in questione oggetto della scrittura privata del 30-9-1983 fosse destinato a parcheggio in base alla concessione edilizia a suo tempo rilasciata per la costruzione dell'edificio nel quale è compreso il suddetto locale, né che abbiano proposto una domanda di accertamento nei suddetti termini pertanto la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello è immune dai profili di censura sollevati in questa sede. Con il secondo motivo lo S. e la P. , deducendo motivazione perplessa e contraddittoria, rilevano che la Corte territoriale, dopo aver qualificato la scrittura privata come un accordo, successivamente ha dubitato che essa configurasse un vero e proprio contratto, affermando che potesse costituire una proposta irrevocabile tale vizio motivazionale verteva su di un punto decisivo della controversia in quanto, nell'ipotesi della ricorrenza di una proposta irrevocabile, non sarebbe comprensibile come un atto riconducibile ad una sola parte potesse incidere sull'assetto negoziale bilateralmente raggiunto. La censura è infondata. Il giudice di appello ha rilevato che al di là della qualificazione giuridica dell'accordo in esame, da intendersi come contratto preliminare unilaterale, come ritenuto dal primo giudice, ovvero come patto di opzione, come denominato dalle parti, o anche proposta irrevocabile, restava comunque incontrovertibile il fatto che l'intervenuta accettazione degli acquirenti aveva perfezionato il contratto avente ad oggetto il trasferimento dell'immobile, salvo valutare poi se con effetti reali o con effetti obbligatori pertanto è agevole osservare che le diverse possibili qualificazioni giuridiche del contenuto della scrittura privata in questione non hanno avuto alcuna influenza in ordine all'accertamento dell'avvenuta conclusione del contratto tra le parti a seguito dell'accettazione delle condizioni in esso previste da parte dello S. e della P. . Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 1358 1455 - 1458 c.c. e 112 c.p.c., assumono che erroneamente il giudice di appello, in presenza di una domanda delle controparti con la quale si era chiesto l'accertamento dei presupposti per l'esercizio del recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c., ha pronunciato la risoluzione del contratto di cui alla scrittura privata del 30-12-1983 per inadempimento degli esponenti, senza considerare la diversità delle due domande. Inoltre essi rilevano che le controparti avevano chiesto la decadenza degli esponenti dai benefici e diritti di cui alla suddetta scrittura privata, senza aver mai richiesto la risoluzione per inadempimento di un contratto di cui non avevano affatto supposto la conclusione. La censura è infondata. La Corte territoriale, premesso che la società Petrucci Elvina e C. e la Pe. avevano espressamente chiesto di ritenere ai sensi dell'art. 1358 c.c. rectius art. 1385 c.c. la caparra versata in loro favore di lire 3.000.000, ha rilevato che tale richiesta era senz'altro significativa della loro volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale, stante l'altrui inadempimento pertanto, non emergendo dal tenore dell'atto che i contraenti avessero voluto attribuire al pagamento anticipato di lire 3.000.000 da parte degli acquirenti il valore e la funzione della caparra, doveva ritenersi che il versamento era avvenuto a titolo di acconto sul prezzo, per cui la domanda, escluso il recesso, ben poteva essere interpretata come richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento, come ritenuto dal giudice di primo grado, tenuto anche conto del comportamento degli acquirenti, che avevano chiesto dichiararsi già trasferita la proprietà dell'autorimessa in proprio favore in base all'atto notarile del 30-12-1983, e non avevano adempiuto al pagamento del prezzo di cui alla scrittura privata del 30-12-1983. Orbene tale statuizione è corretta in quanto frutto di una logica interpretazione della domanda della suddetta società e della Pe. le quali, avendo espressamente richiesto di trattenere la somma di lire 3.000.000, avevano chiaramente manifestato la loro volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale costituito dagli accordi di cui alla menzionata scrittura privata pertanto, esclusa la possibilità del recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c. per effetto della qualificazione della dazione della somma di lire 3.000.000 quale acconto e non come caparra, era comunque legittimo pronunciare la risoluzione del contratto di cui alla suddetta scrittura, posto che la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo implicitamente essere contenuta in altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione Cass. 5-10-2009 n. 21230 , come nella fattispecie era possibile desumere dalla domanda relativa al riconoscimento del diritto di trattenere la somma di lire 3.000.000 a seguito dell'inadempimento dei venditori all'obbligo di versamento del residuo prezzo. Il ricorso deve quindi essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 2.500,00 per compensi.